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Commisso Martina

Lo scettro di Ra

CAPITOLO 1

LA MIA VITA VIENE STRAVOLTA

C’era una volta, moltissimo tempo fa un… ma no, chi voglio prendere in giro? Questa non è una storia antica e io non sono una grande scrittrice, ma solo la poveretta costretta raccontare dai suoi superiori, dato che “è il caso che la gente sappia”, parole loro. Comunque, senza dilungarmi troppo sui miei superiori, vorrei ringraziare due persone: Clarisse e Elizabeth Peters. Senza di loro io oggi non sarei qui a narrarvi questa splendida avventura e quindi voglio fare i miei più grandi e sentiti ringraziamenti. Ma ora basta, è il momento di iniziare. Era una tranquilla giornata di giugno sul pianeta Terra, anno galattico 3252. La mattinata era soleggiata e sulle coste frastagliate della Cornovaglia soffiava una tiepida brezza marina che scuoteva le piante di erica nelle praterie e l’insegna scolorita e un po’ vecchiotta del locale che si trovava sul cucuzzolo di uno strapiombo, accessibile solo grazie ad un sentiero fatto di pietre messe decisamente a caso. Quella favolosa catapecchia fatiscente era l’Admiral, il bar più rinomato di tutta la regione e credo anche l’unico. Davanti ad una parete di legno scheggiato che ospitava un vaso di fiori violetti c’era una ragazzina di quattordici anni che tutta contenta si stava avviando verso la parte più bassa della scogliera, convintissima di stare per trascorrere una piacevole giornata al mare. Era magra e decisamente alta, i suoi occhi erano azzurri come il ghiaccio e dalla forma curiosa, mentre i suoi capelli biondi erano raccolti in una treccia decisamente scompigliata. Quella ragazzina ero io. Tanto piacere, il mio nome è Alexis Johnson, Alex per qualsiasi essere vivente che non sia mia madre furente. Quella mattina ero veramente felice perché dovevo passare una giornata estremamente divertente al mare con le mie amiche Clarisse ed Elizabeth. Appena vidi due sagome ai piedi della rupe che ospitava l’Admiral mi eccitai ancora di più e corsi loro incontro. Quando arrivai indossai il mio sorriso più smagliante ed esclamai “Ciao ragazze! Allora, vogliamo andare?” Dovrei dirvi che nella mia vita le cose non vanno mai come programmate, infatti Clarisse disse “Si, noi andiamo, tu invece non puoi venire.” Il mio sorriso cominciò a sgretolarsi “Come no? E’ da una settimana che programmiamo questa uscita, non potete dirmi di no proprio adesso!” Elizabeth sorrise “Vedi Alex, tu non sei una ragazza di alta classe.” Quello purtroppo era vero, ma ribattei comunque “Ma neanche voi lo siete!” “Ok, forse noi non saremo delle principesse ma tu sei, insomma, una cameriera.” L’altra rincarò “E abiti in quella bettola lassù con tua madre…” “Non è una bettola!” “Ehi, non ti scaldare! Questa è una decisione che abbiamo preso democraticamente, siamo due contro uno.” “Quindi?” “Quindi vattene!” “Ma…ma io…” “Ma tu cosa, Alex?” Ora una tristezza insormontabile stava prendendo il posto della sorpresa che mi aveva assalita “Io ho fatto i vostri compiti per tutto l’anno.” “Si, perché tu non sai mai dire di no a nessuno. Ora non abbiamo più bisogno di te, puoi anche andartene.” Dicendo quello si voltarono e si avviarono verso la spiaggia, ridendo di me. Vorrei dirvi che presi la cosa con filosofia convincendomi che i loro cervelli erano grandi come noci e che quindi non meritavano la mia amicizia, ma non posso. In quel momento il mondo mi era caduto addosso: quelle due erano le uniche amiche che avevo, mi ero spaccata la schiena tutto l’anno per fare bene i loro compiti e guadagnarmi il loro rispetto e loro mi avevano scaricato così, su due piedi. Rimasi a guardarle fino a quando una rabbia disumana mi stritolò le budella e una lacrima che bruciava mi scese lungo una guancia. Sbattei un piede per terra “Sono sola! Di nuovo!” Diedi un grosso calcio ad una pietra molto dura e mi ritrovai a saltellare su un piede solo imprecando, mentre percorrevo la stradina che portava all’Admiral. Mia madre, Daisy Johnson, era ferma sulla porta con il suo grembiule verde preferito addosso, un vassoio sotto un braccio e appena mi vide arrivare come una furia domandò “Alex, che cos’è successo?” “Evidentemente sono troppo di bassa classe per poter abbrustolirmi le chiappe con loro!” Afferrai con una mano il vassoio che mamma aveva in mano. Lei oppose resistenza “Alex, ti ho dato giornata libera oggi…” Tagliai corto “E cosa vuoi che faccia? Che mi annoi tutto il giorno?” “Tesoro, perché non ci sediamo e ne parliamo?” “A me non piacciono le parole, ma i fatti!” Strappai il vassoio dalle mani di mia madre e mi diressi verso un tavolo. Dopo quella scenata ero ancora più arrabbiata: avevo trattato male mia madre che non c’entrava proprio nulla con tutta quella storia. Quella donna non meritava quel trattamento, mi aveva cresciuta tutta da sola da quando quell’idiota di mio padre l’aveva abbandonata e mi voleva un bene dell’anima, lavorava giorno e notte in quella maledetta locanda solo per darmi da mangiare. Mia madre era una santa e io l’amavo moltissimo. Passando all’Admiral posso dire che all’interno era ancora peggio dell’esterno: consisteva in un’unica stanza con quattro finestre dove c’erano circa una cinquantina di tavoli e il bancone con la cassa e le bottiglie per fare i cocktail. Il pavimento era vecchio di duecento anni, dai muri entrava l’acqua, si moriva di freddo d’inverno e di caldo d’estate, ma mamma ed io non avevamo abbastanza soldi per metterlo a posto. Il fatto che i tavoli fossero tutti in un'unica stanza mi dava la possibilità di cogliere tutto quello che dicevano i clienti; infatti, nonostante fossi semplicemente fuori di me, sentì una donna dire ad una ragazza “La vedi la ragazzina bionda?” “Chi, la cameriera?” “Si.” Poi più piano come se avesse dovuto confessarle un segreto “E’ come te.” L’altra domandò semplicemente scioccata “Fantastica?!” “No, non fantastica! È come te nell’altro senso.” “Ah, bene, mi sembrava! Nessuno è favoloso come me!” In circostanze differenti mi sarei piegata in due dalle risate. Avevo già visto quelle due, erano venute molto spesso all’Admiral nell’ultimo periodo. Per quanto avevo origliato sapevo che erano madre e figlia, entrambe dotate di capelli a caschetto di un rosso fiammeggiante, abiti firmati e occhi verdi truccatissimi. La signora si chiamava Ariana Hamilton e sospettavo che il nome della figlia fosse qualcosa come Eleanor oppure Elena perché la madre la chiamava sempre “Ele”. La loro conversazione mi aveva incuriosita non poco, così mi avvicinai e dissi “Buongiorno signora Hamilton, posso fare qualcosa per voi?” La donna mi sorrise “Oh no cara, ci ha già servite tua madre. Però potresti farci il conto?” “Certamente.” “Grazie mille. Ele, vai tu a pagare.” La ragazzina sbuffò e si alzò in piedi. Mi sistemai dietro il bancone e la squadrai: indossava un abito fucsia fosforescente e un paio di ballerine dello stesso colore. Lei mi domandò “Che hai da guardare?” Mi scappò una risatina “Avevi paura della nebbia?” “Perché?” “I tuoi vestiti sono catarifrangenti.” Lei sbuffò “E allora? Sono sempre meglio dei tuoi: quanti anni fa li hai comprati?” Scossi la testa mentre battevo lo scontrino e guardai di striscio i suoi occhi: erano truccati nonostante avesse solo quattordici anni, verdi e la loro forma la faceva assomigliare ad una fatina dei boschi. “Ele” chiese “E ora che c’è?” “Stavo guardando i tuoi occhi. Sono un po’ tanto truccati.” Lei sbuffò seccata “Vieni fuori con me un momento.” Mi protesi verso di lei quasi cadendo dal bancone e tirando giù la cassa con me “Ma non posso, sono in servizio adesso.” Lei ribatté “Ehi bella, io mi sono fatta un lungo viaggetto in astronave per venire qui quando invece volevo andare a fare shopping. Adesso vai a prendere la mamma e vieni con me.” Il mio cervello già arrabbiato ora era ancora più stordito “Astronave? Tu sei venuta sulla Terra solo per bere qualcosa in questo cesso di posto?!” Lei sbuffò “Uffa, ma perché fai tutte queste domande? Facciamola molto facile: prendi tua madre ed esci da questa topaia!” Pensai che quella lì doveva essere proprio pazza, ma uscii lo stesso dal bancone e afferrai una mano di mia madre che stava venendo nella mia direzione “Mamma?” “Dimmi tesoro.” “Una ragazzina vuole che la seguiamo fuori dall’Admiral.” “Chi è questa ragazza?” Gliela indicai “Quella là, e quella è sua madre.” La mia di madre vide la signora Hamilton e il suo volto si oscurò. Quello era molto strano. Si toccò la benda che portava sul braccio destro, come se quella donna fosse collegata alla brutta cicatrice che aveva sotto. Non sapevo come se la fosse fatta e a dirla tutta non l’avevo neppure mai vista, ma lei mi aveva raccontato che era così brutta che non voleva che nessuno la guardasse e io l’avevo presa sulla parola. Domandai “Mamma, che succede? Vuoi che le dica di andarsene?” Lei si ricosse “No, andiamo a vedere che cosa vogliono da noi.” “Chi ha detto che vogliono qualcosa da noi?” Immediatamente mamma mi spinse verso la porta “Nessuno, nessuno, ma dopo così tanti anni di esperienza so riconoscere un rompiscatole quando lo vedo.” A me quelle due sembravano solo svitate, ma comunque non dissi niente. Appena fummo fuori la madre della ragazza ci sorrise “Grazie di essere venute.” Poi rivolta a mia madre “Ciao Daisy.” Lei alzò le sopraciglia “Ciao Ariana.” “Quanti anni sono passati e tu non sei cambiata affatto.” Le interruppi “Un secondo, voi due vi conoscete?” Ariana sorrise “Si, da molti anni.” Mi voltai verso mia madre “Perché non me l’hai mai detto?” L’altra rispose per mamma “Daisy non voleva più avere a che fare con me…” “No, non è vero. Io non volevo avere a che fare con il tuo mondo, non con te.” Sapete, quando le vostre due migliori amiche vi hanno dato buca e siete con la bocca aperta a guardare vostra madre che sta litigando con una donna che non avete mai visto prima di cose di cui non capite veramente nulla non avete voglia di starvene zitte “Scusate il disturbo, ma non capisco di cosa state parlando!” “Ele” si inserì “Se le nostre care madri mi dessero la possibilità io ti spiegherei tutto.” Non capivo veramente nulla, quindi lanciai un’occhiata molto significativa a mia madre. Lei sbuffò “Perché dovevate venire? Alex sarebbe stata molto meglio senza essere a conoscenza di niente.” Ariana ribatté “Assolutamente no! Lo sai quanto è pericoloso quello che hai fatto, Daisy?” “Bah, io non sono d’accordo…” La interruppi “Bene, Alex vuole sapere adesso. Tu, comincia!” La ragazzina con i capelli rossi sorrise molto soddisfatta, si mise in piedi su una roccia e cominciò a spiegarmi quello che mi avrebbe cambiato la vita per sempre “Oh, finalmente qualcuno mi lascia parlare! Bene, il mio nome è Eleanor Hamilton.” “Il mio Alex Johnson.” “Non mi interessava in realtà, ma va bene lo stesso. Saprai, Alex, che il nostro universo si è formato circa quattordici miliardi di anni fa, da una gigantesca esplosione Big Bang. Bene, da essa scaturì una potenza immensa, immane, tanto grande da avere una sua identità e una sua anima, la prima Energia che dominò l’universo, colei o meglio colui che decideva tutto, l’universo intero era nelle sue mani. Dopo un paio di milioni di anni, però, questa enorme Energia capì che creare stelle, assemblare pianeti e creare le prime leggi della fisica che regolano tutt’oggi le galassie era molto impegnativo e che da solo non ce l’avrebbe fatta. Così si divise in diverse Energie più piccole, ognuna con il compito di regolare un aspetto dell’universo. Queste Energie dopo aver creato stelle, pianeti, galassie, buchi neri e persino l’oltretomba scelsero come dimora un pianeta leggendario e situato in una piega spazio-temporale il chiamata da tutti la Grande Piramide. Tutti assieme decisero che il pianeta che meritava di ospitare la vita era la piccola Terra e quindi fecero nascere il primo essere primordiale, aspettando milioni e milioni di anni fino a quando non nacque il primo essere umano. Alle Energie l’uomo sembrò un essere tanto carino e intelligente che, dopo un’estenuante riunione durata millenni, decisero di rivelarsi. L’uomo la prese piuttosto bene, ma non come avevano pensato le Energie: era convinto di avere a che fare con entità soprannaturali che cominciò ad adorarli come divinità. Ogni popolo inventò dei nomi, dato che le Energie non ne avevano di propri: i romani li chiamarono con certi nomi, i greci con altri ma ad avere la meglio furono gli egizi. I nomi che inventarono piacquero così tanto che le Energie li adottarono come nomi ufficiali: la prima ad essere nata assunse il nome di Ra, un’altra Anubis, poi Osiride, Sekhmet, Iside, Seth, Hator, Thot e altri. Un giorno però un problema apparve agli occhi di Ra: Anubis diceva che Osiride ed Iside si erano perdutamente innamorati. Inizialmente tutti erano convinti che si fosse sbagliato, dato che era decisamente poco affidabile, ma poi poterono vedere che le cose stavano proprio così. La situazione era al limite dell’assurdo: com’era pensabile che due forze potessero provare sentimenti tipicamente umani? Possibile o impossibile che fosse era successo e Ra acconsentì al loro matrimonio. Dopo poco dalla loro unione nacque una nuova Energia, chiamata Horus. Da quel momento tutti capirono di essere in grado di originare una discendenza come aveva fatto Ra all’inizio e le cose cominciarono ad andare decisamente bene. Ra diede origine ad altre Energie più piccole chiamate faraoni a cui affidò il comando dell’Egitto in modo che gli umani potessero vivere bene grazie al loro aiuto. Fu durante questo periodo che Anubis durante una delle sue pagliacciate scoprì di poter assumere una forma umana, così al’insaputa di Ra organizzò una spedizione e assieme ad altre Energie scese sulla Terra per dare un’occhiata. Qui, molto ispirato, cominciò a raccontare cose riguardo i suoi simili e notò con piacere che alcune persone lo ascoltavano e, cosa straordinaria, capivano veramente quello che diceva. Quando Ra lo scoprì la punizione non fu poi così malvagia, dato che era riuscito a trovare un vero contatto con la popolazione umana. Durante una riunione, però, il giovane Horus confessò di essersi preso una cotta per una ragazza e che lei era incinta. Per poco Ra non lo incenerì: da un’unione tra un’Energia ed un umano poteva venire fuori di tutto, anche un terribile mostro che avrebbe potuto distruggere l’universo. Nonostante tutte le perplessità il nono mese scadde e la ragazza di Horus diede alla luce un figlio che a prima vista sembrava totalmente normale. Dopo un po’, però, il bambino cominciò a manifestare una sorta di poteri magici, o meglio, qualità speciali che lo rendevano praticamente imbattibile. Ra allora decise che i super-umani gli avrebbero fatto comodo e diede il permesso a tutte le Energie di trovarsi un compagno terrestre. Così comiciarono le grandi generazioni di eroi: Ercole, Achille, Ulisse, Alessandro Magno, Pericle, Lucrezia, Giulio Cesare, Augusto, Carlo Magno, Giovanna d’Arco fino ad arrivare a Kennedy, Martin Luther King, Churchill, Rosa Parks, Emmeline Pankhurst e Neil Armstrong. Non tutti i figli di Energie però furono degli eroi, alcuni si rivoltarono contro i loro stessi padri e madri scegliendo il male. Il primo fu un figlio di Ra, una delle Energie più piccole che egli stesso aveva creato. Il faraone gli si rivoltò contro e mosse guerra contro di lui, ma per fortuna fu sconfitto. Dopo quell’esperienza Ra decise di non avere più figli e il comando dell’Egitto passò ad un eroe figlio di Horus di nome Tolomeo mentre dopo pochi anni il regno cadde sotto il dominio romano. Tutto andò pressappoco bene fino ai primi anni del 1900, quando scoppiarono la prima e la seconda guerra mondiale che provocarono milioni e milioni di morti, città distrutte e il pianeta venne seriamente messo a rischio. A provocarle furono proprio violente liti tra figli di Enegie e umani così Ra furioso decise di vietare a qualunque Energia di unirsi ad un mortale e per alcuni secoli quasi tutti osservarono il suo divieto. Dopo un po’ (parlo in termini di tempo delle Energie, bada bene) però le Energie trovarono nuovi uomini che capivano veramente cos’erano, proprio come era successo nell’antichità, e nacque presto una nuova generazione di eroi buoni e giusti. Durante questo periodo le Energie decisero che era necessario contrassegnare i loro matematici, fisici e astronomi con un simbolo, in modo da poterli riconoscere ovunque, e decretarono che sarebbe stato una bilancia a due bracci sui quali si trovavano la vita e la morte, tatuata sul braccio destro. Un brutto giorno però alcuni eroi si allearono con un misterioso cattivo che puntava alla distruzione dell’universo e della Terra. Le Energie non potevano assolutamente lasciare che accadesse una simile disgrazia e mossero guerra contro di loro. Fu il conflitto più orribile che l’universo intero avesse mai visto e ovviamente non coinvolse solo la Terra ma tutti gli pianeti che gli umani avevano colonizzato. Alla fine le Energie vinsero a fatica ed eliminarono tutti gli eroi che avevano voltato loro le spalle mentre il loro capo non fu mai trovato. Da quel giorno quasi nessuna Energia fece più figli con mortali e quelli che una volta venivano chiamati eroi diventarono “ibridi” o “meticci” e vennero relegati a vivere su un pianeta lontano dalla Terra, chiamato Camp, in modo che non potessero fare del male a nessuno. Su Camp, quindi, fu costruito una specie di villaggio con una scuola speciale e Anubis ne divenne il capo, in modo che potesse vivere per sempre accanto alla donna umana che aveva sposato. Io sono una di loro e tu pure. A noi non piace il nome ibridi, preferiamo essere chiamati mezzosangue e ogni giorno ci alleniamo e studiamo su Camp per riscattare i nostri fratelli del passato e diventare la nuova generazione di eroi.” Potete tranquillamente immaginare come mi sentissi in quel momento. Non sapevo se scoppiare a ridere e dire che quella era la balla più grossa che mi avessero mai raccontato oppure credere a tutto. Decisi che la cosa più intelligente da fare era chiedere a mia madre “Mamma, quello che ha detto Eleanor è vero?” Lei sospirò. Potevo vedere che il suo viso solitamente sorridente era tirato in una smorfia “Si, è vero.” “Allora anche io sono una mezzosangue?” “Si tesoro.” “Ma allora perché mi hai tenuta qui, perché non mi hai mandato su Camp?” “Alex, su Camp ti avrebbero trasformata in una guerriera, sai quanto è pericoloso? Ti avrebbero inviato su pianeti sperduti a compiere missioni assurde dove saresti stata divorata da mostri senza anima!” Ariana intervenne “Non è affatto vero, Camp è protetto da una barriera protettiva che nessun nemico potrebbe mai oltrepassare, qui invece avrebbero potuto ucciderla in qualsiasi momento! Le avrebbero solo insegnato a combattere in modo da potersi difendere, nessuno le avrebbe mai affidato una missione.” Domandai ad Eleanor “Hai mai partecipato ad una missione?” Lei rispose “Ma scherzi?! Le Energie non si fidano di noi mezzosangue, non ci affiderebbero mai una missione!” “Oh, interessante.” Non era la risposta che mi aspettavo. Posai lo sguardo sul braccio destro della signora Hamilton: esattamente nello stesso punto dove mia madre portava la fasciatura aveva tatuata una bilancia a due bracci, il simbolo delle Energie. Dissi “Mamma, lì sotto c’è un tatuaggio, vero?” “Si.” “Perché lo copri? Perché non volevi avere più a che fare con questo mondo?” “E’una storia molto lunga e complicata che adesso non comprenderesti.” “Prometti che prima o poi me la racconterai?” “Vedremo quando sarai più grande.” Volevo veramente sapere perché, ma non indagai ancora, sapevo che mia madre soffriva moltissimo anche solo a pensarci. Così io, la sfigatissima Alex, ero una mezzosangue e mio padre aveva creato una parte dell’universo. Fu abbastanza uno shock, insomma non capita tutti i giorni di ricevere una notizia del genere. Stranamente, però, la cosa non mi aveva spaventata.  Ero sempre stata una persona molto curiosa, una a cui piaceva darsi da fare per aiutare gli altri e l’idea che in qualche parte dell’universo ci fosse una scuola speciale per super-umani mi elettrizzava non poco. Dissi “Voi due come fate a sapere che sono una mezzosangue?” Ariana rispose sorridendo “Il mio compito è quello di cercare giovani mezzosangue come te sparsi in giro per la galassia e portarli su Camp. Sono venuta qui sulla Terra per questo scopo e ho trovato te, semplice.” Domandai “Lei cerca mezzosangue? Ma scusi, lei è un’ Energia?” Lei rise “No, no, io sono il genitore mortale di Eleanor. Faccio questo solo per aiutare mio marito, il direttore della scuola.” Deglutii a fatica e mi rivolsi ad Eleanor “Quindi tuo padre è…” Lei mi sorrise buttando fuori il petto facendomi pensare ad un pavone che fa la ruota “Si, mio padre è proprio Anubis!” Volevo dirle che tra le Energie lui mi sembrava proprio la più stupida ma la domanda della signora Hamilton mi fece desistere “Allora Alex, ti piacerebbe venire con noi?” I miei occhi si illuminarono, ma poi pensai a mia madre: lei avrebbe dovuto mandare avanti la locanda da sola, nessuno l’avrebbe aiutata. E se fosse venuto qualche ladro o qualche malintenzionato? Nessuno avrebbe potuto salvarla. Mia madre aveva dato la sua vita per me e io adesso la abbandonavo così? Non esisteva! Scossi la testa “Mi spiace molto, ma non posso.” Eleanor esclamò “Bene, fantastico, una novellina in meno! Ciao!” Mia mamma disse “No, aspettate.” Mi prese per una spalla “Alex, devi andare.” Ribattei “Ma mamma, un secondo fa non volevi!” Lei sospirò “Lo so e non lo voglio neppure adesso, ma ho sempre saputo, fin dal momento in cui ho scoperto di aspettarti, che il tuo futuro non era qui con me. Tu non sei normale, tu sei speciale e sei destinata a fare grandi cose, lo so. Io però avevo tanta paura per te, io volevo solo proteggerti. Ora credo che sia arrivato il momento che tu segua il tuo destino e diventi quello che sei destinata ad essere.” Secondo le parole di mia madre sembrava che fossi destinata a salvare l’universo intero, quando io ero solo una ragazzina quattordicenne con un talento speciale per combinare guai “Mamma, stai esagerando.” “Tu ti sminuisci sempre tesoro.” “Si, si, ok, ma se io me ne vado chi ti aiuterà con l’Admiral, mamma? Non puoi mica fare tutto da sola!” “A questo non devi minimamente pensare, io me la caverò benissimo. Alex, dimmi la verità, tu vuoi andare?” Lo volevo con tutta me stessa, dopo che Eleanor aveva detto quelle cose qualcosa che non avevo mai provato mi aveva investita, era come se la mia curiosità, il mio coraggio e la mia voglia di aiutare gli altri fossero state elevate ad una potenza con un sacco di zeri! Biasciai a denti stretti “Io non posso…” “Alex, rispondi alla domanda, lo vuoi?” “Si, lo voglio.” Chissà come mai avevo la sensazione che su Camp non mi sarei sentita più un pesce fuor d’acqua. Ariana Hamilton sorrise “Allora è deciso, Alex Johnson verrai su Camp con noi!” Abbracciai mia mamma “Oh grazie mamma! Grazie, grazie!” Lei mi strinse e intuii che stava piangendo “Alex, mi raccomando, fai attenzione. Non fare niente di troppo pericoloso e fai in modo di non farti del male.” “Va bene mamma.” “Mi mancherai tantissimo!” “Ma verrò a trovarti e ti chiamerò tutti i giorni!” “Ok, me lo aspetto, eh.” Eleanor ci interruppe “Scusate se interrompo gli addii, ma avrei fretta di tornare a casa.” Mamma disse “Oh, certo, falla solo andare a preparare uno zaino.” Io mi inserii “Mamma?” “Si?” “Per andare a preparare lo zaino dovresti lasciarmi andare.” Lei mi mollò subito “Oh, certo!” Dissi ad Eleanor e a sua madre “Arrivo subito, non partite senza di me!” E entrai dentro la locanda a velocità supersonica. Feci lo slalom tra i tavoli buttando giù persino un bicchiere di birra ricevendo gli improperi del proprietario. Mentre passavo sentivo le voci dei clienti che mi chiedevano cose, urlavano le loro ordinazioni e si lamentavano del fatto che mia mamma ed io non facessimo niente. Io rispondevo con “Si, certo.” Oppure “Arriva subito.” O ancora “Signora, il mio lavoro è più duro di quanto lei creda.” tentando disperatamente di raggiungere la scala a pioli in fonda alla sala che mi avrebbe portato al piano superiore dove si trovava la mia camera. Corsi come una pazza lungo le due rampe di scale rischiando di cadere di sotto e di uccidermi almeno un centinaio di volte fino a quando non balzai all’interno della mia stanza. Mi fermai a riprendere fiato e le diedi uno sguardo dato che ero sicura che sarebbe passato molto tempo prima di rimetterci piede. Si trattava della soffitta dell’abitazione, piccola e stretta, con il tetto spiovente pieno di buchi da cui entrava l’acqua. Il mio letto era addossato ad una parete e coperto con un copriletto blu con le stelle mentre le scrivania era appoggiata all’altra parete e completamente coperta da mucchi di vecchissime carte e mappe mezze distrutte che avevo trovato in un baule una volta. Per terra non c’era neppure un millimetro di pavimento calpestabile siccome quello che non ci stava sulla scrivania aveva trovato lì una comoda sistemazione. Bisognava stare molto attenti dato che sotto le mappe c’erano anche vari compassi che avrebbero potuto bucare i piedi del povero sventurato che li avesse calpestati. Il mio telescopio, sempre trovato in quel magico baule, usciva per metà dall’unica finestrella che avevo. Mia madre non metteva mai piede lì dentro, diceva che era il regno del caos, ma per me non era affatto vero. Io lavoravo benissimo in mezzo a tutto quel casino e trovavo sempre tutto. Mi dispiaceva un po’ andarmene via dopo tutto quello che avevo combinato in quella stanza, dopo tutte le notti che avevo passato sveglia ad annotare i nomi delle stelle che vedevo per completare le parti mancanti delle vecchissime mappe stellari. Scossi la testa, dovevo sbrigarmi altrimenti Eleanor e sua madre sarebbero partite senza di me e io non volevo assolutamente farmi scappare quell’occasione. Afferrai da sotto un mucchio di carte il mio zaino azzurro preferito, quello che aveva solo una cerniera funzionante e ci buttai dentro un paio di pantaloni che giacevano sul letto, una felpa e tre o quattro paia di mutande. Spostai un grosso mucchio di mappe e presi un compasso, una mappa stellare che raffigurava in modo un po’approssimativo tre grossi quadranti dell’universo e il mio coltellino svizzero. L’avevo rubato ad un grosso ed ubriaco ufficiale della polizia di frontiera spaziale qualche anno prima e da allora l’avevo sempre portato con me. Lo agganciai alla cintura e lo coprii con la maglia. Sistemai lo zaino sulle spalle e mi voltai a guardare per l’ultima volta la mia cameretta “Ciao, ciao, credo che mi mancherai un sacco.” Detto questo mi lanciai a velocità folle giù per la scala. Spalancai la porta d’ingresso con un calcio e esordii “Sono pronta a partire!” Eleanor esclamò “Alla buon ora! Mi stavano cominciando a venire i capelli bianchi!” Ariana invece mi sorrise amichevolmente “Ottimo, siamo pronti a partire.” Prese dalla borsetta una specie di piccola trasmittente e disse “Van, accendi i motori, siamo pronti a partire.” Domandai “Chi è Van?” La mia nuova amica rispose sconcertata “Ma è il nostro pilota! Che razza di domande fai?” Alzai le spalle imbarazzata “Credevo che la navetta la guidasse tua madre…” “Ma scherzi! Pilotare le astronavi è roba da poveracci!” Arrossii sentendomi alquanto stupida. Ora non ero più sulla mia solitaria scogliera della Cornovaglia, stavo entrando in un mondo totalmente diverso dal mio e invece di fare un ingresso in grande stile ero rotolata giù dalle scale, che non era il miglior modo di cominciare secondo il mio modesto parere. Comunque non ebbi abbastanza tempo per pensare alle mie figuracce che una navetta di un bianco accecante emerse da dietro le rocce. Rimasi a bocca aperta: non avevo mai visto niente di così bello dal vivo! Ci girai attorno “Wow, questa astronave è bellissima! Esterno in acciaio rinforzato, giunture con bulloni stellari, finestrini in cristallo Kristaal, motore Q-25 a fusione nucleare potenziata e preparato ad affrontare milioni e milioni di Parsec!” Eleanor mi squadrò come se avessi parlato arabo “Eh?!” Sorrisi “Ho una passione per le astronavi, guardo i cataloghi che arrivano per posta.” “Ah, ok.” Alzai un sopraciglio “Ti sembra una cosa da sfigati?” “No, assolutamente…ok, si, mi sembra una cosa veramente stupida.” Il pilota Van aveva parcheggiato, aperto il portellone e la signora Hamilton era già salita, così mia madre mi disse “Alex, forza, sali.” Mi voltai verso di lei “Mi dispiace tanto mamma, non volevo lasciarti sola.” “No Alex, non devi dispiacerti, la colpa è solo mia. Avrei dovuto mandarti su Camp molto tempo fa.” “Oh, mamma, non è colpa tua, tu hai fatto solo quello che credevi fosse meglio per me. Tu hai sempre voluto il mio bene, sei la mamma migliore che io potessi mai desiderare.” La abbracciai. Dopo pochi secondi un clacson fece tremare l’aria. Mi girai di scatto e vidi Eleanor che percuoteva violentemente il pulsante, veramente impaziente di andarsene. Sospirai “Devo  proprio andare adesso.” Mamma annuì “Si, vai.” Camminai verso il portellone mentre il pilota accendeva di nuovo i motori. Quando ero dentro mia madre mi gridò “Alex!” Mi girai immediatamente verso di lei mentre il vento provocato dai propulsori mi faceva sventolare i capelli e minacciando di strapparmi via la maglietta e i pantaloni lasciandomi con un palmo di naso in mutande “Si?!” “Non avere paura, brillerai come una stella!” Urlai di rimando “Perché mi dici questo?” “Perché…” In quell’istante il portellone si richiuse e tutto quello che potei vedere fu la faccia di una ragazzina con i capelli sconvolti riflessa sulla porta nera e lucida. Maledissi centomila volte Van e biascicai “Cosa vi costava lasciar finire di parlare mia madre?” Eleanor era distesa sui sedili dietro che erano bianchi e sembravano dei divanetti, mentre sua madre era seduta su quello davanti giusto vicino al pilota. La nave era molto bella per dentro e per essere un’astronave privata era anche abbastanza grande. Sembrava una limousine con quel pavimento nero lucido e con i sedili chiari, normalmente sarei stata iper eccitata di entrarci mentre in quel momento ero solo particolarmente irritata. Ero sicura che quello che la mamma voleva dirmi fosse stato di grande importanza. Eleanor mi rispose “Oh, avanti, non te la sarai presa per così poco?” Scossi la testa “No, no.” La signora Hamilton mi sorrise ancora come se fossi stata una bambina piccola “Alex non stare lì in piedi, vieni a sederti qui accanto a Ele.” Volevo dirle che sua figlia probabilmente pensava che avessi la peste ma stetti zitta ed eseguì. La donna sembrava soddisfatta “Perfetto, mettiti pure comoda cara, il viaggio durerà circa un’ora.” Un’ora?! Era un’infinità di tempo, le Energie avevano scelto proprio bene il pianeta, doveva trovarsi nella galassia più sperduta dell’universo! Non avevo proprio nessuna intenzione di starmene zitta per un’intera ora, così mi rivolsi ad Eleanor “Allora, tuo padre è Anubis, eh?” Lei rispose mentre si metteva lo smalto sulle unghie “Già.” Domandai “Ma quello smalto da dove lo hai tirato fuori?” Lei per la prima volta mi sorrise “Scoprirai che sono una persona piena di risorse.” La cosa mi spaventava un po’, così decisi di cambiare argomento “Quindi com’è vivere su Camp?” “Oh, devo dire che è abbastanza fico, gli allenamenti sono divertenti e ci sono un sacco di ragazzi carini.” “Oh, quindi in questa scuola ci sono anche maschi?” “Assolutamente si, sai che noia altrimenti?!” “E che si studia?” “Beh, impariamo a leggere le mappe stellari, facciamo lezioni di matematica avanzata, fisica, astronomia e decifriamo gli antichissimi documenti delle Energie, molto noioso.” A me tutto quello sembrava semplicemente favoloso, ma non dissi nulla “E per il resto del tempo?” Gli occhi di Ele si illuminarono “Oh, fortunatamente quelle che ti ho illustrato sono solamente le attività secondarie, lo scopo principale della scuola è quello di fare diventare delle mezze cartucce come te degli eroi o eroine come me!” Mi azzardai a fare una domanda che non dovevo fare “E come?” “Combattendo e allenando i nostri poteri!” Deglutii a fatica “Per combattere intendi lezioni di pugilato con protezioni e guantoni, vero?” “No, affatto!” “Mica useremo le pistole?!” Lei si mise una mano sulla fronte “Oh, voi novellini non sapete proprio nulla! Noi mezzosangue combattiamo con archi, frecce, pugnali e spade che uniti ai nostri poteri ci rendono invincibili.” Quella era proprio la risposta che speravo non avere, dato che ero una schiappa nel combattimento e non avevo proprio nessunissima qualità speciale. Avevo capito che per ottenere delle rispose decenti da Eleanor dovevo lusingarla e farla sentire diecimila volte più importante di me “Siccome tu sei così esperta posso chiederti che genere di poteri hanno i mezzosangue?” Ele sorrise “Dato che sono esperta ti risponderò: generalmente abbiamo delle superqualità legate alla parte di universo che i nostri genitori hanno creato. Ti faccio un esempio: mio padre è Anubis, colui che comanda sull’oltretomba. Io posso usare la sua dimensione per spostarmi da un punto all’altro di un qualsiasi pianeta e siccome negli inferi il tempo non passa i miei spostamenti sono immediati.” Sgranai gli occhi “Wow! È una cosa fantastica!” “Già!” Immediatamente mi venne in mente una cosa “Ma aspetta, io non so quale Energia è mio padre. Io non ho mai fatto niente di speciale, non so a quale sfera sono legati i miei poteri.” Eleanor chiuse la boccetta dello smalto con l’aria di una che la sa veramente lunga “Non ti preoccupare, praticamente tutti i ragazzi appena arrivano su Camp non sanno di possedere dei poteri e chi è il loro genitore Energia, poi nel giro di due e tre giorni i loro padri o madri immortali vengono a fare una visitina a mio padre e confermano la loro paternità o maternità.” “E’ mai successo che un genitore non si sia presentato?” “ Oh, si, tantissime volte!” “E allora quei poveretti come hanno fatto?” “Semplicemente hanno manifestato le loro caratteristiche speciali, così mio padre e gli anziani hanno potuto catalogarli.” La cosa mi sembrava un pochino ingiusta ma comunque non mi sembrò una cosa molto intelligente farlo notare proprio alla figlia del direttore del campo, però mi azzardai a farle una domanda che mi frullava in testa da un bel po’ “Senti Eleanor, e se invece di aspettare i comodi delle Energie non andaste a chiedere alle madri o ai padri dei ragazzi? Sono più che sicura che loro sapranno con chi hanno avuto quel benedetto figlio.” Lei mi squadrò come se avessi appena detto che il Sole gira attorno alla Terra “Alex, Alex, Alex, tu sei solo una novellina e quindi non sai ancora un bel niente. Quando le Energie scendono sulla Terra per, ehm, rimorchiare sono sempre in incognito, le povere donne e uomini che si innamorano di loro non conoscono la vera identità, per anni sono sicure di frequentare persone normali.” Sbuffai “Ma non è giusto!” Lei sospirò “Oh, piccola Alex, la vita non è giusta.” Sprofondai nel sedile troppo morbido e cominciai a pensare mentre attraversavamo l’iperspazio. Tutta l’emozione che mi aveva assalita nei primi momenti cominciava a svanire e a lasciare il posto ad una grande paura. Io ero una povera sfigata, neppure sapevo come si impugnava una spada oppure un pugnale, l’Energia che mi aveva generata probabilmente si stava nascondendo e stava facendo finta di non conoscermi. Mia madre aveva fatto bene a tenermi con lei, mi aveva sempre risparmiato una figuraccia pubblica e io avevo rovinato tutto! Sarei rimasta indeterminata per sempre, sarei stata lo zimbello di tutti quanti. Mio padre non sarebbe mai stato fiero di me, non avevo neppure lo straccio di un amico, ero assolutamente imbranata e l’unica cosa che sapevo fare era servire ai tavoli e sorridere ai clienti con una faccia da ebete dicendo “Oh, assolutamente signora, ha ragione lei.” Decisi che avrei solamente provato a vivere su Camp, se avessi fatto altamente schifo sarei tornata con mamma. Forse aveva ragione lei, forse quel mondo non  faceva per me e avrei vissuto meglio senza averci nulla a che fare.  

Quando ero sul punto di far invertire la rotta al povero Van lui si protese verso Ariana “Signora, stiamo per arrivare su Camp, chiedo al signore di disattivare la barriera?” Lei rispose “No, non è necessario.” Domandai ad Eleanor “Di che barriera sta parlando?” “Quando Ra relegò tutti i mezzosangue sul pianeta ebbe un po’ di cuore e creò una barriera che avrebbe impedito ai mostri e ai semplici umani di entrare.” Grugnii “Allora non ci odiava così tanto…” Ariana intervenne immediatamente “Oh, cara, devi sapere che le Energie non odiano i mezzosangue.” Esclamai “Ma li hanno relegati su quel pianeta!” La situazione stava per diventare più tesa quando Ele mi toccò una spalla “Ehi, idealista, lo vuoi vedere Camp?” Io risposi “Si!” Lei indicò qualcosa all’esterno del finestrino “Guarda là!” Mi sporsi dal sedile in per guardare all’esterno e rimasi a bocca aperta: davanti a me c’era un grosso pianeta che somigliava moltissimo alla Terra formato da un’enorme distesa d’acqua dalla quale affioravano tantissime piccole isolette. Al centro, se di centro possiamo parlare, c’era un’isola molto più grossa delle altre tutta completamente ricoperta dalla vegetazione. Le nuvole giravano attorno alla palla facendola sembrare una mummia egizia. Camp era bellissimo, brillava come una stella nell’oscurità del cosmo ed era circondata da un alone azzurrino che emanava una strana potenza. Eleanor me lo indicò “Quella è la barriera.” Siccome non ero troppo convinta di essere una mezzosangue domandai “Sei davvero sicura che io sia, insomma, come te?” “Intendi fantastica oppure una mezzosangue?” Sbuffai “La seconda.” “Beh, mia madre non si è mai sbagliata ma c’è sempre una prima volta.” Mi allarmai “Ma se non lo fossi che mi farebbe la barriera?” “Sinceramente non lo so, non è mai successo che un umano varcasse la soglia di Camp.” Rabbrividendo mi sedetti sul sedile sperando con tutta me stessa di essere una mezzosangue. L’astronave continuò la sua corsa verso il pianeta e io chiusi gli occhi. Dopo un paio di secondi li riaprii dato che sembrava non essere successo niente. Eleanor rise “Ehi, stai tranquilla, sei una mezzosangue, sei passata incolume attraverso la barriera! Guarda tu stessa.” Tastandomi il corpo e la faccia mi alzai in piedi e notai che eravamo entrati nell’atmosfera di Camp. Sorrisi guardando il cielo azzurro e le punte degli alberi che si spostavano sotto la spinta dei nostri propulsori mentre la navetta scendeva tranquillamente. Domandai siccome vedevo soltanto alberi ed alberi “Scusate, ma voi vivete in un bosco?” Eleanor si era messa in piedi e lei e sua madre si erano sistemate accanto al portellone “Lo vedrai.” In quello Van atterrò “Signora, siamo arrivati.” “Grazie mille Van, hai il resto della settimana libera.” “Grazie signora.” “Non c’è di che. Ares?” Una voce rispose “Si signora?” Chiesi “Ma chi è che parla?” “Sono Ares, il sistema operativo della nave del signor Anubis, con chi ho il piacere di parlare?” Sorrisi “Sono Alex Johnson.” “Piacere Alex Johnson.” “Che forza, l’astronave parla…” Ariana Hamilton sorrise “Ares, spegni i motori e apri il portellone, grazie.” “Si signora Hamilton.” La navicella smise di tremare e la porta si aprì. Uscii fuori con tutta la calma della situazione e cominciai a guardarmi attorno: mi trovavo in una specie di foresta piuttosto fitta, con il terreno umido e coperto da felci ed aghi di pino. Eravamo atterrati in un piccolo spiazzo in cemento con un avviso olografico sistemato proprio davanti “Proprietà di Anubis, vietato l’accesso a chiunque abbia intenzione di rubarmi la nave.” Sorrisi e guardai un piccolo stormo di uccelli molto strani e colorati che non avevo mai visto in vita mia. Schiamazzavano felici, i loro versi sembravano addirittura umani. Scossi la testa, le voci che sentivo erano veramente umane e provenivano dal folto della foresta. Eleanor cominciò a camminare nella direzione delle grida e con un gesto plateale da notte degli Oscar annunciò “Alexis Johnson, benvenuta su Camp!” Alzai il capo e notai che la mia nuova compagna era passata sotto una specie di cartello stortissimo che era tenuto su da due pali ancora più storti che come minimo avevano duecento anni. Nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di passarci sotto se non fosse stato per le due piante rampicanti inerpicate sui pali che ad un occhio poco attento li avrebbero potuti far passare per dritti. Sul pezzo di legno che fungeva da cartello c’era scritto qualcosa in una lingua stranissima. Sbattei le palpebre e le lettere cominciarono a vorticare fino a quando composero le parole “Benvenuti su Camp belli (come me) e brutti.” Eleanor capì che avevo letto la scritta e disse “Quello lo ha fatto mio padre. Già da subito possiamo notare che ha un’altissima stima di sé stesso e delle pessime capacità manuali. Seguimi, devo fartelo conoscere.” Sinceramente non avevo nessunissima voglia di conoscere Anubis ma seguii lo stesso Ele strascicando i piedi con la schiena curva sotto il peso dello zaino. Il mio malumore durò molto poco perché immediatamente le piante cominciarono a diradarsi lasciando spazio al più bel villaggio che io avessi mai visto: noi eravamo esattamente sopra una delle due strade principali fatte come in un accampamento romano alla cui fine c’era un’imponente casa fatta tutta completamente di legno con il tetto spiovente, dei gradini che portavano ad un piccolo e graziosissimo portico, con i fiori alle finestre e un grande occhio stile antico Egitto sistemato sul tetto. Dalla via centrale si ramificavano altre viuzze più piccole che portavano a delle altre casette che sembravano dei piccoli bungalow, come quelli che si usano nei campeggi. Le capanne erano fatte tutte con materiali e colori differenti, quella che colpì di più la mia attenzione era interamente fatta in pietra e sembrava proprio uscire dal terreno. In lontananza si poteva vedere la scalinata di quello che a me sembrava un teatro greco e una piccola spiaggia che si affacciava sull’oceano. Tutto questo era popolato da un sacco di ragazzi e ragazze che parlottavano, schiamazzavano, si rincorrevano e che, si, portavano in mano archi, frecce, pugnali, addirittura spade e sciabole. I miei occhi erano fuori dalle orbite “Wow, non avevo mai visto una cosa del genere…” Ele mi passò accanto “Si, ai novellini fa sempre questo effetto. Ah, ecco mio padre!” Dovete sapere che quando vi raccontano storie di Energie che creano il mondo e combattono battaglie per la salvezza dell’umanità voi ve le immaginate favolose, scintillanti, alte tre metri e con indosso armature lucenti e armi fantascientifiche, quindi quando vidi un uomo di circa quarant’anni non più perfettamente in forma con indosso dei pantaloni alla zuava color marrone e una maglietta arancione fluorescente con scritto “Non farmi arrabbiare o ti spedisco…nell’oltretomba” ci rimasi abbastanza male. Non era affatto come me l’ero immaginato, sembrava un uomo assolutamente normale, l’unico dettaglio che poteva ricondurlo all’Energia che aveva creato gli inferi erano i capelli e gli occhi di un nero talmente scuro che neppure si vedeva la pupilla. Appena ci vide esclamò “Ariana! Tesoro!” Lei sorrise “Ciao amore.” “Dove sei stata di bello? Quando non ho visto la nave mi sono preoccupato da morire!” Eleanor mi sussurrò “Della navicella, non di noi.” La signora rispose “Sono stata a caccia di mezzosangue e guarda cosa di ho portato!” Mi indicò. Io sorrisi tesa “Ehm, salve.” Lui sembrava particolarmente felice “Ah, una novellina! Bene, era da anni che su Camp non arrivata qualcuno di nuovo, ogni giorno dovevo vedere sempre le stesse facce, che barba! Ma ora ci sei tu! Come ti chiami biondina?” “Sono Alex Johnson.” “Ah, che coincidenza, io conoscevo una ragazza una volta che si chiamava Daisy Johnson!” Risposi “E’ mia madre.” Lui scoppiò a ridere come se avessi detto al cosa più divertente del mondo “Ah, guarda te com’è piccolo l’universo! Spero che tu abbia ereditato il suo cervello! Comunque Alex, benvenuta su Camp! Spero che mia figlia Eleanor non ti abbia già spaventata con tutte quelle storie di feriti nei combattimenti.” Biascicai “No non lo aveva fatto, ma ci ha appena pensato lei.” Anubis mi diede una pacca sulla schiena che mi fece quasi vomitare le budella “Non temere Alex, non ti farai alcun male! Sai chi è il tuo genitore Energia?” “No.” “Hai mai manifestato delle qualità speciali?” “Non saprei…” “Hai mai polverizzato nessuno mentre eri furiosa? Oppure hai mai spostato menhir da centinaia di chili da sola? O ancora hai mai ruttato fiamme?” Sgranai gli occhi “No, nulla di tutto questo!” “Già, lo immaginavo, ti vedo piuttosto magretta. Non avere paura, ti metteremo all’ingrasso!” Sussurrai sempre meno a mio agio “Io sto bene così…” Lui però non sembrava avermi sentita “Allora Alix…” “Alex.” “Quello che è…hai mai usato un arco?” “No.” “Clava?” “No.” “Mazza chiodata?” “No.” “Pugnale?” “No.” “Sciabola?” “No.” “Spada?” “No.” Anubis si scrocchiò le dita “Poco importa. Vedrai Alex, un paio di settimane su Camp e saprai usare tutte queste armi ad occhi chiusi! Questo è un pianeta magico, qui trasformiamo le mezze cartucce…” Mi indicò da capo a piedi “…in grandi eroi!” Indicò Eleanor. Mormorai “Il mondo ha bisogno anche delle schiappe…” Ma questa non era la filosofia del grande Anubis e chi ero io per contestarlo? Lui non sembrava aver sentito però “Bene, bene. Ele, perché non porti la nostra nuova ospite a fare un giro? Sono sicura che le piacerà moltissimo la sua nuova casa!” Lei sbuffò indicando un gruppetto di ragazze vestite di rosa e urlanti “Ma papà, e il mio fan club? Loro sono qui per me!” “Non ti farà male frequentare qualcuno di diverso ogni tanto.” “Ma papà!” Anubis sbuffò “E va bene, se oggi accompagnerai Alex inviterò tutte le tue amichette a casa nostra per un pigiama party.” Lei sorrise “Oh, grazie papi, sei così buono!” Alzai un sopraciglio “Una grande Energia si fa battere da sua figlia…” Lui mi squadrò bene “Fai del sarcasmo contro un’Energia?” “Può essere.” La sua espressione era imbronciata ma potevo vedere lontano un chilometro che in realtà stava sorridendo “Credo che dovrò tenerti d’occhio ragazzina.” Eleanor mi chiamò “Alex! Dai, non ho tutto il giorno!” Salutai Anubis “Arrivederci signor Anubis.” “Ciao Alex Johnson.” Seguii la mia nuova compagna che aveva deciso di prendere una delle stradine che si ramificavano da quella principale “Ecco, queste sono le case dove vivono i mezzosangue. Generalmente i figli di una stessa Energia si considerano fratelli e quindi condividono la stessa cabina.” Domandai osservando una delle casette “Tu hai dei fratelli?” “No, mio padre non ha avuto altre donne all’infuori di mia madre.” “Qual è la tua casa?” Lei mi guardò di nuovo con una faccia stralunata “Scherzi? Io non vivo in una di queste specie di topaie! Mio padre ha costruito una vera casa a  pochi metri da qui. Al contrario di queste è grande, modernissima, ha un giardino favoloso e anche una piscina!” Commentai “Wow, vi trattate bene!” “Già, mio padre è molto ricco.” In quello Eleanor si bloccò e digrignò i denti come se fosse stata un cane che ringhiava. Le chiesi anche se ormai mi aspettavo di tutto da lei “Che succede?” “Adele.” “Chi?!” “Adele!” Mi indicò una ragazza che stava venendo verso di noi. Non era molto alta, sembrava molto più grande di noi, aveva dei capelli tagliati a caschetto di colore marrone e occhi dello stesso colore. Non aveva l’aria di una persona troppo intelligente e non mi piaceva affatto il sorrisetto cattivo che aveva dipinto sulla faccia mentre camminava aiutandosi con quella che doveva essere una lancia da combattimento. La ragazza aprì la bocca e disse con una voce stridula e antipatica “Oh, chi si vede! La grande Eleanor!” Lei rispose “Tu non sei neppure degna di pronunciare il mio nome!” L’altra mosse una mano “Oh, sta’ un po’ zitta.” “Stai zitta tu!” Adele si accorse della mia presenza, cosa che avrei tranquillamente evitato “Oh, e chi è questa sfigata?” Risposi “Sono Alex Johnson, sono nuova.” Lei sorrise malevola “Eleanor, come sei caduta in basso, non ti avevo mai vista in compagnia di una novellina che ha addosso i vestiti di tre o quattro stagioni fa.” Stavo per risponderle che l’apparenza non conta e che lei sembrava avesse scuoiato un serpente per vestirsi, ma la strega riprese a parlare “Il mio nome è Adele Muck, figlia di Seth.” Sollevai un sopraciglio “Nella mitologia egizia Seth non era il dio cattivo che aveva assassinato il povero Osiride?” Gli occhi di Adele diventarono due fessure “Attenta novellina, non vorrai farti un nemico ancora prima di cominciare gli allenamenti?” In quel momento un ragazzo alto e muscoloso con dei capelli neri e due occhi favolosi scuri quasi come quelli di Anubis e vestito con un’armatura completa mise una mano su una spalla di Adele “Adele, cominci a spaventare i ragazzi nuovi prima di scendere sul campo? Non è corretto!” Eleanor sorrise “Eh Adele, ascolta il capo!” Lei sbuffò “Si, ok.” Si gettò i capelli oltre le spalle, lanciò un’occhiataccia ad Ele che rispose con una parolaccia e mosse frettolosamente le labbra verso di me ma riuscii a leggere lo stesso il labiale “Non finisce qui.” Il ragazzo muscoloso mi sorrise “Scusala, a volte è un pochino intrattabile.” Eleanor roteò gli occhi “Più di qualche volta…” L’altro fece finta di non averla sentita e si rivolse a me “Tu devi essere la nuova mezzosangue.” “Si, sono Alex Johnson.” “Tanto piacere, il mio nome è Tom Zoffi. Con i miei diciannove anni sono il mezzosangue più vecchio e quindi quello che sta in questo campo da più tempo, per questo molti ragazzi mi chiamano “il capo”. Hai già conosciuto il signor Anubis?” Annuii. Tom rise “E’ un po’strano, vero? Un po’ troppo pieno di sé, difetto comune tra le Energie.” Queste sue parole mi colpirono parecchio anche se non sapevo perché. Fu come se qualcuno me le avesse impresse nella memoria con uno scalpello. Ribattei “A me è sembrato simpatico.” “Beh, ognuno ha i suoi gusti. Sai già chi è il tuo genitore immortale?” “Purtroppo no.” “Preparati ad aspettare a lungo allora.” In quell’istante un altro ragazzo gridò “Tom! Tom, vieni qui in momento!” Lui si aggiustò la corazza dorata che portava addosso e ci sorrise “Scusate, mi chiamano. È stato un piacere conoscerti Alex Johnson, Eleanor sei bella come al solito!” E si incamminò verso il tipo che l’aveva chiamato. Ele mi fece cenno di continuare a camminare “Mi piace un sacco Tom, è un ragazzo proprio a posto.” Mi scappò un sorriso “Non sembra che tu sia in buoni rapporti con Adele, però.” “Lunga storia.” “Oh, dai, mica sarà un segreto!” Lei sbuffò “Diciamo solo che un paio di anni fa mio padre aveva indetto un concorso di lotta e il vincitore avrebbe avuto come premio una splendida lancia elettrica. Sta di fatto che io e lei arrivammo in finale ma durante la battaglia lei mi fece cadere e usò i suoi stupidi poteri per impedirmi di alzarmi così persi l’incontro. Protestai a lungo con l’arbitro ma Adele continuava a negare e siccome io in passato avevo fatto qualche minuscolo ed insignificante falluccio durante un paio di incontri lui assegnò vittoria e lancia a lei.” “Quindi da quel giorno la odi.” “Precisamente. Però devo ammettere che sei stata forte prima, non tutti i novellini avrebbero saputo rispondere ad Adele.” “Grazie.” “Figurati e ritieniti fortunata, la grande Eleanor non fa spesso complimenti.” Scossi la testa e pensai che in fondo era proprio simpatica e che forse saremmo potute diventare grandi amiche. Comunque camminando avevamo oltrepassato le casette ed eravamo arrivati nella zona dell’anfiteatro. La struttura era adagiata sui fianchi di una collinetta ed era davvero imponente. Avrei voluto darle un’occhiata da dentro, ma il cancello che mi avrebbe portata dentro era chiuso da un’inferriata “Eleanor, come mai il teatro è chiuso?” Lei fece una voce profonda come se stesse imitando un uomo “L’arena dei combattimenti può essere aperta solo se gli ibridi sono accompagnati dall’insegnate, regola del consiglio supremo.” Poi tacque e si ravvivò i capelli con violenza “Come sto?” Aggrottai le sopraciglia “Come mai me lo chiedi?” “Per nessun motivo, allora vuoi dirmi come sto?!” Misi le mani in avanti per proteggermi dalla sua foga “Stai benissimo.” “Si, questo è vero!” Mi voltai verso l’arena ed intuii che il comportamento più stravagante del consueto di Eleanor doveva essere determinato da uno dei due ragazzi che stavano venendo verso di noi. Devo ammettere che Eleanor aveva ragione a preoccuparsi del suo aspetto dato che quei due erano proprio carini: erano identici, dovevano essere gemelli, entrambi erano alti e magri con gli occhi più blu che avessi mai visto in tutta la mia vita. Erano vestiti allo stesso modo con gli stessi orribili pantaloni alla zuava marroncini e la stessa maglietta, uno verde e l’altro blu. L’unico dettaglio che mi permetteva di distinguerli erano i capelli: uno era castano scuro mentre l’altro era biondo quasi platino. Quello moro ci sorrise o, più precisamente, sorrise ad Eleanor “Ciao Eleanor!” Lei ricambiò “Ciao Alvaro.” Poi decisamente più tagliente al suo gemello “Ciao Juan.” Lui alzò un sopraciglio e biascicò “Ciao Eleanor.” “Ancora arrabbiato per la sconfitta?” Juan alzò gli occhi dal terreno e puntò un dito contro la mia amica “Non è stata una sconfitta leale, tu hai imbrogliato!” Tutto quello che fui in grado di pensare fu “Accidenti, che occhi fantastici!” Il gemello moro si voltò verso di me “Ciao, tu devi essere una ragazza nuova, non ti ho mai vista qui!” L’altro gli si avvicinò e sussurrò “Callate Alvaro! Esta chica no me parece una mestizia, mas bien me parece uno de esos stupido humanos.” Tutta l’ammirazione che avevo per quel tipo si sgretolò in un nanosecondo. Ma chi si credeva di essere quel pallone gonfiato? Chi era lui per dire che io non ero una mezzosangue? Risposi “En cambio, soy una mestizia como tú y hablo espanhol.” La faccia di Juan si fece pallida “Come fai a sapere la mia lingua?” “Prima di venire qui facevo la cameriera in un pub frequentato da gente di tutti i tipi e nazionalità, conosco un sacco di lingue.” “Ah.” Così imparava a darmi della stupida umana! Eleanor trattenne un sorriso e disse “Questi due sono i gemelli Alvaro e Juan Riveira, figli di Sekhmet e chiamati i fratelli del tuono.” Domandai “Come mai?” Juan mi rispose con aria di superiorità “Mia madre ha creato la potenza, mi basta sbattere un piede per scatenare un terremoto e farti finire con il sedere per terra.” Alvaro mi sorrise amichevolmente “Come ti chiami?” “Sono Alexis Johnson.” La sua espressione divenne confusa come se il suo cervello fosse troppo piccolo per capire il mio nome “Alexa cosa?” Decisi di fargliela semplice “Sono Alex.” Di nuovo sul suo viso si aprì un sorriso “Tanto piacere, io sono Alvaro, il gemello stupido.” Suo fratello intervenne “No Al, non dire così, non è affatto vero.” “Ma si invece, tu sei il fratello intelligente e potente con tante ragazze, io non sono come te.” Eleanor commentò “Ma chi vorrebbe averlo tuo fratello, non hai visto che le sue storie durano al massimo due giorni?” Lui ribattè “Non è affatto vero, è solo che devo ancora trovare la ragazza perfetta.” Risposi “Buona fortuna allora.” Lui mi guardò male “Fai del sarcasmo?” “No, ero seria!” Juan afferrò per un braccio Alvaro “Andiamo Al, lasciamo Eleanor e la sua amica…umana.” Sospirai: avevo appena messo piede sul Camp e mi ero già fatta due nemici! Cominciavo veramente bene! Ele si accorse della mia faccia triste e disse “Ehi, non dargli ascolto, tu sei una mezzosangue, sei passata attraverso la barriera ricordi? Juan è fatto così, è cattivo con tutti i nuovi arrivati perché vuole far credere di essere il più forte quando non è vero. Lascialo perdere, è un frustrato. Fino alla scorsa settimana mi sbavava dietro, poi l’ho battuto sull’arena e da quel giorno mi odia.” Sollevai le sopraciglia “Ha un rapporto conflittuale con le donne…” “Oh, assolutamente. Ce l’ha a morte con sua madre.” “Come mai?” Nonostante Juan mi avesse trattata decisamente male mi era sembrato una persona interessante ( e non sto solo parlando dei suoi occhi!) e quindi volevo capirci di più sul suo conto “Beh, Sekhmet lasciò Pedro Riveira, loro padre, appena nacquero i gemelli. Così lui si trovò da solo con due bambini appena nati e invece di prendersi cura di loro li abbandonò a sé stessi. Fortunatamente mio padre presto si fece vedere e li portò su Camp. Alvaro è sempre stato decisamente più stupido e molto più ingenuo del fratello, così Juan ha dovuto prendersi cura di lui tutto da solo fin da quando era piccolissimo. Più cresce più prova risentimento per sua madre e per le donne in generale.” Dopo aver sentito cosa gli era successo provavo una grande pena per lui e capivo il suo comportamento. Non doveva essere stato affatto facile prendersi cura di suo fratello al posto dei suoi genitori. Dissi “Mi spiace tanto per lui, vorrei non averlo provocato.” “Ehi, niente rimpianti! Lui ti aveva detto delle cose poco carine in quella lingua assurda e tu gli hai risposto, mi sembra più che corretto! Non sei affatto male come credevo, Alex.” “Grazie del complimento, sempre che lo sia.” Guardai il cielo: il sole stava cominciando a scendere sotto la linea dell’orizzonte e tutti i ragazzi stavano sciamando verso la casa che si trovava in centro al villaggio probabilmente per cena. Io avevo ancora il fuso orario terreste quindi non avevo ne fame ne sonno “Senti Eleanor, io non ho una cabina, dove dormirò stanotte?” La vidi storcere il naso come se quello che stava per dire non le piacesse affatto “In teoria in ragazzi che non sono ancora stati riconosciuti dovrebbero dormire nella cabina diciassette, quella là in fondo. L’unico problema è che non la usa più nessuno da credo dieci anni quindi dentro è cresciuta l’erba, il tetto è mezzo crollato e sono sicura che ci abbia fatto la tana più di qualche animale.” Sospirai, l’idea di dormire in mezzo alle felci e con la testa dentro i bisogni di qualche animale non mi faceva saltare dalla gioia ma mi sarei accontentata “Ok, va bene.” Eleanor strillò “Ma non esiste! La grande Eleanor non può assolutamente lasciare che qualcuno dorma là dentro! I ragazzi credono che ci siano degli spiriti! Per stanotte starai a casa mia, ma solo per stanotte. Domani mattina mio padre ti troverà una sistemazione migliore della cabina diciassette.” Sorrisi “Grazie Eleanor.” “Figurati, ma tu non dovrai dire a nessuno che la Favolosa ti ha aiutata, ho una certa reputazione da mantenere.” Scossi il capo “D’accordo, ma tu parli sempre di te stessa in terza persona?” “No, solamente quando la mia autostima è alta.” Poi “Forza, vieni, mia madre avrà sicuramente preparato da mangiare.” La seguii senza dire una parola. Ovviamente quando Eleanor mi aveva detto che casa sua era molto grande io mi ero immaginata una bella casetta simile a quella che stava al centro del villaggio, non una mega villa bianca con vetrate spaziali, tetto spiovente da una parte e piano dall’altra, giardino pressappoco grande come il prato che stava davanti all’Admiral e vialetto d’ingresso in pietra con accostati dei paletti ad auto luminescenza. Rimasi semplicemente a bocca aperta. Ele sorrise “Questa è casa mia, carina vero?” Esclamai “Carina?! È la cosa più bella che io abbia mai visto!” Era talmente bella che avevo paura di entrarci, temevo di poterla sporcare con il mio fetido alone mortale! La mia amica mi spinse lungo il viale “Forza, forza, andiamo!” Arrivati nell’ingresso appoggiò il pollice sulla porta che era senza maniglia e quella si aprì da sola. Dissi “Accidenti, dovrò fare molta attenzione a non chiudermi fuori!” “Già, e non appoggiare il dito qua altrimenti la casa di darà la scossa!” Mi appuntai mentalmente di non farlo per nessuna ragione nel cosmo e varcai la soglia. Il mio unico pensiero fu “Voglio una casa come questa!” L’interno era ancora più bello dell’esterno: ero arrivata nell’atrio più moderno che avessi mai osato immaginare con le pareti bianche ricoperte da quadri di Eleanor da piccola, foto del matrimonio di Ariana con Anubis e mezzo affresco egizio che sembrava staccato da una piramide che lo raffigurava con la testa da sciacallo in un banchetto con tutte le altre Enegie. Riconobbi Sekhmet, Osiride, sua moglie Iside e Ra. Accanto alle foto c’era una pianta rampicante che mascherava una chiazza nera sulla parete, sicuramente opera del maldestro padre di Eleanor. Da lì si poteva entrare nel soggiorno che era tutt’uno con sala da pranzo e cucina. Il divano nero era elegantissimo e stava benissimo con il tavolino design in vetro, le lampada di tutte le forme e dimensioni e un grandioso pianoforte a coda bianco che si specchiava nella mastodontica vetrata. La cucina era grande come tutta casa mia messa insieme e completamente candida, fatta eccezione per il lavello e il frigorifero che erano neri. La sala da pranzo ospitava un tavolo eccessivamente lungo e decisamente troppo sottile per poter sostenere un piatto, per non parlare delle sedie. Decisi che mi avessero fatto cenare lì avrei rubato uno dei puf che c’erano nel salotto. La signora Ariana ci venne incontro con addosso un grembiule “Oh, ragazze, siete arrivate giuste per cena!” Ele domandò “Mamma, Alex può fermarsi a dormire da noi?” Sfoderai uno dei miei sorrisi migliori dato che non avevo nessuna voglia di andare nella cabina diciassette “Giuro che non sarò un disturbo.” La signora Hamilton mi sorrise “Oh, ma certo cara. Per noi è sempre un piacere ospitare le amiche di Ele.” “Soprattutto se non sono vestite di rosa e tengono il volume sotto i 130 decibel!” La voce mi fece fare un salto mortale per la paura. Il signor Anubis era apparso nel bel mezzo del salotto con la sua maglietta arancione e un papiro lunghissimo sotto al braccio. Ele sbottò “Papà non criticare le ragazze del mio fan club!” Domandai “Hai un fan club?!” Anubis annuì gravemente “Assolutamente, mia figlia è una delle eroine più dotate all’interno di Camp e molte ragazze vogliono essere sue amiche. Lei le ha schiavizzate e siccome loro sono mentecatte si fa adorare al pari di un’Energia. Ha preso tutto dal suo paparino!” “Tutto tranne il cervello, grazie al cielo!” Non sapevo se dovevo essere spaventata da quella assurda famiglia oppure mi faceva sbellicare dalle risate. Per togliermi dall’impiccio dato che Ele e suo padre stavano litigando per un’idea che lei gli aveva venduto e che lui adesso non voleva più riguardo ad una poveretta di nome Clara le Blanca mi misi ad osservare una foto del matrimonio degli Hamilton. C’erano un sacco di persone attorno a loro ma solo un paio attirarono la mia attenzione: la prima fu Anubis, almeno quattordici anni più giovane e con dei veri pettorali, la seconda fu una donna mora che aveva gli stessi occhi di Juan e Alvaro e la terza fu un uomo dallo sguardo antipaticissimo che mi ricordava tanto Adele. Il quarto era un uomo giovane, di venticinque anni appena, biondo con gli occhi azzurri che aveva qualcosa di veramente familiare. Ero convintissima di averlo già visto anche se non avevo la minima idea di dove. Anubis mi si avvicinò “Ti piace quella foto?” Eleanor rise “Quella dove non hai ancora i pettorali scaduti?” Lui mi sorrise alzando le sopraciglia “Ero fico, vero?” Annuii poco convinta “Certo, certo. Queste persone sono le Energie?” Il suo sguardo si fece più attento “Sei una ragazzina molto perspicace, da cosa lo hai capito?” Indicai la donna “Questa signora ha gli stessi occhi dei gemelli Riveira e questo qua imbronciato invece è la fotocopia di Adele Muck.” “Precisamente, quella lì è Sekhmet, mentre quell’idiota è Seth. Io non lo volevo alla festa ma Ra mi ha costretto, dato che non voleva sedare un'altra guerra.” Gli domandai “Chi è questo ragazzo?” “Ah, quello. Beh, ti consiglio di non chiamarlo ragazzo, potrebbe offendersi dato che è il più anziano di tutti noi.” Si sentì un tuono e Anubis biascicò “Scusa, scusa, non volevo dire anziano, volevo dire, ehm, maturo.” Sorrisi “Questo è Ra?” “Si.” “Sembra giovane per avere circa tredici miliardi di anni.” “Ah, vedi Alex, noi Energie possiamo apparire come più ci piace. Possiamo diventare animali, piante, persino asteroidi o pianeti ma generalmente preferiamo la forma umana perché ci piace assomigliare alla stirpe che abbiamo creato. Quando siamo umani possiamo decidere se rivelarci come bambini, come adulti oppure come ragazzi. Io ho scelto di dimostrare la stessa età di mia moglie ma ci sono altre Energie che amano girare per i pianeti nelle vesti di bambini oppure di bellissime giovani donne come Sekhmet.” “Wow, è una cosa fortissima!” “Si, diciamo di si.” In quello la signora Hamilton ci chiamò “Anubis, Alex, la cena è pronta!” Il padre di Ele disse “Arrivo tesoro, fammi solo riporre il libro dei morti.” Esclamai “Il libro dei morti? È quel papiro che ha sotto il braccio?” “Proprio così, qui ci sono scritte tutte le regole dell’oltretomba. Le ho ideate io stesso, poi le ho fatte correggere a Ra perché lui dice sempre che io sono un po’ troppo fantasioso. Generalmente non  ho bisogno di usarlo, ma oggi avevo un caso speciale: una donna ha attraversato praticamente mezzo universo per supplicarmi di farle resuscitare il marito.” “E lei lo ha fatto?” “Ho dovuto consultare tutti i papiri prima di decidere, ma alla fine ho accettato. Devi sapere Alex che in un secolo ho la possibilità di fare tornare in vita solamente due persone, non una di più, quindi devo sceglierle bene.” Detto questo appoggiò l’immenso papiro a casaccio sul divano e si sedette attorno al tavolo. Io mi avvicinai, con la netta sensazione che quelle sedie fossero troppo leggere per sostenere qualsiasi cosa. Penserete che come tutte le ragazzine avessi anche io il complesso del peso, ma vi posso giurare che sembravano fatte di cristallo di colore nero, talmente leggero che anche solo il respiro avrebbe potuto incrinarlo. Quando però vidi che Anubis si gettava di peso sopra una e quella non si rompeva mi decisi. Spostai la sedia accanto ad Eleanor e feci per sedermi, ma caddi a terra di schianto! Sbattei violentemente il sedere a terra e mi feci un male da morire “Ahi! Che male!” Eleanor scoppiò a ridere “Alex, ma che fai?!” Risposi massaggiandomi una chiappa con aria particolarmente imbarazzata “Non è colpa mia, la sedia non mi ha tenuta!” Avevo fatto proprio una bella figura davanti al capo del campo, se continuavo così l’indomani non mi avrebbe dato in mano nessuna arma, convinto che avrei potuto attentare alla vita di tutti! Ariana Hamilton mi sorrise “Scusami Alex, è colpa mia, mi sono scordata di darti una sedia adatta a te.” Balzai in piedi temendo che volesse darmi un seggiolone “Cosa significa adatta a me?” “Vedi, queste sono sedie d’ombra, solamente Eleanor e suo padre possono usarle per sedersi, tutti gli altri ci passerebbero dentro cadendo a terra come hai fatto tu.” Ele ridacchiò “Alla nostra sedia non stavi affatto simpatica Alex, si è aperta senza neppure frenare la tua caduta!” Anubis rideva “Ah, ah, è stato decisamente comico!” Afferrai la sedia normale che la mamma di Eleanor mi porgeva e risposi “Ah, molto divertente signor Anubis, molto! Se lei avesse delle sedie normali io non sarei caduta!” “Oh, ma che bello c’è Alex? Le cose normali sono noiose.” “Io non sono dello stesso parere…” E la mia convinzione si sarebbe fatta sempre più forte durante la serata, ma sfortunatamente non lo sapevo ancora. Il signor Anubis afferrò una brocca e si versò nel calice di cristallo un liquido bianco “Ariana, hai preso il più fresco che c’era?” “Certo tesoro, appena munto!” Esclamai “Ma lei beve latte?” Lui si accigliò “Perché, hai qualcosa contro il latte?” Scossi la testa “Ma lei è un uomo adulto, il latte lo bevono i bambini! Le persone cresciute lo prendono solo a colazione, non durante la cena!” “Tesoro mio, devi sapere che per farmela pagare per una marachella che avevo fatto il carissimo Ra mi ha trasformato in uno sciacallo, sono rimasto in quella forma per circa duecento anni e quindi alcune piccole abitudini di quel maledetto animale mi sono rimaste.” Eleanor mi sussurrò “Come marcare il territorio!” Ariana portò in tavola i piatti “Eleanor, non prendere sempre in giro tuo padre.” “Ma mamma, lui è stupido e quindi mi da i pretesti per prenderlo per i fondelli!” Siccome non avevo voglia di stare ad ascoltare i loro litigi familiari decisi di cominciare a mangiare, così tolsi il coperchio dal piatto e…orrore! Lì giaceva un orribile scorpione cotto con ancora addosso il pungiglione! Rimasi a fissarlo per non so quanto tempo mentre Anubis elogiava l’alta cucina di Ariana. Io non avevo nessuna ma proprio nessuna, nessuna, nessuna intenzione di mangiare quell’animale! Io gli scorpioni li ammazzavo con le ciabatte e li gettavo giù dalla scogliera, era impensabile che uno di loro finisse nella mia pancia! Sarebbe stato come ingoiare, che so, un serpente! Vendendo che non mangiavo Ariana mi domandò “Cosa succede Alex? Non ti piace la mia cucina?” Siccome non potevo dirle che nessuna persona normale si sarebbe mai sognata di cucinare uno scorpione le sorrisi “No, no, signora Hamilton, piatti come i suoi non li fa proprio nessuno.” “Oh, grazie cara!” Annuii “Già…proprio nessuno.” Afferrai forchetta e coltello e tentai di bucare l’esoscheletro, tuttavia non ottenni risultati. Allora, siccome gli altri erano tutti intenti a mangiare lasciai andare la forchetta e menai un colpo micidiale sulla schiena dell’animale. Invece di aprirsi quel maledetto decise di diventare pilota, prendendo il volo e andando a conficcarsi su uno dei bracci più alti del lampadario di cristallo che avevamo sopra la testa. Imprecai a bassa voce maledicendo trecentomila volte lo scorpione e anche la cucina della signora Ariana. In quello Eleanor si pulì le dita sul tovagliolo e disse “Ehi, avevi veramente tanta fame, l’hai finito prima di me!” Sorrisi “Già, era veramente delizioso, mai mangiato scorpione più buono!” Anubis osservò il mio piatto “Ma hai mangiato anche la corazza e il pungiglione?” Sgranai gli occhi e mi afferrai ad inventare una scusa “Da dove vengo io non si spreca nulla.” Lui annuì versandomi del latte “Giustissimo Alex! Ora, un brindisi. Spero che tu possa passare dei giorni proficui e felici su Camp!” Brindai “Già, lo spero proprio.” Mentre bevevo pensai allo scorpione sul soffitto, ad Adele e a Juan Riveira. Se tutti i miei giorni su questo maledetto pianeta si fossero rivelati come questo la mia vita sarebbe stata veramente dura! Grazie al cielo quella disastrosa cena terminò. Rifiutai gentilmente il budino gelatinoso e stranamente verde che Ariana mi porgeva, però mangiai una mela dato che l’albero che Anubis aveva piantato in giardino, dopo quattordici anni aveva dato i primi frutti. Finito mi mangiare salutai entrambi i genitori della mia amica e assieme a lei salii al piano superiore dove si trovavano le camere. Eleanor fece strada e aprì la porta della sua stanza “Ecco qua, questo è il mio regno!” Per la terza volta nel giro di un’ora rimasi a bocca aperta:la camera della mia amica era enorme, grande almeno dieci volte la mia ed era tutta completamente rosa. I muri, l’armadio mastodontico, il puf, la scrivania, la sedia della scrivania, il letto, il lenzuolo e addirittura le tende erano sui toni del fucsia e del viola. Sembrava di essere entrati in un enorme meringa! Sulle pareti erano attaccati poster di attori e cantanti famosi, le mensole erano piene di medaglie e distintivi di ogni genere e c’erano un paio di cartelloni scritti rigorosamente in penna rosa che recitavano “Eleanor è la migliore!” “Eleanor è fantastica!” “Lunga vita alla Favolosa!” e uno che addirittura la candidava come presidente della federazione galattica! Dissi “Wow, bei cartelli.” “Grazie, li ha fatti il mio fan club!” Si diresse verso la scrivania che vicino aveva appeso un enorme specchio “Io adesso devo fare i miei rituali prima di andare a dormire, preferirei che non facessi domande.” “No no, figurati. Mi basta sapere dov’è il bagno così lavo i denti.” “Prima porta sulla destra.” “Grazie.” Uscii dal confetto e mi diressi in bagno. Mi infilai il pigiama che avevo infilato nello zainetto e mi lavai i denti distrattamente. Cercavo di non darlo a vedere, ma ero semplicemente terrorizzata dagli allenamenti del giorno dopo. Tutti quei ragazzi avevano una straordinaria padronanza delle armi mentre io non sapevo neanche come fosse fatta una spada. Mi avrebbero fatta a fettine e sarei stata rispedita a mia madre dentro un posacenere! Ma per quale motivo avevo accettato la proposta di Ariana Hamilton? Perché non ero rimasta sulla Terra nella mia bella Cornovaglia a fare la cameriera? Non riuscivo a spiegarmi il perché, ma dopo che Eleanor mi aveva raccontato quelle cose sulle Energie mi era venuta una voglia matta di conoscere di più quel mondo così diverso da quello dove vivevo io, popolato da mostri e da eroi che salvavano l’universo. Sapevo benissimo di essere un’imbranata galattica, tuttavia avevo accettato l’offerta perché nel profondo della mia anima provavo il desiderio di cambiare. O forse semplicemente perché non sapevo dire di no a nessuno? La voce di Clarisse mi risuonava in testa mentre mi guardavo allo specchio “Tu non sai dire di no a nessuno Alex.”. Abbassai il capo e mi specchiai nell’acqua che era rimasta nel lavandino. Strizzai gli occhi per vedere meglio perché il riflesso che tremolava nella luce fioca non era il mio “Sei una causa persa, Alex. Sei troppo imbranata, tuo padre non ti riconoscerà mai. Lui è troppo importante per avere una figlia come te.” Quella voce mi fece salire una grande rabbia in corpo, tanto che colpii la superficie dell’acqua e gridai “No! Non è vero!” La voce si zittì e l’acqua tornò a mostrarmi i miei capelli biondi, i miei occhi azzurri e una lacrima che mi era scesa lungo una guancia. Me la asciugai con un gesto di stizza e mi obbligai a non pensare più a tutto quello. Ero su Camp ora, basta. Uscii dal bagno come una furia ed entrai in camera abbastanza scossa. Eleanor aveva infilato una camicia da notte dorata e si era stesa sul letto con una roba verde sulla faccia e due cetrioli sugli occhi. Disse “Ho sistemato una brandina per te. Ora ti sarei grata se non parlassi, per essere bella come sono ho bisogno di almeno otto ore di sonno.” Guardai la sveglia: erano le dieci di sera, non sarei mai andata a dormire così presto. Mi guardai in giro per vedere se Eleanor aveva qualcosa da leggere ma in quella camera non c’era lo straccio di un libro. Domandai “Eleanor?” “Che vuoi?” “In questo villaggio c’è una biblioteca?” “Si, si trova nella casa-capo ma adesso è chiusa.” “Va bene, ci andrò domani dopo gli allenamenti. Grazie.” “Di nulla. Buonanotte!” “Notte.” Spensi l’abatjour e chiusi la porta. L’unica luce che entrava era quella delle due lune di Camp, delle quali ignoravo assolutamente i nomi. Mi misi pressoché comoda sulla brandina e tentai di addormentarmi. Ora, avete mai sentito il rumore che fanno i motori di un aereo? Oppure un martello pneumatico? O ancora una motosega? Il casino che fa il decollo di un razzo spaziale? Forti, vero? No, per niente. Il russare di Eleanor non può neppure essere paragonato a tutto quello, lui non ha rivali. È fin impossibile pensare che una ragazzina così piccola e magra possa fare così tanto baccano ma fidatevi, è proprio così. Me ne stavo con la pancia rivolta verso l’alto e gli occhi spalancati, temendo che Ele potesse far cadere la casa. Erano le tre del mattino e io non avevo chiuso occhio. Per quanto forte il russare di Eleanor non mi avrebbe tenuta sveglia così tanto, il vero problema era che in quella casa c’erano una quantità industriale di rumori molesti. Cominciamo dalla lavatrice che doveva avere il motore di una navetta spaziale dato che si trovava a basso e io, nella camera di Eleanor con la porta chiusa più lei che russava, riuscivo a sentirla lo stesso. Passiamo poi al tetto che era di legno, quindi durante il giorno si dilatava accumulando calore che veniva poi disperso di notte quando tornava in forma ed emettendo degli scricchiolii che avrebbero fatto tremare qualsiasi ingegnere strutturale. Per concludere in bellezza avevamo il signor Anubis, al quale i duecento anni passati da sciacallo avevano fatto molto male, dato che invece di russare come tutte le persone comuni ululava. Io non sapevo proprio come avesse fatto a sopportarlo la madre di Eleanor la prima notte di nozze! Comunque fosse, io non riuscivo a chiudere occhio. Le cose migliorarono ulteriormente perché verso le quattro uno stupido volatile sganciò un uovo sul parabrezza della navetta del signor Anubis facendo scattare l’antifurto che continuò a gridare “Intruso! Intruso!” per una buona mezz’ora.Il mattino seguente qualcosa di terribilmente duro colpì la mia testa facendomi svegliare di soprassalto. Mi girai di scatto e caddi dalla brandina. Appena realizzai dov’ero e cosa mi era successo esclamai “Ma che cos’è stato?” Eleanor era già vestita e sopra la maglietta fucsia acceso e i pantaloni di jeans con gli strappi portava una corazza giallina come quella che aveva addosso Tom il giorno prima, delle gomitiere che coprivano anche l’avambraccio e dei parastinchi. Sventolò una scarpa “A svegliarti è stata la gemella di questa!” Mi massaggiai la testa dove avevo il bernoccolo tentando di rimettermi in piedi “Ma era proprio necessario tirarmi una scarpa in testa?” “Si, non ti svegliavi in nessun modo, non hai neppure sentito la sveglia.” Mi lanciò il mio zaino che la sera prima avevo abbandonato sul pavimento “Coraggio, dobbiamo andare all’allenamento!” Gemetti “Oh, no, non posso saltarlo oggi? Non ho dormito niente ieri notte!” Ele aprì un armadio e cominciò a frugarci dentro come se si fosse trattato di una miniera “Mi spiace, ma gli allenamenti non  si possono saltare a meno che tu non abbia quaranta di febbre oppure un arto di penzoli senza vita da un lato del corpo!” Brontolai mentre mi infilavo la maglietta “Avete una politica un po’ brutale su questo pianeta…” La testa della mia amica rispuntò dall’armadio e mi lanciò corazza e protezioni “Ecco qua, queste ti salveranno la pelle!” Presi l’armatura in mano e quasi venni schiacciata “Mamma mia, questa roba pesa più di me! Non riuscirò neppure a camminare!”  “Beh, è ora di mettere su un po’ di massa muscolare Alex! Forza, andiamo a fare colazione, ho una fame!” Dicendo questo spalancò la porta e si diresse a passo di carica verso la cucina. Io mi alzai a fatica dalla brandina dato che il peso della corazza mi ostacolava i movimenti, allacciai gomitiere e parastinchi e camminando come un pupazzo di neve cominciai a scendere le scale. Con tutta quella roba mi sentivo più imbranata del solito, chi l’aveva inventata probabilmente aveva pensato a grandi eroi estremamente muscolosi come Achille e non gli era passato neppure per l’anticamera del cervello che un giorno una magra e piccola Alex Johnson avrebbe dovuto indossarla per non diventare uno spiedino di carne! Quando arrivai giù fui praticamente catturata dalla signora Hamilton che mi sedette di peso attorno al tavolo e mi fece ingurgitare una scodella di cereali di dimensioni apocalittiche sostenendo che per combattere si ha bisogno di avere molte forze. Ovviamente la paura mi aveva bloccato la digestione, così quando uscii da casa assieme ad Eleanor e al signor Anubis oltre ad avere male a tutta la schiena per colpa del peso dell’armatura avevo anche un mal di stomaco tremendo e mi veniva da vomitare. Nel tragitto fino all’arena Eleanor venne placcata da un paio di ragazze appartenenti al suo fan club, così io rimasi da sola con suo padre. Lui non aveva nessun tipo di protezione e oggi indossava una maglietta verde acido con scritto “So di essere un tipo pessimista, ma che ci vuoi fare: sono il re delle tenebre, io la luce in fondo al tunnel non la vedo mai!”. Mi sorrise amichevolmente “Allora Alex, sei pronta per il tuo primo allenamento?” Risposi con tutta franchezza “No.” Lui scoppiò a ridere e io mi chiesi se in quella testa ci fosse ancora qualche neurone funzionante “Tranquilla Alex, vedrai che ti divertirai! A tutti i mezzosangue piace combattere!” Borbottai “Cominciò a credere di non essere una mezzosangue…” “Ma cosa dici?! Tu sei una mezzosangue e con i fiocchi direi! Sei molto perspicace.” “Si, ok, ma con le armi sono imbranata.” “Vedrai che Albert, il nostro insegnante, ti farà diventare una guerriera provetta!” “Ma se mi infilzano?” “La vedi la corazza che hai addosso?” Alzai le spalle “E come faccio a non vederla?” “Questa impedirà che qualcuno possa farti del male. Sono almeno dieci anni che qualcuno non perde un braccio e credo almeno dodici che non muore nessuno!” Dopo quella rivelazione me la stavo letteralmente facendo sotto. Morire?! Oh no, non se ne parlava proprio! Ormai eravamo arrivati quasi all’arena in mezzo ad una fiumana di altri ragazzi che sgomitavano ma invertii la rotta, meglio un paio di costole rotte a causa della folla che la morte sul campo di battaglia! “Bene, io credo proprio di dover andare…” Anubis mi afferrò per il retro della corazza “No, no, no. Entra nell’arena!” Mi sollevò dal terreno. Io cominciai a scalciare mentre lui mi faceva passare attraverso i cancelli “Mi lasci! Mi lasci! Non ho intenzione di combattere!” “Si invece, vedrai che ti divertirai!” “Non è vero! Non ho mangiato nulla ieri sera, stanotte non ho chiuso occhio e mi viene da vomitare!” “Non essere esagerata!” Mi mise giù. Mi guardai attorno: eravamo all’interno di un teatro greco fatto completamente in pietra. L’arena era in terra battuta ed era fatta a forma di cerchio. Al centro c’eravamo il signor Anubis, io e un altro tipo decisamente grosso e vestito in armatura completa mentre attorno a noi c’erano una cinquantina di ragazzi e ragazze dai quattordici a diciannove anni. Il padre di Eleanor disse “Bene, buon allenamento.” E poi se ne andò lasciandomi accanto all’insegnante. Lui mi squadrò dall’alto in basso “E tu chi saresti?” Risposi “Io sono Alex Johnson, sono nuova. Sono arrivata ieri.” Ci tenevo molto a ribadirlo. Lui rispose “Bene Alexa Jamison, vai in mezzo al mucchio.” “Ma…” “Vai!” Eleanor mi fece cenno di sistemarmi accanto a lei e io eseguii. L’insegnante prese a parlare “Va bene ragazzi, per chi non mi conoscesse sono Albert Rambo, il vostro allenatore. La scorsa settimana abbiamo fatto un po’ di pratica con l’arco, oggi invece ce la vedremo con la spada. Le armi le trovate lì. Fate tutto come abbiamo sempre provato.” I ragazzi sciamarono verso una piccola stanzetta vicino al cancello dell’arena. Era completamente piena di armi di tutti i generi: lance, archi, frecce, scudi, sciabole, spade e addirittura balestre. I ragazzi si gettarono sopra il contenitore delle spade e degli scudi talmente violentemente che credetti che l’armeria crollasse. Una volta che la folla si fu diradata Eleanor, che si era accaparrata la spada migliore, mi indicò un ferro vecchio e abbastanza arrugginito con un’elsa mezza staccata, l’unico che era rimasto “Credo che tu dovrai usare quello lì.” Alzai le spalle, metaforicamente parlando dato che l’armatura pesava più di me “Tanto per quello che riuscirò a combinare potrei combattere anche con un manico di scopa.” Afferrai l’elsa dell’arma e la sollevai. Non avevo mai preso in mano un’arma come quella ma potevo dirvi senza dubbio che era assolutamente sbilanciata. La lama era leggermente troppo pieghevole ma almeno era leggere e riuscivo a sollevarla. Per un momento il sole illuminò l’unico punto d’acciaio non ricoperto dalla ruggine e io mi sentii una delle eroine a cui volevo tanto assomigliare. Tutta la magia svanì quando presi in mano lo scudo: era semplicemente pesantissimo, come avrei fatto a combattere con quel peso da cinquecento chili sul braccio destro era veramente un mistero! Sospirai “Va bene, andiamo.” Strascicai lo scudo a terra fino a quando trovai un minuscolo spiazzo di terra che non era occupato da impegnatissimi mezzosangue. Dissi “Va bene Eleanor, combatti tu con me così non muoio?” Alzai lo sguardo da terra e vidi che lei era lanciata in un combattimento all’ultimo sangue con quell’antipatica di Adele. Una voce mi fece sobbalzare “Io ho già spedito il mio compagno in infermeria e quindi sono libero.” Mi voltai lentamente sperando di essermi sbagliata. Davanti a me c’era Juan Riveira, in armatura completa e con la spada sguainata. In un altro momento avrei detto che era terribilmente carino, ma quel giorno non ero affatto dell’umore giusto “Ehi, Juan. Ehm, no, vedi, io non ho mai impugnato una spada in vita mia, quindi preferirei tenermi alla larga da sfide potenzialmente mortali…” Lui alzò un sopraciglio e mi si avvicinò. Mi mise ancora più paura dato che era dieci centimetri buoni più alto di me “Stai rifiutando una sfida? Lo sai che tutti penseranno che sei una codarda.” Indietreggiai “Io…” Lui alzò la spada puntandomela alla gola “So che te la stai facendo sotto perche sei un’imbranata.” Quello era decisamente vero, ma detto da Juan faceva tutto un altro effetto. Qualcosa, non so cosa, nella mia testa mi fece salire una certa adrenalina e mi fece alzare la spada fino a quando la mia lama non andò a cozzare contro quella di Juan “Sfida accettata!” “Bene.” Lui disincastrò la sua arma e menò un fendente nella mia direzione. Nel mio cervello quella lama minacciosa si tramutò in un bicchiere volante nella mia locanda, così mi spostai velocemente a destra, schivandolo. Lo scudo però era troppo pesante, così non andai molto lontano. Alzai la mano con la spada e tentai di attaccare ma quella maledetta zavorra mi fece perdere l’equilibrio, così il mio fendente andò a vuoto. Il gemello tornò alla carica ma io, non so con quali riflessi, parai la stoccata. La sua faccia trionfante si trasformò in una smorfia siccome non era ancora riuscito a battermi. Tentò altre tre manovre ma io riuscii a pararle tutte con la spada. Me la cavavo veramente bene, ma se volevo batterlo avevo bisogno di attaccare! Sentii che qualche combattimento si era fermato e che i ragazzi ci stavano guardando. Qualcuno stava dicendo  “Dove ha imparato a combattere così la ragazzina?” A dirla tutta non lo sapevo ma appena avevo preso in mano la spada avevo sentito accendersi una luce. Sapevo esattamente cosa fare al momento giusto e potevo vedere sulla faccia di Juan tutto il suo disappunto. Eleanor gridò “Vai Alex!” Doveva aver steso Adele. Juan disse “E’ inutile che resisti, tanto ti batterò!” Risposi evitando un suo colpo “Nei tuoi sogni!” Tentai un balzo in avanti ma lo scudo non mi permetteva movimenti agili. Provai un attacco a destra dove era scoperto ma lui se ne accorse e invece di respingermi con la spada mi diede una scudata in faccia. Leccai l’esterno della sua maledetta zavorra e caddi lunga distesa per terra. Lui con un balzo era sopra di me “Hai finito di scappare!” Affondò la spada ma io mi scansai a destra, poi ripetei la stessa operazione a sinistra. Ero distesa a terra ed ero bloccata dato che non sarei mai riuscita a rialzarmi, ma qualcosa dentro di me mi diceva “Non arrenderti Alex, combatti!” Respinsi il suo ultimo attacco, però lui si accorse che non riuscivo ad alzarmi. Fece un salto indietro e rise “Dai, vieni a prendermi!” Mi voltai verso la folla. Colsi alcuni voci “Non può alzarsi.” “Ma si che ce la fa.” “No, lei è la più magra qua dentro e ha lo scudo più pesante.” Mi girai verso destra, mollai la spada e feci la cosa più incosciente che qualcuno può fare durante un combattimento: sganciai lo scudo. Più di qualcuno domandò “Ma è pazza?” Molto probabilmente lo ero, ma in quel momento tutto ciò che volevo era andare a prendere Juan. Balzai in piedi e corsi verso di lui. Non so con quale forza respinsi il suo attacco e menai un fendente micidiale che si schiantò sul suo scudo. Poi cominciai ad insidiarlo un po’ a destra e un po’a sinistra fino a quando lui non abbassò la guardia. Fu un secondo ma mi bastò. Colpii la sua mano destra e la sua spada volò. Indietreggiai e la afferrai. Tutti gli occhi ormai erano puntati su di noi. Juan aveva il fiatone, era sudato e mi stava guardando con un misto di stupefazione e di invidia, ma potevo vedere benissimo che nel suo sguardo non c’era odio. Disse “Tu, mi hai imbrogliato!” Scossi la testa “No, non è vero!” Sapevo che tutti quanti i mezzosangue di Camp mi stavano fissando ma non volevo assolutamente passare per un imbrogliona “Ti posso giurare che non ho mai preso in mano una spada in vita mia!” Lui ribattè “E allora chi ti ha insegnato tutte quelle mosse? Come facevi ad insidiarmi così? Come mi hai letteralmente tirato fuori a forza la spada dalla mano?” Ammisi “Non lo so.” “Balle, bugiarda!” “Io non sono bugiarda!” Eleanor intervenne “Juan, datti una bella calmata! Quello di Alex è semplicemente talento naturale. Ehi, ragazzi, siamo mezzosangue, noi siamo nati per combattere! Mi sembra più che normale che una di noi sia brava con la spada, no?” Con mio enorme sollievo ci fu un mormorio di assenso. Un ragazzo disse perfino “Io la prima volta che ho preso in mano un arco e delle frecce ho fatto quindici centri consecutivi!” Ele esclamò “Ecco, ad Alex è successo proprio come a Mickey!” Juan, vedendo che la folla mi appoggiava, indicò la sua spada con il mento “Siccome sembra che tu abbia vinto lealmente puoi tenerla. Il vincitore tiene sempre l’arma del vinto qui dentro.” Guardai l’arma che avevo in mano: era molto più corta della mia e molto più bilanciata, con un elsa integra di colore rosso e una lama scintillante, tuttavia non la sentivo giusta per me e poi non sarebbe stato affatto giusto tenermela. La presi per la lama e gliela porsi con l’elsa all’insù “Non si prendono con la forza le cose degli amici.” Lui mi guardò come se fossi stata un individuo alto tre metri con la pelle verde e i capelli viola “Me la stai ridando?” “Si. Prendila, non ho mica la peste.” Lui afferrò la spada e disse “Tu puoi essere davvero tutto, ma non una mezzosangue.” E si diresse verso suo fratello. La folla di diradò ed Eleanor si affiancò a me “Come cavolo hai fatto?” Sorrisi “Non lo so, non avevo mai preso in mano una spada in vita mia!” “Beh, qualunque cosa tu abbia fatto è stata semplicemente epica!” “Grazie mille.” Poi mi venne in mente una cosa “Ele, come mai Juan ha detto che non posso essere una mezzosangue?” “Oh, vedi, noi mezzosangue siamo piuttosto litigiosi tra di noi, sempre in lotta per essere i migliori e accaparrarci le armi che funzionano meglio. Tu invece hai rifiutato la sua spada e quindi anche la tua vittoria su di lui. Questo può essere il comportamento di un umano, di un’Energia, ma non di un mezzosangue.” “Quindi credi che Juan abbia ragione? Non sono una di voi?” “No Alex, tu sei una di noi al cento per cento. Dal primo momento in cui mia madre ti ha adocchiata ha capito che tu eri speciale. Sono veramente pochi i mezzosangue che sopravvivono fino a quattordici anni fuori da Camp, sai?” “Davvero?” “Si, ci sono i mostri e le Energie che non vanno d’accordo con i nostri genitori, per non parlare delle maledizioni. Questi sono alcuni dei motivi per cui esiste questa scuola. I mezzosangue che resistono all’esterno o sono così poco potenti da non destare alcun tipo di sospetto oppure sono estremamente forti e sono stati nascosti veramente bene.” Calciai un sasso “Ah. Dato che non ho nessun tipo di qualità speciale credo di essere inserita nel primo caso.”  “Lo credo anche io, ma ehi, è una cosa buona! Dopo quello che hai fatto stamattina mi sono dovuta ricredere: non sei così male come pensavo!” “Grazie.” “Questo pomeriggio dovevo uscire con le ragazze del fan club, ma rimanderò e ti accompagnerò in biblioteca.” Le sorrisi “Grazie!” Forse avevo trovato un’amica. Il resto della mattinata lo passai ad allenarmi, o meglio, a stupire tutti quanti nell’arena me stessa compresa. L’insegnante era semplicemente entusiasta, aveva persino azzeccato il mio nome tre o quattro volte. Insomma, alla fine della lezione avevo battuto tutti i ragazzi che avevo sfidato, battendone uno più di Eleanor. Quando andammo a mettere giù le nostre armi per andare a pranzo la mia amica mi diede una pacca su una spalla “Ehi, complimenti! Hai spaccato di brutto nell’arena!” “Grazie.” “Sai, è davvero strano che sia proprio io a farti i complimenti dato che hai battuto sei ragazzi su sei mentre io cinque. Generalmente odierei quella persona e a dirla tutta la picchierei, facendo salire anche il mio numero a sei, ma oggi non ne sento il bisogno. Mi sento felice per te, quasi orgogliosa, come se la tua bravura fosse merito mio!” Infilai la mia brutta e vecchia spada dove l’aveva trovata “A dirla tutta il merito è tuo, sei tu che mi hai trovata. Senza di te io sarei ancora a servire ai tavoli dell’Admiral.” Lei ci pensò su un attimo “Ehi, è vero! Oh, ma quanto sono fantastica?! Gente!” Gridò a squarciagola in modo che tutti si voltassero verso di noi “La bravura di questa piccola novellina è tutta opera mia!” Mandò via con una mano una ragazza adorante “Via, via, gli autografi dopo, cara.” Sbattei una mano sulla fronte: la mia amica era veramente incorreggibile! Sulla strada per la casa-capo Tom ci affiancò. Era molto agile, anche se aveva addosso la corazza e tutti gli armamenti “Ehi, ciao ragazze!” Ele lo salutò con nonchalance “Ciao Tom!” Io mossi una mano. Lui continuò a sorridere “Volevo farti i complimenti Alex, sei stata veramente brava giù all’arena.” “Oh, grazie.” “Sei proprio un portento, un talento naturale!” Arrossii “Adesso stai un po’esagerando…” Ele mi diede una gomitata nelle costole “No, fidati, Tom è il più grande schermitore che l’universo abbia mai visto. In un combattimento con un’ Energia non sapremmo proprio chi riuscirebbe a vincere tra i due.” Lui annuì “Proprio così. Uno di questi giorni vorrei veramente sfidarti, Alex!” Risposi “Per me sarebbe veramente un onore!” “Fantastico! Ah Alex, prima nell’arena ti è caduta questa dallo zaino.” Mi porse la mia felpa blu preferita, senza la quale io non potrei mai vivere. Ringraziai “Grazie mille Tom! Quella è la mia felpa preferita, mi spiacerebbe tantissimo perderla.” “Aspetta, te la metto io nello zaino.” “Grazie ancora!” “Ma figurati!” Mi girai, lui afferrò la cerniera e tirò quattro o cinque volte senza risultato “Penso che il tuo zaino sia rotto.” “No, no, è rotta solo una cerniera! Devi spostarla, dietro ce ne è una molto più piccola, la vedi?” “Ah, eccola qui!” Aprì lo zaino, infilò la maglia e lo richiuse. “Accidenti, il tuo zaino è a prova di furto!” Commentò. Io sorrisi “Già, molto comodo.” Detto questo salutammo Tom e ci incamminammo verso casa. Quasi sicuramente la signora Hamilton si era accorta dello scorpione sul lampadario perché per pranzo ci offrì dei buonissimi panini a tre piani. Il signor Anubis mi fece il quarto grado sull’allenamento e ogni due mie parole diceva “Ah, visto? “Ah, lo sapevo!” “Ah, te l’avevo detto! Vero che glielo avevo detto Eleanor?” Entrambi si rivelarono semplicemente entusiasti quando mi alzai da tavola e annunciai che io ed Ele andavamo in biblioteca dato che la mia amica non leggeva altro che riviste di moda. Così uscii di casa convintissima di passare un pomeriggio tranquillo e beato a cercare un buon libro da leggere, magari qualcosa che riguardasse di più gli antichi e i nuovi “sacerdoti”. Non avevo la minima idea di cosa sarebbe successo di lì a poco.    CAPITOLO 2ORIGLIO UNA CONVERSAZIONE D’IMPORTANZA UNIVERSALE“Wow!” Eleanor mi aveva appena portata dentro la casa-capo, non mi aveva neppure lasciato vedere l’ingresso che era subito entrata dentro una stanza spalancando una porta che doveva pesare come tre signori Anubis messi assieme “Ecco qua!” Ero rimasta senza fiato. La biblioteca era una stanza di cui non vedevo la fine, dotata di uno spazio circolare riempito da un grande tavolo di legno pregiato con attorno qualcosa come venti sedie, da lì si diramavano otto corridoi a raggiera, ciascuno delimitato da due grossissimi scaffali strapieni di libri. Ogni scaffale aveva una targhetta che illustrava l’argomento di cui parlavano i libri nella sezione. I corridoi erano collegati gli uni agli altri tramite altri corridoi circolari che li tagliavano trasversalmente. Data la mia fortuna mi sarei persa “Ele, ce l’hai una mappa?” “Oh, non essere ridicola, non ti serve!” “Se mi perdo è colpa tua.” “Che pessimista!” Le domandai mentre mi avvicinavo al tavolo “Chi è che lo usa?” “Mio padre e i saggi.” “Chi sono i saggi?” “Mamma mia come sei curiosa! Non lo so esattamente, credo siano i membri più anziani dei nuovi “sacerdoti”. Comunque sono dei vecchi barbuti e antipatici, ti auguro di non conoscerli mai.” Poi “Allora, che libro vuoi?” Osservai gli scaffali e decretai “Vorrei qualcosa sulle Energie.” Volevo davvero capirci di più riguardo a quella storia. Mi diressi verso il corridoio con la targhetta “Storia dell’universo”. Constatai che avevo veramente bisogno di una mappa o comunque di qualcosa che mi aiutasse a cercare perché in quell’enorme marasma non avrei trovato proprio nulla! Giuro che pensai di essere analfabeta perché a prima vista non riuscivo a decifrare nessun titolo! Era vero che non ero mai stata scuola perché mia madre non aveva abbastanza soldi anche se mi era sempre piaciuta l’idea di andare in una di quelle splendide astronavi scuola dove ci si metteva la divisa, si studiava su computer enormi e si dormiva nei dormitori. Mamma però mi aveva sempre fatto studiare a casa sui suoi vecchi libri, quindi ero diventata piuttosto brava in matematica, astronomia, fisica e scienze. Dissi “Eleanor, vorrei tanto leggere un libro che riesco a decifrare!” Lei mi rispose distrattamente guardando alcuni volumi “Stai tranquilla, fissa attentamente un titolo e vedrai.” Non ne ero troppo convinta, ma comunque feci come ordinato. Come per magia quegli strani segni si girarono e vorticarono fino a quando non formarono una frase di senso compiuto. Esclamai “Wow! Ma che roba è mai questa?” Una voce mi fece trasalire facendomi andare a sbattere contro la libreria e facendo cadere a terra qualche volume millenario “Queste sono rune antiche, il linguaggio dell’universo. Se fossi una vera mezzosangue lo sapresti.” Juan Riveira era davanti a noi con le mani sui fianchi e suo fratello Alvaro alla calcagna con tre o quattro volumi tra le braccia. Eleanor immediatamente rispose “Oh, Juan, che ci fai qui?” “Sono venuto a restituire alcuni libri.” “Perché, sai leggere?” Trattenni a stento una risata. Juan serrò i denti “Ti conviene tacere Hamilton.” Lei sorrise con aria di sfida “Perché, altrimenti che mi farai?” La situazione si stava facendo troppo calda per i miei gusti mentre il povero Alvaro non si era accorto di niente, stava continuando a ripassare l’alfabeto runico per tentare di capire se la F veniva prima o dopo la G. Prima che quei due potessero cominciare a picchiarsi sentimmo sbattere la porta e una mandria di persone dal passo pesante entrò nella biblioteca. Mi voltai verso Ele “Che cos’è?” Lei rispose “Accidenti, è la riunione dei saggi! Dobbiamo uscire subito, nessuno può ascoltare quello che si dicono.” Juan ribattè “Ma non è possibile, oggi è mercoledì, la riunione è di venerdì.” “Forse hanno convocato una riunione straordinaria e hanno chiuso la biblioteca.” Alvaro scosse il capo “No, la biblioteca era aperta, me lo ha detto la signorina Collins in persona.” Poi rivolto a me “E’la bibliotecaria.” Siccome dicevano cose sconclusionate senza prendere una reale decisione presi in mano la situazione “Dobbiamo uscire di qui.” Juan annuì “Venite con me, c’è un ingresso secondario alla fine della corsia dell’astronomia. Al, per piacere, lascia stare quei libri, li metteremo a posto un altro giorno.” Mentre percorrevamo in uno pseudo silenzio il corridoio sentimmo la voce di Anubis che diceva “Allora, che cos’è questa notizia terribile che non potevate aspettare di darmi?” Un saggio spostò una sedia facendo un fracasso assoluto e rispose “Anubis, è una cosa seria, ne vale della sopravvivenza dell’universo intero.” Appena sentii quelle parole mi bloccai. Sussurrai ai miei amici “Avete sentito?” Ele domandò “Di che si tratterà?” Juan ci sibilò “Non dovremmo trovarci qui, andiamo via!” Lo guardai alzando un sopraciglio. Sapevo benissimo che anche lui era un mezzosangue e che quindi stava morendo dalla voglia di sapere quello che si sarebbero detti i saggi. Lui sbuffò “E va bene, restiamo ma non dobbiamo fare alcun rumore!” Non aveva neppure finito la frase che sentimmo un piccolo boato. Alvaro sorrise imbarazzato “Scusate, a pranzo ho mangiato fagioli.” Il suo gemello si battè una mano sulla fronte “Non è possibile!” Ele gli tappò la bocca “Vuoi stare zitto?!” Anubis interruppe il silenzio “Ma insomma, avete finito di consultarvi? Ditemi come stanno le cose, posso sopportarlo, ho quattordici miliardi di anni non quattordici!” Un altro saggio gli rispose “Va bene. Anubis, lo scettro di Ra è stato rubato.” I miei amici trasalirono. Anubis ebbe una reazione un po’ più violenta: sbattè una mano sul tavolo facendo un boato talmente forte che credetti che lo avesse spaccato in due “Com’è possibile? Quello è l’aggeggio più protetto dell’universo! Sta giorno e notte nella sua cassettina dentro il muro della Grande Piramide!” “Eppure è così, ce l’ha detto Ra in persona.” “Ma chi potrebbe mai averlo fatto? Tutti sanno quando è potente quello scettro! Se finisse nelle mani sbagliate potrebbe far collassare l’universo intero!” Si fermò un attimo e poi riprese “Avete un’idea di chi potrebbe essere stato?” “Sicuramente non un umano dato che non avrebbe potuto trovare la Grande Piramide. Forse, anzi, quasi sicuramente siamo orientati su un mezzosangue.” “Uno dei miei ragazzi?” “Si.” “Ma come? Nessuno ha lasciato il campo, ne ieri ne oggi.” “Ra si è accorto della mancanza dello scettro solamente poche ore fa, tuttavia il furto potrebbe essere avvenuto anche lunedì, dato che l’ultima volta che la camera è stata aperta era domenica.” “Ma chi mai potrebbe averlo fatto, insomma, tutti sanno quanto sia pericoloso.” “Magari è stato rubato da qualcuno che non vuole usarlo, ma solo mettere un po’ di paura a voi Energie per punirvi.” “Intendi qualche ragazzo che ha qualche rimorso verso i suoi genitori?” “Crediamo di si.” “Beh, allora dobbiamo interrogarli tutti.” “Tu ne conosci qualcuno in particolare?” “Ci sarebbe Kevin Willow, figlio di Knum, oppure Mikey Ader, figlio di Hator, e c’è anche Juan Riveira, figlio di Sehkmet.” Lui si irrigidì. Sibilò “Non sono stato io.” C’era paura nella sua voce. Suo fratello gli mise un braccio attorno alle spalle “Tranquillo fratellino, io lo so che non sei stato tu.” Eleanor annuì e io dissi “Si, noi ti crediamo.” Lui balbettò “G-grazie.” Sicuramente non era abituato a una fiducia così totale. Il saggio continuò “Oppure potrebbe averlo rubato anche qualche ragazzo non riconosciuto…” “Di ragazzi non riconosciuti c’è solo la ragazzina nuova, Alex Johnson. Non credo però che sia stata lei, non sa ancora niente sul nostro mondo.” “Oppure sta fingendo.” “Mi sembra una dichiarazione azzardata Mosis, comunque dobbiamo far partire le ricerche. Dobbiamo mettere su una squadra.” “Ok, giusto. Noi torneremo alla Grande Piramide, riferiremo a Ra e mercoledì prossimo saremo qui con i tuoi uomini. Mentre tu li istruirai noi cercheremo un capitano e nel giro di un mese avremmo una vera e propria armata.” “Perché non usiamo i mezzosangue? Alcuni di loro sono veramente preparati.” “Ricordi cos’è successo l’ultima volta? Ra non te lo permetterà mai.” “Va bene, va bene. Porta i tuoi uomini e li addestrerò. Dobbiamo trovare quello scettro, l’universo è veramente in pericolo.” I saggi si alzarono “Bene. Nel frattempo acqua in bocca, nessuno deve sapere niente.” “Ok.” I vecchi uscirono dalla biblioteca e così fece il signor Anubis, lanciando maledizioni in lingua antica al ladro. Appena la porta fu chiusa Ele esclamò “Lo scettro di Ra! Rubato!” Juan rincarò “E’una cosa inaudita, non è mai successo in…quattordici miliardi di anni!” Persino quell’idiota di Alvaro sembrava capire “Siamo messi male…” Sbottai “Insomma, che cos’è questo scettro di Ra?” I miei amici mi guardarono sconvolti. Alzai le spalle “Io non so veramente nulla.” Juan sospirò, prese uno dei libri che Alvaro aveva appoggiato a terra, lo aprì e mi fece vedere una mappa “Vedi Alex, questa è una parte dell’universo chiamata settore…” “Settore vita, lo so.” “Ottimo. Dopo il famigerato Big Bang si formarono quattro piccoli universi differenti. Ra decise che era decisamente troppo incasinato avere quattro realtà spazio-temporali differenti, così distrusse questi piccoli cosmi creandone uno unico. Per cucirli insieme utilizzò uno strumento fatto di pura Energia: lo scettro di Ra, appunto. Così si sono formate queste…” Indicò quattro grosse faglie disegnate in bianco che facevano assomigliare il quadrante ad un enorme puzzle “…noi le chiamiamo dorsali universali. Sono come delle immense cerniere che permettono all’universo di stare assieme. Lo strumento che le ha create, però…” Conclusi “…Ha anche il potere di distruggerle, distruggendo anche tutto l’universo.” Ele annuì gravemente “Esatto.” Juan mi lanciò il volume “Tieni, credo che imparerai un sacco di cose con questo.” “Grazie.” “Figurati.” Al domandò di punto in bianco “Ma ora che facciamo?” Risposi “Beh, torniamo a fare quello che stavamo facendo prima.” “Si, sono d’accordo.” “Però quello che abbiamo sentito non dobbiamo dirlo a nessuno.” Juan annuì “E’una cosa che deve rimanere solo tra noi quattro.” Anche se quello era estremamente importante e pericoloso mi piacque un sacco avere un segreto assieme a loro. Probabilmente quello era l’inizio di una collaborazione e forse di un’amicizia. Ma chi poteva sapere quanto profonda?  Passai il resto della giornata a leggere il libro che mi aveva prestato Juan mentre Eleanor tentava di sistemare i miei capelli. Alla fine decretò che meglio di quello che aveva fatto non riusciva, io mi guardai allo specchio e per la prima volta vidi i miei capelli lisci. Dissi ad Eleanor che aveva fatto un miracolo e lei mi rispose così “Ma certo che ho fatto un miracolo! Io sono divina!” La cena fu estremamente normale, il signor Anubis era preoccupato così disse poco e niente, la signora Hamiton invece non voleva che noi indovinassimo il motivo per cui era così pensieroso così mi fece il quarto grado sulla mia vita precedente “Allora Alex, com’era fare la cameriera?” “Oh, era un lavoro come un altro, ma dopo aver frequentato questa scuola non credo che lo farei di nuovo.” “Mi fa piacere. Avevi degli amici laggiù in Cornovaglia?” Quella domanda fu come una bastonata ma risposi ugualmente “Nossignora.” “Neppure uno?” Scossi la testa. Ariana mi sorrise incoraggiante facendomi quasi sputare tutta l’acqua che avevo in bocca “Mi sembra che però qui tu abbia trovato qualcuno. Ad Eleanor stai molto simpatica.” Lei alzò un sopraciglio in segno di assenso “E mi sembra che tu piaccia anche ai due gemelli Riveira. Quel libro che stavi leggendo prima non te lo ha prestato Juan? Devi sapere che non lo ha fatto con molte altre ragazze.” Diventai rossa come la tovaglia “Ehm, si, bene. Io sono molto stanca ora, se non vi dispiace andrei in camera! Grazie di tutto, la cena era fantastica!” Corsi (per non dire mi fiondai) su per le scale, mi tolsi i vestiti alla velocità della luce inciampando sui pantaloni, sbattei la testa per terra e massaggiandomi il bernoccolo mi sedetti sul letto aprendo il libro e iniziando a leggere. Quel pomeriggio avevo ascoltato molto attentamente la conversazione tra i saggi e il signor Anubis e leggendo ero arrivata alla conclusione che un mese per preparare l’armata era decisamente troppo, sicuramente chi aveva rubato lo scettro era più che consapevole dei suoi poteri e li voleva utilizzare al più presto. Bisognava agire subito! Non mi capacitavo però di come un mezzosangue avesse potuto prenderlo, era protetto da tecnologie di cui non avevo mai sentito parlare e pure da maledizioni vecchie come l’universo. Ero più propensa a pensare che quel mezzosangue fosse stato aiutato, forse c’era un traditore tra le Energie. La mia accusa però era veramente grossa, insomma io povera sfigata volevo sfidare coloro che avevano creato l’universo? Eppure la cosa mi puzzava di bruciato. Volevo trovare lo scettro di Ra al più presto e restituirlo al legittimo proprietario in modo che capisse che i mezzosangue non erano tutti come quello che l’aveva rubato. Eleanor ormai era salita, si era spalmata qualcosa di strano sulla faccia e si era messa a russare più forte della notte prima. Io mi stavo facendo luce con una luce verde fluorescente che avevo trovato sotto il letto della mia amica. Volevo trovare un modo per rintracciare quel maledetto scettro! Quando ero sul punto di chiudere il libro e dormire girai pagina e…miracolo! Ora avevo quasi tutto quello che mi serviva, mi sarebbe bastato convincere qualcuno a venire con me. Era una missione suicida ma ero sicura che avrei trovato qualcuno di abbastanza coraggioso da seguirmi o abbastanza pazzo, vedetela come volete. Il mattino seguente ero così concentrata sulla missione che avevo deciso di affidarmi che non guardai neppure quello che la signora Ariana mi aveva messo nel piatto. Ad allenamento indossai la corazza al contrario e cominciai ad affettare un manichino: ero così distratta che avrei rischiato di uccidere una persona vera. Ad un certo punto Alvaro, tentando si respingere un attacco di Mickey, balzò contro l’ultima gradinata dell’arena buttando giù il mio zaino. Eleanor mi prese per una manica “Alex, il tuo zaino.” “Chi se ne frega, non c’è niente dentro.” “Alex, faresti meglio a dargli un occhiata.” Sbuffai “E va bene, ma Alvaro mica me lo avrà ridotto a brandelli.” Mi voltai e rimasi senza parole. Tutti i combattimenti si erano fermati e i ragazzi mi stavano fissando con gli occhi fuori dalle orbite. L’insegnante stava portando minacciosamente una mano alla spada che aveva nel fodero. Vi starete chiedendo cosa ci fosse di strano, beh ve lo dico: il mio zainetto era riverso a terra, mezzo aperto e dalla cerniera usciva la mia felpa blu e uno strano oggetto. Era composto da un’asta dorata che terminava con la testa di un serpente che come occhi aveva due zaffiri. La testa era circondata da una specie di corona circolare blu e gialla e brillava sotto il sole di quella mattina. Juan sibilò “Lo scettro di Ra.” Mormorai “Non è possibile…” Come diamine aveva fatto una cosa che non sapevo neppure come fosse fatta a finire nel mio zaino? L’allenatore disse “Tom, corri a chiamare il signor Anubis, svelto!” Lui partì di corsa. Biascicai “Signor Rambo, non è come crede, io non ho mai messo quella cosa dentro il mio zaino…” Lui sguainò la spada “Zitta, piccola furfante! Cosa credevi di fare con quello?” Eleanor mi affiancò “Ehi, Albert, datti una calmata! Sono sicura che c’è una spiegazione logica a tutto questo.” Esclamai “Si, perché non ce l’ho messo io là dentro!” In quello Anubis arrivò di corsa “Cos’è successo? Avete trovato lo scettro?!” “Si signore.” Ribattei “No, non è vero! Signor Anubis, lo scettro di Ra era dentro il mio zaino, ma non lo ho messo io! Glielo giuro!” “Aspetta un attimo Alex, lo scettro era nel tuo zaino?” Rambo lo sollevò da terra e glielo porse “Guardi lei stesso.” Ero scioccata, non avevo idea di come fosse finito lì, io stavo progettando di andare a cercarlo, non avrei mai immaginato di trovarlo così vicino a me! Afferrai il signor Anubis e lo scossi per la maglietta “Per favore, mi deve credere! Io non sapevo neppure cosa fosse!” Lui mi guardò gravemente “Alex, non so davvero cosa dirti…” Al prese le mie difese “Signore, sono d’accordo con Eleanor, non è possibile che Alex l’abbia rubato.” Esclamai “Sentito?!” Rambo mi puntò la spada alla gola “Zitta tu!” La sua lama così vicina alla mia faccia mi fece tremare le ginocchia. Ero stata minacciata di morte solo un’altra volta, tuttavia non l’esperienza non mi era piaciuta per niente. Per dirla tutta non avevo dormito di notte per un anno interno. Eleanor si fece avanti e afferrò lo scettro “Ok, ok, va bene, fatemi dare un’occhiata.” Anubis fu colto da un grande tremore “Eleanor non lo toccare!” Lei tagliò corto “Zitto o ti metto in punizione quando torno a casa!” Lui abbassò la testa “Fai attenzione.” Ripensandoci loro due avevano proprio uno strano rapporto, ma al momento ero abbastanza sconvolta e non ci feci caso. La mia amica lo soppesò, ci bussò sopra e poi sorrise “Ah, interessante! Alex, qualcuno ha voluto giocarti un brutto scherzo.” Domandai “Perché? Cosa vuoi dire con questo?” Lei afferrò con due mani lo scettro e lo spezzò su un ginocchio. Anubis ululò “Ma che hai fatto! Ci ucciderai tutti!” Lei aggrottò le sopraciglia “Questo non è quello vero, è solo una copia di cera!” Mi lanciò le due metà. Rambo annuì “Mi sa proprio che ha ragione lei…” Io sbottai “Allora questa la può anche abbassare!” Afferrai la lama della spada e la spinsi verso il basso. Mamma mia, che sollievo che fu! Non ero una criminale universale allora! Ero salva! Però qualcuno aveva voluto giocarmi un brutto, bruttissimo scherzo! Porsi le due metà ad Anubis “Quindi sono innocente.” Lui sospirò “Direi di si. L’allenamento è sospeso per oggi, ragazzi. Rambo, lei verrà con me.” “Sissignore. Mette giù le armi al loro posto ragazzi.” E si allontanarono verso la casa-capo. Sentii Anubis esclamare “Ma perché proprio a me! Lo sanno tutti che non sono molto sveglio!” Mi sedetti su uno dei gradoni di pietra. Quella storia era decisamente strana. Prima lo scettro spariva, poi veniva ritrovato nel mio zaino ma si scopriva che era un falso. Qualcuno voleva far ricadere la colpa su di me, in modo da poter usare lo scettro vero come più gli piaceva. Sapevo che avrei dovuto rimanere al campo assieme agli altri ragazzi mentre gli adulti tentavano di risolvere la situazione, ma mi sentivo troppo coinvolta! In quel momento sentivo quel bisogno di agire che mi aveva fatto accettare la proposta di Ariana Hamilton quel giorno. In più volevo dimostrare a Ra il valore dei mezzosangue e desideravo più di ogni altra cosa riscattarmi. Volevo dimostrarmi che non ero una mezza cartuccia e volevo dimostrarlo anche a mio padre, chiunque fosse. Qualcuno prima o poi mi avrebbe presa sul serio soprattutto se fossi riuscita a ritrovare l’oggetto più importante della galassia, no? Vidi Eleanor che si allontanava impettita e i due gemelli che si accingevano ad uscire dall’arena. Eravamo assolutamente soli in quel momento, dovevo approfittarne! Dissi “Ehi, ragazzi, aspettate!” Loro tre si voltarono. Ele sorrise e venne a sedersi accanto a me “Cosa succede?” Juan domandò “Dici anche a noi?” “Si, venite qui.” I due gemelli si avvicinarono “Cosa vuoi?” Mi schiarii la voce “Stavo pensando a quello che è successo prima, riguardo allo scettro di Ra.” “Devi esserti presa un bello spavento, non capita tutti i giorni di essere accusati di avere rubato qualcosa di così grosso.” Annuii “Appunto. Qualcuno voleva incastrare Anubis in modo da poter utilizzare il vero scettro come più gli pare e piace.” Ele domandò “Ma chi mai potrebbe volerlo?” Juan rispose “Io non credo sia stato un mezzosangue, quello scettro è protetto da cose che non riusciamo neppure ad immaginare.” Lo guardai “Ho pensato la stessa cosa anche io, chiunque l’ha rubato deve essere stato aiutato, forse da un’Energia.” “Forse da quel misterioso cattivo che anni or sono fece scoppiare la guerra tra quelli come noi e le Energie.” Mi illuminai “Si! Se si trattasse di lui tutto l’universo sarebbe in pericolo!” Alvaro gemette “Ma che facciamo adesso? Andiamo a dirlo al signor Anubis?” Suo fratello scosse il capo “No, altrimenti dovremmo confessargli di aver ascoltato la conversazione super segreta tra lui e i saggi.” Decisi che era il momento giusto di lanciare la bomba “Io ho un’altra idea. Il signor Anubis ci metterà un mese ad allenare l’armata, il nostro cattivo avrebbe tutto il tempo per distruggerci. Bisogna agire adesso!” Ele domandò con un mezzo sorriso dato che cominciava a capire quello che mi frullava nella testa “E chi manderesti?” “Noi.” Juan scoppiò a ridere “Noi? Bella battuta Alex, come sei simpatica!” Ribattei “Non è una battuta, parlo sul serio!” “Ma ti ascolti quando parli? Noi? Noi siamo solo quattro ragazzini, non riusciremmo neppure ad uscire da Camp!” “Non è vero.” “Invece si, Alex. Ti sei mai guardata allo specchio? Sai com’è fatto un guerriero?” “Si, lo so com’è fatto.” “Ti sembra di assomigliargli? Oppure uno di noi? Ci uccideremmo! Siamo degli imbranati.” “No, non è vero.” Lui alzò un sopraciglio “Come te la sei fatta quella botta in fronte?” Ammisi “Sono caduta togliendomi i pantaloni.” “Visto?! Imbranata! Come può uno prenderti sul serio se fai cose così?” Mi alzai in piedi: Juan cominciava veramente a darmi sui nervi, io dovevo partire per quella missione! “Senti, forse io sarò un imbranata, ma non una sprovveduta. Se quello scettro non viene ritrovato presto l’universo interno potrebbe crollare! Sei stato tu a darmi quel libro e io l’ho letto da cima a fondo. Noi abbiamo la possibilità di salvare il mondo! Tu, Eleanor ed Alvaro vi allenate da quando siete nati e avete dei poteri, pochi guerrieri vi eguaglierebbero in appena un mese. Io non ho nessuna qualità fisica, ma conosco a memoria tutti i quadranti dell’universo e so come arrivare allo scettro. Ra e i nostri genitori credono che siamo inaffidabili? Dimostriamogli il contrario! Allora, cosa mi dite?” Eleanor ripose sorridendo “Mi hai convinta, io ci sto!” Alvaro guardò la mia amica con aria sognante “Se Eleanor ci sarà ci sarò anche io.” Mi voltai verso Juan “E tu, che dici? Non hai abbastanza fegato per provarci?” Lui si morse le labbra “Vuoi davvero scappare da Camp, luogo sicuro e tranquillo, per andare alla ricerca dello scettro di Ra solo per dimostrargli che i mezzosangue sono delle persone a posto?” Era una mezza verità, così risposi “Si, esatto.” “Penso che quest’impresa non sia mai stata tentata da nessun altro prima.” “Beh, allora noi saremo i primi.” Lui sbuffò “Non so se il tuo sia più coraggio oppure pazzia…” Alvaro esclamò abbracciandolo “Alex, questo nella sua lingua significa si!” Neppure io riuscivo a dare una risposta alla considerazione di Juan, però in quel momento ero veramente felice. Finalmente avevo trovato qualcuno che mi spalleggiava, avevo trovato una squadra. Per una come me che non aveva mai avuto amici quello era un terreno tutto nuovo ma che mi sarebbe piaciuto tantissimo sondare! Dissi “Va bene, partiremo questa sera. Ci troviamo tutti quanti davanti all’albero vicino alla finestra di Eleanor alle dieci e mezza.” Juan mi interruppe “Frena un attimo, hai detto di sapere come raggiungere lo scettro?” “Esatto.” “E come?” Estrassi il libro che mi aveva prestato il giorno prima, lo sfogliai e trovai la pagina che mi interessava “Qui c’è scritto che Ra, dopo aver creato il suo scettro, si inventò una mappa componibile. Questa è composta da quattro pezzetti sparsi in giro per l’universo, ogni parte contiene le indicazioni per arrivare a quella successiva mentre l’ultimo tassello mostra dove si trova in quell’esatto momento lo scettro.” Juan si allungò sopra la pagina “Ma guarda te, come hai fatto a trovarla? Io non me ne ero accorto!” Sorrisi “Forse serviva l’occhio di una povera sfigata dato che quello di Vostra Maestà era troppo superficiale.” Elanor rise “Si, Alex! Umilialo per bene!” “Ma stai zitta Eleanor!” Ribattè lui, ma si vedeva che in realtà la mia battuta lo aveva fatto ridere. Alvaro lo riprese “Ehi, non dire così ad Eleanor. Lei è fantastica!” Lei si drizzò a sedere “Oh, finalmente qualcuno che mi elogia!” Juan si inserì “Non vorrei disturbare ma vorrei chiedere una cosa: dove lo troviamo il primo pezzetto della mappa? Questo lo sai, oh grande Alex?” Lessi sul libro “Ra diede fiducia all’Energia più sbadata di tutte affidandole il pezzo principale della sua mappa segreta. Fece molto bene, perché da circa dodici miliardi di anni la parte iniziale è in possesso di Anubis.” Eleanor si mise una mano su un fianco “Non ti conviene sfidare spesso Alex, Juan.” “Non cantare subito vittoria Eleanor, qualcuno sa dove lo tiene tuo padre?” Lei rispose “Mio padre tiene tutte le cose importanti nel primo cassetto del suo comodino che è chiuso a chiave. Fortunatamente lui ha paura di dimenticare la combinazione per aprirlo, così l’ha detta sia a me che a mia madre. Se papà è in possesso di quel pezzetto di mappa l’ha messa sicuramente lì dentro.” Juan non poté più ribattere. Alvaro sollevò una domanda abbastanza intelligente “Ma come lasciamo Camp? Eleanor non ci può teletrasportare da un pianeta all’altro.” Risposi “Questo lo so, infatti ruberemo l’astronave del signor Anubis.” Ele disse “Avremo bisogno di un pilota.” “Ne abbiamo già uno.” Juan alzò un sopraciglio “Chi? Tu? Ce l’hai la patente?” Scossi la testa “No, ho solo quattordici anni.” “Ah!”  “Tu?” Lui abbassò la testa “No, ne ho quindici.” Tagliai corto “Allora guiderò io, la polizia non fa mai controlli nello spazio profondo e noi ci terremo alla larga dai centri più popolosi.” “Come fai a saper guidare?” Alzai le spalle “Quando lavoravo all’Admiral molti clienti non avevano voglia di sistemare le loro astronavi, così le lasciavano a me e io le portavo nel nostro parcheggio. Lo faccio da quando sono diventata abbastanza alta per arrivare ai pedali.” Lui rispose “Però, notevole.” Sorrisi “Grazie.” Nonostante a quel ragazzo non piacessi lui aveva qualcosa di misterioso che mi attirava, avrei voluto conoscerlo bene, avrei voluto farmelo amico. Anche se litigavamo e ci conoscevamo da pochissimo potevi sentire che tra noi c’era parecchia intesa e che avremmo potuto diventare una grande squadra. Eleanor disse interrompendo i miei pensieri “Allora è deciso, ci vediamo stasera davanti a casa mia alle dieci e mezza. Fate in modo di essere puntuali.” Juan annuì “E voi portate la mappa.” Alvaro domandò “Ma quanto staremo via di casa?” Gli posai una mano sulla spalla “Al, purtroppo questo non te lo so dire. Ti prometto che tenteremo di trovare lo scettro più velocemente possibile.” Poi gli sussurrai “Ma non sarà poi così terribile, c’è Eleanor con noi, no?” “Sai che mi piace?” “Già.” “Chi te l’ha detto?” Sospirai e alzai le spalle “Ogni volta che la vedi ti illumini come una lampadina.” “Vuol dire che divento giallo?” Mi misi una mano nei capelli “No, era una metafor…lascia stare.” “Non lo devi dire a nessuno Alex, soprattutto a lei!” Lo rassicurai “Tranquillo Al, starò zitta.” “Oh, grazie Alex, tu sei una vera amica.” Juan, che si era alzato e stava per uscire dall’arena, lo incitò “Dai Al, dobbiamo andare adesso!” Quelle parole mi fecero veramente bene, nessuno me lo aveva mai detto prima d’ora “Grazie Al!” “E anche se Juan fa il duro tu non credergli, anche lui pensa che tu sia forte.” Sorrisi “Va bene, ora vai.” “Ok! Ciao Alex! Ciao Eleanor!” Lo guardai mentre si allontanava e si ricongiungeva a suo fratello. Pensai che allora sotto quella scorza anche Juan aveva un cuore! Il fatto che lui mi considerasse forte mi rendeva decisamente felice. Era una sensazione decisamente strana, che non avevo mai provato prima e che in fondo in fondo mi piaceva. La mia amica mi domandò “A che stai pensando?” Mi riscossi “Oh, a niente.” “Mmmh, non ci credo.” “Te lo posso giurare!” “Posso vedere lontano un chilometro che i tuoi occhi brillano, stavi pensando ad un ragazzo!” “Io…” “Ti capisco, qui ce ne sono un sacco di carini! Ora andiamo, devo scegliere i vestiti da portare via!” “Ricorda che non possiamo portarci tutto il tuo armadio.” “Oh, vedrai che lo farò stare da qualche parte!” E insieme ci incamminammo verso casa, come fossimo state amiche da sempre. Quel pianeta era veramente miracoloso, avevo trovato tre amici nel giro di due giorni soltanto, io che non ne avevo mai avuto uno in quattordici anni! Forse avevo solo bisogno di trovare qualcuno come me…mah, chissà!Passai il resto della giornata a preparare tutto assieme ad Eleanor. Cenammo assieme ai suoi genitori e ci rintanammo nella sua camera. Eravamo sotto le coperte completamente vestite. Io stavo abbracciando il mio zaino dove avevo messo le cartine, il libro di Juan che apparteneva alla biblioteca, una torcia ad auto luminescenza trovata sotto il letto di Eleanor e i pezzi dello scettro finto. Stavo per rubare un auto che non era mia e partire per una missione che era stata affidata ad altre persone della quale io non avrei dovuto sapere proprio niente di niente, mia madre sarebbe stata veramente fiera di me e mi avrebbe preso a sberle! Sapevo benissimo che quello che stavo facendo andava contro le regole, ma a me sembrava moralmente corretto. Sentivo che andare alla ricerca dello scettro era una cosa che dovevo fare, volevo dimostrare alla faccia che avevo visto nel bagno di Eleanor che si sbagliava. Se fossi riuscita nell’impresa qualcuno avrebbe cominciato a prendermi sul serio, no? Comunque normalmente sarei stata spaventata dalla portata dell’impresa, quel giorno invece non avevo neppure un briciolo di paura. Quello era il mio piano, quella era stata una mia idea e non avevo nessuna intenzione di tornare indietro! Quando sentii il ritmico ululare del signor Anubis decisi che era il momento giusto per andare. Quella sera la madre di Eleanor era dovuta andare da sua madre e quindi sarebbe ritornata il mattino seguente, così io e la mia amica avremmo potuto sgattaiolare nella camera di suo padre e rubare il pezzo di mappa senza che nessuno se ne accorgesse. Mi scoprii, misi lo zaino sulle spalle e scossi la mia amica per la spalla “Eleanor, dobbiamo andare, è il momento!” Lei si era addormentata “Cosa vuoi Alex? Lasciami dormire!” La spintonai giù dal letto e la tirai verso la porta “No, non è il momento di dormire, dobbiamo andare! Sono le dieci e un quarto, se non ci sbrighiamo non arriveremo in tempo all’appuntamento e Juan ed Alvaro potrebbero essere scoperti!” “Si, si, ok, non mi tirare, mi stropicci la maglietta!” Camminammo in silenzio lungo il corridoio totalmente buio fino ad arrivare davanti alla porta della camera da letto dei signori Hamilton. Ele bisbigliò “Accidenti, quando russa fa davvero un fracasso assurdo!” Io pensai alla notte precedente “Non dirlo a me!” Poi “Senti, non puoi teletrasportarti fino dentro, rubare la mappa e poi tornare qui? Faremmo molto meno rumore.” “Negativo. Quando mi teletrasporto utilizzo il regno dell’oltretomba di mio padre il che è un po’ come una violazione. Quando mi introduco nelle tenebre se è sveglio non ci fa caso, ma quando dorme si sveglia sempre e non è quello che noi vogliamo!” Sbuffai “Ok, allora entriamo.” Lei apri la porta cercando di fare meno rumore possibile. L’unica luce della camera era quella emanata dalla sveglia olografica che mi fece vedere la scena: Anubis dormiva disteso in orizzontale nel letto abbracciando l’ultimo numero della rivista “Ginnastica maschile” e sul comodino aveva una bottiglia da due litri piena di latte. Il cassetto del comò era aperto, il che lasciava capire la serietà di quell’uomo. Dissi alla mia amica “Il cassetto è aperto.” “Ok, vai avanti tu, infila la mano dentro e tira fuori il pezzettino della mappa.” Annuii e per scavalcare un paio di pantaloni gettati a terra mi appoggiai alla porta. Come la maggior parte delle volte in questa storia fu una pessima idea. La porta era proprio come le sedie della sala da pranzo, così appena la mia mano si avvicinò lei si dissolse. Io a questo punto ero totalmente sbilanciata in avanti, così persi l’equilibrio e caddi a terra. Cercai in tutti i modi di attutire il tonfo sordo sul parquet e ci riuscii. Come? Data la mia grande fortuna misi il mio sedere sopra una delle scarpe con il tacco a spillo della signora Hamilton. Gemetti “Ahi!” Eleanor mi zittì “Taci! Vuoi farci scoprire?” “Sono caduta sopra una scarpa con il tacco di tua madre!” Gliela mostrai. Lei me la strappò letteralmente di mano “Questa non è di mia madre, è mia! Ecco dove era finita, l’ho cercata per un anno intero!” Non mi feci troppe domande e avanzai fino al letto del signor Anubis. Lui dormiva tranquillamente, non si era neppure accorto del tonfo che avevo fatto. Feci per infilare la mano nel cassetto aperto, quando mi chiesi se non avesse qualche dispositivo di allarme, magari qualche laser che avrebbe fatto partire una sirena. Mi abbassai per vedere meglio, cosa che avrei volentieri evitato dato che il padre di Eleanor era girato dalla  mia parte e a cena aveva mangiato cipolle. Non c’era nulla di strano, a prima vista. Una piccolissima sporgenza nera attirò la mia attenzione: era una minuscola telecamera. Sorrisi: fortunatamente sapevo cosa fare, dato che qualche anno prima all’Admiral era passato un ladro di astronavi che mi aveva spiegato che facendo scendere velocemente una mano sulla telecamera dall’alto si poteva ingannare quello che avrebbe visto il video, facendolo passare per un piccolo guasto tecnico. Feci scendere la mia mano davanti alla piccola cinepresa e afferrai l’unico oggetto che c’era dentro il cassetto. Appena le mie dita lo toccarono sentii che quel cosino insignificante emanava una grande potenza. Dissi “Mi spiace ingannarla così signor Anubis ma è per il bene dell’universo.” E ci misi al suo posto un pezzo di carta, poi lentamente mi allontanai. Quando ero quasi arrivata alla porta il signor Anubis si voltò di scatto dall’altra parte dicendo ad alta voce “Accidenti, che luce!” Non capii a cosa si stava riferendo, comunque Ele mi afferrò per una manica della felpa, mi tirò fuori dalla camera di peso e chiuse la porta di schianto. Esclamò “Ce l’hai la mappa, vero?” “Si, forza, muoviamoci!” Feci per correre giù per le scale ma lei mi trattenne per il cappuccio “Ferma! Non possiamo uscire per la porta, mio padre ha messo l’antifurto e io non so come spegnerlo.” “E allora come facciamo ad uscire?!” “Usciremo attraverso l’unica finestra che non è allarmata, quella di camera mia.” Domandai “Come mai la finestra di camera tua non è allarmata?” “Vedi, i miei non mi lasciano ad andare alle feste che cominciano alle undici di sera, così un giorno ho costretto Van a togliere il sensore d’allarme dalla mia finestra. In questo modo io posso uscire quando voglio e mio padre non sospetta di niente.” “Sei pessima!” “No, sono geniale.” Corremmo in camera sua, aprimmo la porta-finestra e uscimmo in terrazza. Diedi uno sguardo in giro: eravamo su un comunissimo balcone, con la ringhiera di ferro battuto pitturato di rosa e non c’era neppure l’ombra di una scala o di qualunque cosa potesse farci scendere. Domandai “Eleanor, come diamine fai a scendere da qui?!” “Lo vedi quello?” Mi indicò un albero del suo giardino che aveva un ramo abbastanza grosso che pendeva sulla terrazza. Chiesi temendo di conoscere già la risposta “Non dobbiamo mica usare l’albero, vero?” “Certo che dobbiamo usare l’albero! Come arriviamo giù altrimenti, volando?” Con la mia grande fortuna il ramo si sarebbe spezzato oppure sarei rimasta appesa da qualche parte “Eleanor, non arriverò a terra sana e salva, lo sai che sono estremamente maldestra.” “Ma si, guarda come faccio io!” Con aria di superiorità oltrepassò la balaustra (io già lì sarei caduta), prese il ramo con entrambe le mani, si mise in piedi sulla ringhiera e fece un piccola salto, atterrando con grazia sopra l’albero a cavalcioni. Ripassai mentalmente tutte le preghiere di cui ero a conoscenza e mi avvicinai alla fine del terrazzo. Strinsi il ramo e mi preparai per il salto, solo che misi un piede sul bagnato (ancora non riesco a capacitarmi di come la ringhiera potesse essere bagnata dato che il giorno prima non aveva piovuto) e mi ritrovai a penzolare con i piedi nel vuoto. Ele scoppiò a ridere. Io borbottai “Non c’è proprio niente da ridere!” “Ma come no, tutto quello che fai alla fine si risolve nel peggiore dei modi! È comico!” “No, è tragico!” Una voce sotto di noi mi fece prendere una paura tremenda facendomi quasi perdere la presa “Alex? Eleanor? Che state facendo?” Fantastico, ci mancavano solo Juan e Alvaro! La mia amica scese con calma gli ultimi rami e mi indicò “Alex è rimasta appesa lassù.” “Avete preso la mappa?” Io gridai “Si, è nella tasca dei miei pantaloni!” “Ok, mandacela giù.” “E’ un pezzo di pergamena troppo piccolo, non lo prendereste mai.” “Allora mandaci i pantaloni!” Questa era una brillante idea di Alvaro, ovviamente. Ribattei “Non rimarrei in mutande su questo albero neppure se mi pagaste un milione di dollari!” Ele disse “Devi scendere Alex, dobbiamo partire e abbiamo bisogno di te per pilotare la navetta di mio padre.” Sbottai “Lo so che devo scendere!” Juan intervenne “Allora, noi tre ci metteremo qua sotto e al nostro via tu ti mollerai.” “Si, dai Alex!” Guardai in basso: il lampione messo dal signor Anubis mi permetteva di guardare Alvaro con una felpa verde fluorescente decisamente spostato sulla destra che teneva le mani di Juan che neppure vedevo perché aveva addosso una maglia nera che a sua volta era decentrato. Eleanor aveva le sue braccia sotto le loro, probabilmente un ulteriore rinforzo. Come avrete potuto intuire dalla mia descrizione se avessi saltato mi sarei schiantata a terra e sarei diventata una frittata Alex. Dissi “Non mi butterò mai, vi schiaccerei.” In quello mi venne un’altra idea, forse ancora più assurda. Cominciai a dondolarmi sulle braccia. Ele domandò “Alex, che vuoi fare?” “Voglio tirarmi su sul ramo e scendere da questo maledetto albero!” Juan scosse il capo “Alex, non ce la farai mai, sei troppo magra le braccia non ti reggeranno mai.” Pensai che Juan aveva proprio ragione, ma non lo avrei mai ammesso, così mi dondolai ancora un po’, poi mi spinsi su. Non so con quale forza riuscii a sollevarmi sulle braccia e a mettermi a cavalcioni sul ramo. Esultai “Ce l’ho fatta!” Scesi velocemente fino a quando non fui tra i miei amici. Eleanor mi diede una pacca su una spalla “Complimenti!” “Grazie.” “Credo che in te ci siano due nature diverse perché sei un’imbranata, ma ogni tanto tiri fuori capacità straordinarie dal nulla.” Alzai le spalle “Non so da dove vengano, prima di oggi e di ieri ero solo una povera sfigata.” “E’la tua parte mezzosangue, amica!” Juan ci interruppe “Non vorrei interrompere uno dei pochi momenti di gloria di Alex, ma dobbiamo andare!” Annuii “Si, hai ragione. Seguitemi, andiamo alla navetta!” E ci incamminammo verso la piattaforma di atterraggio lasciando tutto Camp addormentato ed ignaro della nostra partenza. La strada fino all’astronave fu decisamente complicata perché in quel maledetto villaggio non c’era lo straccio di una luce e non potevamo usare le nostre torce dato che c’era il rischio che si scaricassero subito. Per la prima volta successe qualcosa di sfortunato anche ai miei amici: Alvaro calpestò gli escrementi di qualche animale che abitava nei boschi e Juan cadde lungo disteso sulla strada dopo essere andato contro suo fratello che si era fermato per via della cacca. Dal canto mio andai accidentalmente a sbattere contro un albero sbattendo la testa per la terza volta in due giorni. L’unica che non ebbe spiacevoli incidenti fu Eleanor perché si ancorò al mio cappuccio quasi strozzandomi, e facendosi guidare come fosse stata cieca. Dopo quella spiacevole collisione decisi di tirare fuori la torcia ad auto luminescenza, fregandomi altamente del fatto che avrebbe potuto scaricarsi dato che aveva come minimo vent’anni. Mi arrestai e cominciai a frugare nel mio zaino. Juan domandò “Chi è che si è fermato?” “Io!” “Alex, dobbiamo andare avanti!” “Non senza una torcia.” “E se poi si scarica?” “Ne abbiamo altre tre, io non voglio prendere in faccia un altro tronco, grazie!” Trovai la luce in questione e la accesi: non so con quale fortuna eravamo riusciti a seguire il piccolo sentiero e ora ci trovavamo faccia a faccia con la splendida nave del signor Anubis. Alvaro in particolare era finto addosso al cofano. Juan sorrise “L’abbiamo trovata!” Annuii “Adesso dobbiamo solo entrare. Eleanor, tocca a te.” Lei si gettò i capelli oltre le spalle come una che la sa lunga e mise una mano su un piccolo scanner. La navetta disse “Impronte digitali confermate. Soggetto: Eleanor Hamilton, accesso garantito.” Il portellone si aprì e noi ci infilammo dentro, velocissimi. Alvaro e Juan rimasero a bocca aperta “Wow, questa astronave è bellissima!” “Ho quasi paura a sedermi!” Sorrisi “Non abbiate paura e legatevi bene nei sedili posteriori. Eleanor, tu conosci meglio di me questa nave, mettiti accanto a me in quello del passeggero.” Lei si gettò di peso sul divanetto “Ok, ma sappi che non ho la minima idea di come funzioni.” Io mi sedetti con finta calma al posto del pilota. Devo ammettere che ero leggermente preoccupata, dato che non avevo mai guidato un’astronave nello spazio profondo e non ero neppure mai uscita dall’atmosfera. Mi dissi “Stai calma, è tutto come a casa.” Guardai il pannello di controllo e localizzai la marcia, i pulsanti per far salire il carrello e per le comunicazioni, l’unico problema era che tutto quanto era coperto da una sorta di cupola di vetro. Tentai di alzarla, ma non ebbi successo. Allora cominciai a preoccuparmi seriamente “Eleanor, questa cosa non vuole alzarsi!” “Hai provato a tirare molto forte?” “Ho tirato, ho spinto e ci ho anche bussato sopra!” “Allora chiediamo come si fa al sistema operativo!” “Il sistema operativo?” “Certo! Ares?” Immediatamente una voce rispose “Non è troppo tardi per mettersi in marcia, Eleanor?” Alvaro si allarmò “Questa nave parla!” Il sistema sembrò seccato “Certo che parlo, sono un computer X-10, il più moderno in commercio! Parlavano persino i telefoni cellulari di mille anni fa!” Mi sembrò una cosa strana che un computer potesse arrabbiarsi, ma chiesi lo stesso “Scusa Ares, potresti dirmi come sollevare questa cosa di vetro?” “La tua voce non è stata salvata nel mio database, in teoria non potrei farti pilotare la nave.” Sbuffai “Ares, non la puoi registrare adesso? Abbiamo una missione molto importante da compiere!” “Sono un computer, non posso infrangere le regole.” Siccome una volta un politico venuto a bere all’Admiral mi aveva detto che qualunque essere con un intelligenza anche bassa può essere comprato mi spremetti le meningi per pensare che cosa avrebbe mai potuto volere un computer “E se io durante il viaggio non utilizzassi il pilota automatico? Tu non stresseresti il tuo sistema operativo, sarebbe come essere spento.” Non so se fosse possibile ma io sentii Ares ragionare “Ok, ci sto. Procedura di salvataggio sul database iniziata, nome e cognome prego.” “Alex Johnson.” “Data di nascita.” “Dieci dicembre 3203.” “Registrazione vocale confermata, sistema dell’astronave operativo, pronti per il decollo.” La campana di vetro si alzò lasciando liberi i comandi, così sorrisi ai miei amici “Ok ragazzi, siamo pronti a partire!” Al era entusiasta “Wow Alex, sai trattare anche con i computer!” “Anni d’esperienza all’Admiral.” Juan si inserì “Va bene, va bene, ora tira fuori la mappa e partiamo!” Infilai la mano nella tasca dei pantaloni ed estrassi il primo pezzo della mappa. Era un frammento di una pergamena molto antica con i bordi dorati. Sopra c’era disegnato un quadrante dell’universo con tutte le stelle, i pianeti e persino gli asteroidi. Eleanor sgranò gli occhi “Wow, Ra ha pensato proprio a tutto! Questo inchiostro è polvere di stelle, visibile solo alle Energie e ai mezzosangue!” Pensai che Ra doveva essere intelligente e che quindi quello che gli aveva rubato lo scettro non doveva essere un ladro qualunque. Juan indicò la mappa interrompendo i miei ragionamenti “Guardate qua!” Accanto ad un pianeta nella mappa era apparsa una scritta dorata in quella lingua assurda. Questa volta riuscii a leggerla quasi subito “Pianeta Erakon, piramide del lago.” Ele alzò le spalle “Non l’ho mai sentito prima d’ora.” I due gemelli annuirono “Neppure noi.” Fortunatamente io ero un’ appassionata di astronomia e conoscevo perfettamente la posizione di quel pianeta, che però era totalmente disabitato. Dissi “Io so dove si trova. È un pianeta conosciuto per i suoi laghi profondissimi che sono una delle riserve d’acqua più importanti dell’universo. Si trova nel settore quattro, non molto lontano da qui.” Juan domandò “Ma come diamine fai a saperlo? Nelle mappe stellari normali non è neanche segnato!” Sorrisi “Infatti io non uso le mappe olografiche, ho studiato tutta la vita su quelle di mia mamma, ancora cartacee.” Ele mi diede una pacca sulla spalla “E brava Alex!” Mi voltai verso davanti e dissi “Ares, imposta la rotta.” Lui rispose subito “Dove andiamo di bello Alex?” “Settore quattro, pianeta Erakon, piramide del lago.” “Oh, finalmente qualcuno che mi da le coordinate precise! Anubis me le da sempre a metà, così devo tirare ad indovinare!” Immediatamente dal mio sedile uscì una sorta di imbragatura che si legò da sola sul mio petto, la cloche per pilotare uscì da un piccolo cassetto del bracciolo e si sistemò già sotto le mie dita e l’acceleratore e il freno apparvero magicamente sotto i miei piedi. Esclamai “Che forza! Non avevo mai pilotato nulla di così tecnologico!” Juan domandò “Dobbiamo preoccuparci?” Oh, quanto mi dava fastidio quando mi reputava un’incompetente! Dissi “Ares, rotta confermata?” “Tutto pronto per partire.” “Ottimo!” Spinsi la leva del motore fino in fondo, schiacciai il pulsante per tirare su il carrello, misi la marcia su “avanti” e mossi la cloche. L’astronave eseguì ogni comando alla perfezione e partì come un razzo verso l’alto. Tutto filava liscio e io acquisivo sempre più sicurezza, l’unico momento di panico lo ebbi quando vidi il fuoco che circondava la navicella. Alvaro gridò “Stiamo bruciando!” Ele tagliò corto mentre si limava le unghie con una lima di cui io non conoscevo la provenienza “Ma no idiota, stiamo solo uscendo dall’atmosfera!” E infatti era vero, Ares fu presto fuori, nello spazio. Dalla mia postazione potevo vedere il nero infinito puntellato da miliardi di minuscole stelle, che sembravano delle lucciole. Era come fare il bagno in una vasca piena di diamanti! Era uno spettacolo mozzafiato, che mi diede forza e mi fece quasi dimenticare di essere un imbranata. Quella sera le stelle stavano brillando più del solito, e lo stavano facendo per noi.       CAPITOLO 3DIVENTO UN SUB DENTRO UNA PIRAMIDEAppena usciti dall’atmosfera feci andare la nave a velocità luce. Avevo decisamente fretta di arrivare a destinazione principalmente perché temevo che il ladro dello scettro lo potesse usare e far crollare l’universo uccidendoci tutti, secondariamente perché non sopportavo più il russare di Eleanor, il cantare di Alvaro e le critiche di Juan. Da quando eravamo partiti non aveva fatto altro che dire che secondo lui la rotta era sbagliata e quando Ares gli aveva risposto che la rotta era esatta aveva cominciato a sostenere che io non sapessi atterrare. Quando ormai stavo per strangolarlo Ares disse “Siamo arrivati a destinazione.” Risposi “Perfetto. Adesso esco dal tunnel iperspaziale.” Tirai indietro la leva della velocità luce e lo spazio apparve di nuovo di fronte a me. Davanti a noi c’era un pianeta totalmente ricoperto da una lussureggiante vegetazione. Lo indicai “Ragazzi, siamo arrivati.” Scossi Eleanor “Svegliati, siamo su Erakon.” Juan si sporse dal suo sedile “Noi dobbiamo andare fino alla piramide del lago, sai dove si trova?” Mi seccava rispondergli così, ma ero costretta “No, non lo so.” Mi rivolsi all’astronave “Ares, puoi portarci tu lì?” “Prometti che atterrerai da sola?” “Metto una mano sul fuoco!” “Va bene, andiamo.” Così facemmo il nostro ingresso nell’atmosfera del pianeta. Devo ammettere che era un mondo piuttosto carino, tutto completamente ricoperto da un bosco fatto da piante che non avevo mai visto prima. Ogni tanto dagli alberi spuntava qualcosa che sembrava una piramide fatta di pietra gialla. Domandai “Ma dove sono i laghi?” Ele alzò le spalle “Non ne ho la più pallida idea. Ares, tu lo sai?” “Secondo i dati del mio database i laghi di questo pianeta sono tutti stati coperti da quelle costruzioni a forma di cono.” Sospirai “E sotto una di quelle si trova il nostro pezzo di mappa.” Sorvolammo il bosco per un buon quarto d’ora, fino a quando Ares non decretò “Eccola là, quella è la piramide del lago.” Ci sporgemmo a guardare: era una piramide uguale a tutte le altre che però davanti a sé aveva una specie di enorme statura di un faraone con  le zampe di un leone che sembrava le facesse la guardia. Domandai “Che roba è quella laggiù?” Juan mi rispose “Quella è una sfinge, veniva utilizzata nell’antico Egitto per fare la guardia alle tombe dei faraoni figli di Ra. Se davanti a questa costruzione c’è questa statua allora siamo nel posto giusto.” “Lo spero proprio.” Feci scendere Ares con calma nel piccolo spiazzo senza alberi che c’era davanti alla piramide. Appena toccammo terra Eleanor mi disse “Complimenti Alex, sei un grande pilota!” “Grazie.” “Ma quando eri all’Admiral come hai fatto a guidare nello spazio profondo senza patente? I clienti ti lasciavano lo stesso le loro navi?” Sorrisi imbarazzata “Diciamo che questa è stata la prima volta che ho pilotato nello spazio, prima non ero mai uscita dall’atmosfera…” Juan esclamò “Ma stai scherzando?!” Sganciai la cintura di sicurezza e mi avvicinai con nonchalance al portellone “No, sono serissima.” Lui si appoggiò ad Alvaro “Al, tienimi, credo che sverrò.” Eleanor fece roteare gli occhi “Ma che esagerato! Sei una femminuccia, Juan.” Lui si indispettì “Ehi, parla quella che l’altra settimana non ha voluto mettere piede nell’arena perché Mickey aveva trovato un ragno!” Sbuffai “Ares, apri il portellone.” “Con piacere Alex, così quei due potranno litigare lontano dai miei sensori uditivi.” La porta si spalancò, mi misi lo zaino in spalla ed uscii all’aria aperta. Il sole brillava alto nel cielo e non c’era neppure traccia di una nuvola, tuttavia non vidi uccelli o altri animali. I miei amici scesero dopo di me. Eleanor sorrise “Che bel posto! Proprio tranquillo!” Troppo tranquillo, per i miei gusti. Avevo imparato a spese personali che se gli animali stanno nascosti qualcosa di brutto sta per accadere. Tornando alla descrizione del luogo posso dire che eravamo atterrati nello spiazzo senza alberi e davanti a noi c’era la maestosa piramide assieme alla sua bella statua. Alvaro ci indicò la porta della costruzione, dritta di fronte “Ehi, ragazzi, guardate là! Quella è la porta!” Ele diede una rapida occhiata attorno e poi disse “Sembra tutto ok, io mi incamminerei verso la porta.” Juan non sembrava molto felice ma annuì “Si, sono d’accordo, se non ci muoviamo non arriveremo mai. Magari gli ostacoli arriveranno una volta dentro la piramide.” “Ok, andiamo.” Mentre camminavo verso il cono pensai che era veramente troppo facile, Ra aveva sicuramente messo qualche trabocchetto. Probabilmente la terra sotto i nostri piedi sarebbe ceduta, oppure sarebbero uscite delle frecce avvelenate dalle pareti o ancora avremmo calpestato qualche strano pulsante e una sciabola ci avrebbe mozzato la testa! Ad un certo punto, dato che mi stavo guardando i piedi, vidi l’ombra della testa della sfinge che si muoveva. Un momento…si muoveva?! Diedi il gomito a Juan che era proprio accanto a me “Juan?” “Che c’è?” “Guarda l’ombra.” Lo vidi guardare e diventare rigido come uno stoccafisso. Eleanor domandò “Come mai vi siete fermati?” Alvaro rincarò “E’successo qualcosa?” Indicai l’ombra “Credo che la statua si stia muovendo.” Tutti e quattro insieme alzammo la testa e per poco non cominciammo ad urlare. L’enorme testa della sfinge si era veramente spostata e ora ci stava guardando con le sue enormi zampe da leone accavallate. Ele mi sussurrò “Che facciamo ora?” “Non lo so.” La statua tuonò di punto in bianco facendomi quasi fare la pipì delle mutande “Chi osa disturbare il mio riposo?” Juan biascicò “Dille qualcosa.” Ribattei “Perché io?” “Perché è stata tua l’idea di venire qui!” “Ok, ok.” Sorrisi all’enorme sfinge “Salve! Com’è bella la sua testa da faraone…sembra proprio a…ehm…Nefertiti!” Lei però non sembrava aver gradito i miei complimenti “Cosa volete?” “Noi vorremmo solo entrare nella piramide dietro di lei. Promettiamo di non toccare niente!” “Nessuno può entrare in questa piramide!” Si alzò in piedi sovrastandoci con la sua mole. Alvaro mi sussurrò “Credo che si stia arrabbiando…” Ele annuì “Credo di essere per la prima volta d’accordo con Alvaro, andiamocene via!” “Non esiste, abbiamo bisogno del secondo pezzo della mappa!” Juan si inserì “Non so se ti è chiaro Alex, ma quella sfinge è estremamente grande e decisamente più forte di noi, che siamo anche disarmati!” “Devo continuare a provare!” Sorrisi di nuovo alla statua cercando di essere più affabile possibile “Allora, signora sfinge, lei deve sapere che noi dobbiamo entrare dentro quella piramide, ne vale la vita dell’universo interno e quindi anche la sua.” “Oh, non ti preoccupare scricciolo, io sono ben protetta.” Decisi che non era il caso di mettermi a discutere con lei e continuai “Per favore, ci lasci entrare. Noi non siamo come tutti gli altri, noi siamo speciali.” “Continua.” Feci un passetto avanti “Noi siamo quattro mezzosangue e siamo venuti qui per prendere il pezzo della mappa che lei sorveglia che ci condurrà dallo scettro di Ra.” “Quali sono i vostri nomi?” Eleanor sbucò da oltre la mia spalla “Io sono Eleanor, figlia di Anubis.” “Noi siamo Juan e Alvaro, figli di Sehkmet.” La sfinge abbassò la testa facendomi svolazzare i capelli con il suo respiro “E tu?” “Io sono Alex Johnson.” Lei allora sorrise “Questo allora cambia tutto ragazzi. Prima volevo solo cacciarvi…” Il suo sorriso si tramutò in una smorfia malvagia che ci fece vedere i suoi canini appuntiti. Il mio cuore accelerò i battiti “Ora sono proprio costretta  a mangiarvi!” Indietreggiai “Non c’è una possibilità di negoziare?” Lei ruggì ricoprendoci di bava e soffiandoci con il suo alito che puzzava di carogna “E’ da un bel po’ che non mangio carne di mezzosangue, voi siete ancora piccolini quindi la vostra sarà particolarmente tenera!” Decisi che non potevo farmi prendere dal panico, altrimenti saremmo stati mangiati. Non potevo neppure mettermi a correre perché lei era decisamente più lunga di noi e quindi ci avrebbe raggiunti subito. Mi voltai in secondo verso dietro: oltre ad un Alvaro prossimo all’infarto c’era il bosco. Probabilmente l’ultimo taglio dell’erba doveva essere stato fatto circa un secolo prima dato che la vegetazione si era decisamente espansa e ora attraversarla era molto difficoltoso. Un essere piccolo come noi avrebbe potuto passare senza troppi problemi, mentre un mostro grande, come una sfinge, sarebbe rimasto incastrato. Avevo solo bisogno di un diversivo in  modo che la statua vivente non ci uccidesse nei quattro metri che ci separavano dalla foresta.  Nel tentativo di pensare a come sfuggirle alzai gli occhi al cielo e me li incenerii guardando il sole. Incenerire? Che idea geniale! Misi piano la mano nel mio zaino fino a quando non trovai quello che stavo cercando. Dissi “Beh, credo che prenderò questo come un no per la negoziazione…ragazzi, scappate!” Estrassi la mia torcia ad auto luminescenza e la puntai contro gli occhi del mostro. Lei portò subito al muso le sue enormi zampe leonine per coprirsi e ruggì per il dolore e per la rabbia. I miei amici partirono a correre dietro di me. Juan mi affiancò e mi gridò “Cos’hai fatto?!” “Ci ho appena salvato la vita!” “Ok, si, devo ammettere che è stata un’idea intelligente!” “Grazie mille!” Eleanor ci gridò da dietro “E’ stata una bella idea, ma adesso che facciamo? La sfinge si sta riprendendo!” Infatti il mostro ora aveva ripreso l’utilizzo dei suoi occhi e sembrava più arrabbiato di prima. Indicai la foresta davanti a noi “Entriamo là dentro!” “Nel bosco?!” “Si! Lei è troppo grossa per passare!” “Va bene, ci sto!” Con un salto sorpassammo un enorme tronco e continuammo a correre. Purtroppo però la sfinge era veramente grossa così invece di rimanere bloccata distrusse in mille pezzi il grosso fusto e continuò a rincorrerci, buttando giù tutto quello che la intralciava. Juan si voltò un secondo per guardare e impallidì notevolmente “Alex, non si ferma!” “Dobbiamo continuare a correre, abbiamo abbastanza vantaggio per scamparla!” “Ma dove andiamo? Ares è dall’altra parte e non abbiamo un trasmettitore per chiamarlo!” Eleanor rispose “Mi spiace dirlo, ma devo dare ragione a Juan, non possiamo correre in eterno!” Quello era vero. Il terreno era molto dissestato, dovevamo fare lo slalom tra i tronchi ancora in piedi e saltare quelli caduti, le felci e gli altri arbusti ci graffiavano caviglie e braccia e Alvaro cominciava a rallentare. Ansimò “Ragazzi, non ce la faccio più.” Suo fratello lo incitò “Dai Al, non mollare!” “Sono senza fiato!” La sfinge si faceva sempre più vicina ormai, potevo sentire il fetore del suo alito! In quel momento vidi che davanti a noi si apriva una specie di grotta. Era una grossa roccia ricoperta completamente dalla vegetazione con un apertura abbastanza grande da far passare noi ma non abbastanza per quel maledetto mostro. Come tutte le volte in cui rischio al vita mi venne un’idea geniale oppure assolutamente pazza, vedetela come volete. Dissi “Al, tranquillo, devi resistere solo ancora un paio di metri. Eleanor, afferra le mani dei gemelli!” “Perché? Non ne ho voglia!” Sbottai “TI HO FORSE CHIESTO SE TI VA?!” “No, scusa, adesso lo faccio.” “Ok, bene. Fermiamoci lì, davanti a quella grotta!” Juan domandò “Che hai in mente?” “Se noi ci piazziamo lì, davanti a quell’apertura la sfinge crederà di averci a portata di mano, spalancherà la bocca, farà un salto e rimarrà incastrata con la testa nel buco. Noi ci faremo teletrasportare da Eleanor un secondo prima dell’impatto!” Il “Potrebbe funzionare!” di Eleanor e il “Ci uccideremo” di Juan arrivarono in contemporanea. Alvaro riuscì a mugolare “Mmmh.” Decisi “Va bene, tre contro uno, si fa quello che ho proposto io!” Ci arrestammo esattamente davanti alla cripta. Afferrai la mano libera di Juan e stetti a guardare la sfinge che come un carro armato veniva verso di noi portandosi dietro alberi, felci e altra marmaglia. Appena ci vide lì impalati come dei merluzzi sorrise mostrando le sue enormi zanne ancora sporche di sangue “Bene, bene, il mio pranzo è già servito su un piatto d’argento!” Spiccò un salto e aprì la bocca ancora di più. Juan disse “Eleanor, è il momento.” “No, non ancora!” Gridai io. Lui ribatté “Ci mangerà!” “Ancora un secondo!” Ora la bocca del mostro era estremamente vicina. I due gemelli cominciarono a urlare “Aaaah!” Esclamai “Eleanor, adesso!” Ci stringemmo tutti e sentimmo un tonfo. La sfinge ci aveva mangiati? Erano la sua mascella e la mandibola che si erano chiuse quel tonfo? Ma no! Il mostro era rimasto incastrato con la testa nell’apertura della grotta e nonostante tirasse, graffiasse i muri e ruggisse non riusciva a venirne fuori. Noi eravamo sani e salvi, Eleanor ci aveva teletrasportati proprio di fronte alla grotta, così potemmo goderci il divertente spettacolo. La mia amica mi batté il cinque “Grande Alex!” “Ce l’abbiamo fatta!” Mi voltai verso Juan “Visto? Siamo tutti interi e lei è rimasta incastrata!” Lui suo malgrado sorrise “Devo dire che questa volta sei stata in gamba, brava.” “Grazie mille.” Indicai la piramide che si intravedeva tra le fronde “Ok, ora che nessuno ha voglia di mangiarci andiamo a prendere la mappa.” Mentre camminavano cercando anche di riprendere fiato Alvaro domandò “Non avrei mai immaginato che Ra volesse mangiarci!” Ele annuì “Già, credevo che una volta conosciuti i nostri nomi ci avrebbe lasciati passare, insomma i nostri genitori non sono poi così sconosciuti, anzi!” Annuii “Anche io non me lo sarei mai aspettata.” “Non è stato Ra a mettere quella sfinge a guardia della sua piramide.” Ci voltammo verso Juan “Come?” “Non avete visto che sotto di lei c’era ancora erba? Mentre venivamo qui ho scoperto che questo pianeta ha questo tipo di vegetazione  soltanto da un milione di anni, Ra invece ha sistemato la sua mappa qui molto molto tempo prima, quindi sotto la sfinge non avrebbe dovuto esserci nulla.” “Quindi tu credi che sia stato qualcun altro?” “Non solo credo, ne ho proprio le prove!” Mi girai come per controllare che il mostro fosse ancora incastrato “Credi che qualcuno ci abbia sentiti pianificare la nostra fuga?” Ele scosse la testa “Non credo, io sono più propensa a credere che quello che ha rubato lo scettro fosse a conoscenza dei posti dov’è nascosta la mappa e abbia messo dei guardiani assassini, in modo che nessuno potesse ricomporla.” “E’ molto probabile.” Sospirai “E questo mi porta a credere che il ladro sia stato aiutato da qualcuno molto vicino alle Energie, se non un’Energia stessa.” Juan mi rispose “Come ti ho già detto quella che stai facendo  è un’accusa molto grave.” “Per questo la sto dicendo solo a voi. Che ne pensate?” “E’ presto per avere un’opinione.” Ele annuì “E’strano che sia io a dirlo, ma credo di essere d’accordo con Juan.” Alvaro si guardò in giro con la bocca aperta in un’espressione ebete così capii che probabilmente lui non aveva la più pallida idea di quello che stavamo dicendo. Alzai le spalle e dissi “Ok. Dai, entriamo.”. Ci avvicinammo alla porta. Era talmente grande che un astronave avrebbe potuto tranquillamente passarci anche di traverso. Noi eravamo più o meno delle formiche a confronto, se non delle pulci. Senza pensare troppo ai possibili trabocchetti e spade taglia testa appoggiai una mano sulla lastra di pietra nera. Era molto fredda e umida, quasi fosse fatta di acqua e non era di colore nero, ma blu come l’oceano. Era veramente bellissima, ma purtroppo non avevo la minima idea di come fare ad aprirla. Domandai “Avete una mezza idea di come entrare?” Eleanor suggerì “Spingiamo?” “Nessuno ha un’altra idea?” Nessuno proferì parola, così tutti e quatto ci appoggiammo alla lastra e tentammo di farla scorrere. Personalmente ci misi tutta la forza che avevo, ma quella maledetta non si mosse di un centimetro mentre continuava a riflettere le nostre facce stravolte dalla fatica quasi come se ci stesse prendendo in giro. Ansimai “Questa dannata piramide ce l’ha veramente con noi! Ma insomma Ra, vuoi che ritroviamo il tuo scettro oppure no?!” Juan, come al solito, mi rimproverò “Non rivolgerti mai a Ra direttamente, potrebbe essere in ascolto e lanciare un fulmine o qualcosa del genere verso di te! Le Energie, a parte Anubis, sono molto permalose.” Io però non ero dell’umore giusto per ascoltare le sue lezioncine “Non mi interessa, che mi fulmini pure, adesso voglio solo entrare qua dentro!” Mi rivolsi ad Eleanor “Puoi teletrasportarci oltre la porta?” Lei scosse la testa “Mi spiace, quello che c’è dietro quella lastra non appartiene all’universo ma ad un’altra dimensione che non è quella dell’oltretomba.” “Maledizione!” Il nostro arrogante compagno di viaggio ci spostò “Largo ragazzine, ci penso io.” Venni spintonata di lato e cozzai contro il gomito di Alvaro dato che lui tiene sempre le mani sui fianchi. Juan si sistemò davanti alla lastra blu, si concentrò un istante e poi le tirò un grosso pugno. Personalmente pensai che la sua era stata una pessima idea e che come minimo si sarebbe spaccato la mano, invece vidi la porta riempirsi di tantissime piccole crepe e poi letteralmente liquefarsi finendo sotto i nostri piedi. Esclamai “Wow, io mi sarei rotta tutte le ossa della mano.” Lui sorrise “Quando Sekhmet mi ha partorito mi ha gentilmente trasmesso la sua potenza e adesso posso distruggere qualsiasi cosa. In fondo non è stata poi così inutile come madre.” Ele si asciugò una scarpa con una mano e varcò la soglia della piramide “Ok, bando alle ciance ragazzi, entriamo.” Annuimmo ed entrammo. Ai miei occhi servì qualche secondo per abituarsi al buio dopo essere stata alla luce accecante del sole di Erakon. Quando ebbi di nuovo l’utilizzo della vista notai che eravamo finiti in un posto che a prima vista sembrava un paradiso: la stanza era molto più grande di quello che sembrava da fuori, ai lati crescevano piante rampicanti ed erano ammassate grandi quantità di gioielli e di vasi di valore molto probabilmente inestimabile. Al centro troneggiava un enorme lago di un blu intenso che illuminava tutta la piramide di una luce azzurra. La cosa curiosa era che anche le foglie, i vasi e i gioielli erano di colore blu. L’acqua era così cristallina che si poteva vedere a metri e metri di profondità. Mi avvicinai alla riva e intravidi un minuscolo pezzetto di carta che giaceva sul fondo dal lago. Siccome emanava una certa luce dorata e non era bagnato decisi che quello doveva essere ciò che stavamo cercando. Gridai “Ragazzi, ho trovato la mappa!” Alvaro si avvicinò “Dov’è?” “Laggiù, sul fondo del lago, la vedete?! Basta solo andare a prenderla.” Juan si stava guardando in giro circospetto “Io non credo che sia così facile…” Accidenti, quel ragazzo doveva sempre mettermi i bastoni tra le ruote “Perché no? Abbiamo già affrontato la sfinge!” “Se fosse così facile come mai ci sarebbero così tanti cadaveri qui in giro?” Guardai meglio negli angoli della caverna e con orrore realizzai che c’erano almeno un centinaio di scheletri che giacevano stesi a terra avvolti in una strana rete sempre di colore blu “Ok, non tocchiamo nulla.” Il mio amico sibilò al fratello “Alvaro, tieni le mani a posto!” Lui infatti stava già puntando un vaso di dimensioni apocalittiche. Juan non aveva neppure finto la frase che Eleanor strillò “Oh, per tutte le Energie!” Mi preoccupai da morire “Ele, che cosa succede?” Lei corse sopra una grossa pila di gioielli facendomi quasi fare i miei bisogni addosso dalla paura “Ho visto una collana di diamanti! E’bellissima, la voglio avere!” “No, Eleanor non toccarla!” Sentimmo due gridi. Ovviamente la mia migliore amica non mi aveva ascoltata e aveva messo entrambe le mani sopra una favolosa collana fatta completamente da diamanti grossi più o meno come la mia testa che però aveva cominciato a sollevarsi da terra portandosela dietro. Quella testa bacata di Alvaro aveva deciso di correre in soccorso della sua innamorata e invece di tentare di tenerla giù per i piedi, era saltato per afferrarle la vita. In questo modo sia Ele che Al stavano fluttuando verso il soffitto della piramide e ben preso si trovarono dentro una grossa rete blu, come quella che era attorcigliata sugli scheletri. Corsi sotto di loro “Eleanor! Alvaro! State bene?” La mia amica non sembrava avermi sentito “Aiuto! Aiuto! Sono bloccata quassù con Alvaro! Aiuto, non voglio morire!” “Ele, stai tranquilla, adesso ti tiro giù!” Juan domandò a suo fratello “Al, come stai tu?” Lui sorrise “Io sto bene, non capita tutti i giorni di rimanere intrappolati con una bella ragazza!” “Ok.” La mia amica però non sembrava avere molta voglia di scherzare “Chiudi il becco e cerca un modo di tirarci fuori di qui, cervello di gallina!” Al abbassò il capo. “Come vuoi tu.” Mi rivolsi a Juan “Dobbiamo liberarli o faranno la stessa fine degli scheletri sul pavimento!” “Ci serve qualcosa come un giavellotto oppure delle frecce per tagliare la corda che li tiene appesi al soffitto.” Mi voltai verso una delle enormi pile di oggetti blu “Ci sarà qualcosa che possiamo utilizzare qui!” Feci per fiondarmici sopra ma Juan mi afferrò la maglietta “Aspetta! Non dobbiamo toccare niente, altrimenti faremo la loro fine.” Sbottai “Ma non possiamo lasciarli appesi lì come due salami!” Io avevo il compito di aiutarli, non potevo certo rimanermene lì con le mani in mano senza fare niente! Non sopportavo l’idea che qualcuno che aveva bisogno d’aiuto non lo ricevesse immantinente “Io devo fare qualcosa!” “Tu puoi fare qualcosa.” Una voce ci fece trasalire, così ci voltammo. Dal lago era uscita una strana figura: sembrava una donna ma aveva la pelle blu, la testa a forma di goccia che terminava con strani capelli azzurri, gli occhi neri a mandorla, un reggiseno fatto di conchiglie, una coda da sirena e ci stava scrutando seduta su uno scoglio che non avevo notato prima. Dato che Juan sembrava parecchio spaventato e non avrebbe aperto bocca, decisi di prendere in mano la situazione nonostante fossi quasi certa che quell’essere avrebbe tentato di mangiarci “Ehm...salve.” Lei (dato che aveva una voce femminile avevo deciso che si trattava di una lei) rispose “Salve a voi. Chi siete e perché siete entrati nella mia dimora?” Sorrisi tirata “Mi da un minuto?” “Certo.” Presi in disparte Juan e gli sussurrai “Che facciamo? Le diciamo i nostri nomi?” “No! Hai visto quello che è successo prima?!” “Si, ma questa sembra diversa.” “Tutti i mostri sembrano diversi all’inizio.” “Ma dobbiamo aiutare Elenaor e tuo fratello, magari lei ci può dare una mano.” “Non ho intenzione di dirle perché siamo qui.” “Allora lo farò io.” “No!” “Si!” “No!” “Voglio salvare i miei amici, quindi le dirò la verità!” Senza neppure riprendere fiato dissi alla sirena “Noi siamo quattro mezzosangue. Lo scettro di Ra è stato rubato da qualcuno di malvagio e noi vogliamo ritrovarlo per ridarlo al suo legittimo proprietario, ma i nostri due amici sono stati catturati e adesso stanno penzolando come due salami sopra la nostra testa, per favore può aiutarci a tirarli giù invece di mangiarli?” Boccheggiai per riprendere fiato. La signora in blu rise “Non vi preoccupate ragazzi, io non voglio mangiarvi. Questa piramide dove siete entrati è la mia casa da più di dodici miliardi di anni. Il mio nome è Miryade e sono la guardiana del fondali lacustri e marini. Un giorno Ra mi domandò se desideravo nascondere una delle piccole parti della sua mappa magica e io accettai. Così lasciai il mare per trasferirmi in questo lago che Ra aveva fatto coprire con questo edificio, creando un mondo tutto per me. Siccome rimango tutt’ora la guardiana dei fondali ho spostato tutto quello che doveva proteggere qui dentro e ho creato un sistema d’allarme anti-profanatori: chiunque vorrà rubare una parte del mio tesoro verrà catturato.” Pensai che quello che si era inventata era particolarmente ingegnoso, ma il quel momento non avevo molta voglia di stare a sentire quanto brava fosse ad inventare trappole “Complimenti, ma i miei amici non sono dei ladri. Hanno toccato la tua collana per sbaglio e ora sono finiti lassù.” Miryade mi indicò la gabbia blu “Io so che sono innocenti, ma la mia corda magica non lo sa.” “E non puoi dirglielo?” “Purtroppo no.” Juan sbottò “Ma insomma! Lì dentro c’è la figlia di Anubis e il figlio di Sehkmet, come possono essere due profanatori?!” La sirena non perse la sua calma, cosa che irritò ancora di più il mio compagno “Le mie trappole non fanno differenze: che tu sia umano, mezzosangue oppure Energia, se tocchi il mio tesoro verrai appeso.” Prima che Juan si scagliasse contro di lei intervenni “C’è un modo per salvarli?” “Dovete dimostrare alla mia trappola che voi non siete venuti qui per il mio tesoro, ma per un altro.” Indicò l’acqua sotto di lei “Recuperate la mappa e la mia trappola lascerà andare i vostri amici.” Eleanor si dimenò “Alex, ti prego recupera quel pezzetto! Alvaro si sta facendo appiccicoso!” Juan ed io ci avvicinammo al lago: la nostra bella parte di mappa era là, immobile e asciutta. Il lago però era molto profondo e la roccia dove si trovava quella maledetta era parecchi metri sotto di noi, in più non sapevamo se c’erano pesci che avrebbero provato a mangiarci o altre cose pericolose. Il mio amico sospirò “Non riuscirò mai a trattenere il respiro così a lungo…” Io fortunatamente non avevo problemi di fiato con tutte quelle immersioni che avevo fatto nell’oceano proprio di fronte all’Admiral, l’unica cosa che mi preoccupava era la pressione. Comunque dovevo tuffarmi, era l’unico modo per salvare i miei amici. Eravamo partiti da pochissimo e io non avevo nessuna intenzione di perdere gli unici amici che avevo! Dissi, sperando di suonare più decisa di quello che ero in realtà “Vado io.” Juan ridacchiò “Non starai mica dicendo sul serio?” Sbottai “Ma perché tutti credono che stia sempre scherzando?! Sto parlando seriamente!” “Ma sei matta? Ti affogherai!” Purtroppo aveva ragione, però non lo avrei mai ammesso “Tu hai un’idea migliore per salvare tuo fratello ed Ele?” “Ehm…” “Bene, allora intanto che tu pensi io andrò a prendere la mappa.” Tolsi le scarpe, i calzini, lo zaino e li appoggiai allo scoglio di Miryade in modo che non si bagnassero. Sopra ci gettai la felpa e dissi a Juan “Guarda che non si rovini. È la mia preferita.” Mi avvicinai al lago in modo che le piccole onde mi toccassero i piedi. L’acqua era di un blu meraviglioso e cristallina solo che aveva una temperatura glaciale, probabilmente non vedeva la luce del sole da dodici miliardi di anni. Rimpiansi molto quella volta in cui ero caduta in acqua a gennaio, avevo avuto molto più caldo. Come minimo sarei andata in ipotermia e come massimo sarei diventata un bel ghiacciolo da dare in pasto alla sfinge! Mi imposi di non pensare a nient’altro che al pezzetto di mappa e cominciai ad entrare in acqua. Vorrei dirvi che entrai in acqua lentamente con fare eroico oppure che feci un fantastico tuffo da campione olimpico, ma non posso; infatti appena le mie gambe toccarono l’acqua esclamai “Mamma mia è ghiacciata!” e feci un salto, ma ovviamente il fondale andava giù subito, così precipitai nella fossa bevendo un sacco di acqua. Quando riemersi non guardai in faccia nessuno, dato che non mi ero mai vergognata tanto, feci uscire tutta l’acqua che avevo nei polmoni e mi immersi nuovamente. Lo spettacolo era da mozzare il fiato, cosa molto pericolosa se devi trattenerlo: c’erano enormi distese di alghe azzurre che si muovevano con la corrente, stupendi coralli che decoravano il tutto e pacifici banchi di pesci, sempre blu, che mi guardavano dato che non avevano mai visto un essere tanto colorato come me. Purtroppo la loro sorpresa non sarebbe durata a lungo dato che il freddo era talmente tanto che sarei diventata blu anche io! Era come se un milione di piccoli aghi mi stesse bucando la pelle e tutto quello che c’era sotto. Continuai a nuotare imperterrita nonostante avessi grandi difficoltà a trattenere il respiro. Più mi spingevo in profondità più il freddo aumentava. Sentivo i polmoni che volevano scoppiare ma ormai ero troppo lontana dal pelo dell’acqua per poter riprendere fiato. Decisi che non mi sarei arresa neppure dopo morta, quindi continuai imperterrita ad avanzare. Ad un certo punto mi accorsi che tutto stava diventando sempre più nero. Tentai di cercare il pezzetto della mappa ma ormai non vedevo più nulla, i miei occhi non sarebbero riusciti a mettere a fuoco neppure una balenottera azzurra. Stavo perdendo la sensibilità delle mani, dei piedi e del naso mentre gli aghi che sentivo prima si facevano sempre meno dolorosi. Pian piano il mio corpo smetteva di rispondere ai miei comandi: stavo morendo. Ormai non avevo più la forza di fare niente, così tesi la mano sperando che il pezzetto di mappa fosse lì vicino. Chiesi scusa mentalmente ad Alvaro e ad Eleanor che erano ancora appesi sul soffitto della piramide. E fu in quello che lo vidi: era una specie di cavalluccio marino grande come un cavallo normale e fatto tutto completamente di luce dorata. Apparve così, all’improvviso illuminando tutto quello che c’era accanto a me e facendomi vedere che su una roccia, che a me in quel momento sembrava blu con i pallini gialli, c’era il pezzettino di mappa scintillante che mi serviva. Appena le mie dita lo avvolsero tutto il freddo che avevo sparì, ripresi l’uso di mani, piedi e naso e vidi di nuovo. Quell’ondata di calore mi aveva trapassata come un fulmine e mi aveva ridato l’energia di cui avevo bisogno. Il cavalluccio marino mi guardò e giuro che mi sorrise, poi si dissolse. Sarei rimasta là sotto per capire che diavolo era quell’animale e da dove era venuto, ma i miei polmoni ormai erano ridotti a due noccioline, così mi diedi una spinta con i piedi sulla roccia dov’era sistemata la mappa e ritornai in superficie. Appena riemersi cominciai a tossire e presi una grande boccata d’aria. Fu un sollievo avere dell’aria fresca nei miei polmoni che fortunatamente tornarono a dimensione normale. Mi tirai su a fatica e mi distesi sulla riva boccheggiando e tentando di far tornare i battiti del mio cuore sotto i centotrenta. Juan mi guardava con gli occhi fuori dalle orbite “Sei ancora viva?” “Più o meno.” “Ce la fai a respirare?” “Più o meno.” “Ce l’hai la mappa oppure mi risponderai ancora più o meno?” Alzai il braccio e gli mostrai il piccolo pezzo di carta dorata “Eccolo qui, tutto interno.” Eleanor gridò da sopra “Si! Grande Alex!” Poi ad Al “Vuoi toglierti?!” Io riuscii a mettermi a sedere e domandai a Miryade “Adesso lascerà andare i miei amici?” Lei annuì “Certo che si.” In quello la rete blu che teneva Ele e Alvaro cominciò a scendere dal soffitto e ben presto i miei amici furono a terra. Juan ed io li aiutammo a venire fuori e la mia migliore amica mi abbracciò “Oh, grazie Alex!” “Figurati.” “Non so se le ragazze del mio fan club si sarebbero tuffate là dentro. Era molto fredda?” Ammisi “Si, era congelata.” Alvaro mi chiese “Ma non sei diventata un ghiacciolo?” “Oh, lo stavo per diventare, ad un certo punto pensavo che sarei morta. Poi però un cavalluccio marino di luce dorata mi ha illuminato la strada e sono riuscita a prendere il pezzetto di mappa. Se non ci fosse stato quello credo che ora non sarei qui.” Come avrete facilmente intuito i miei amici pensarono che l’acqua fredda e la mancanza di ossigeno mi avessero dato al cervello e che fossi totalmente uscita di testa, così fecero delle facce assurde e Juan mi porse la mia felpa “Tieni Alex, scaldati un secondo.” Presi la maglia in mano e me la legai in vita “Sto bene ragazzi, davvero. Voi non mi credete, vero?” Alvaro mi sorrise “Io ti credo.” Questo mi fece sentire ancora più pazza. Ele sospirò “Mi sembra un po’impossibile quello che hai appena detto.” Juan rincarò “Si, può capitare che quando uno è in difficoltà veda cose che non esistono.” Decisi che non era il momento di mettermi a discutere con loro “Va bene ragazzi. Ora usciamo di qui e partiamo per la nuova meta.” “Ok, dai andiamo.” Mentre i miei amici camminavano verso l’uscita di quella maledetta piramide io mi voltai verso Miryade “Grazie mille, sono quasi morta ma abbiamo ottenuto quello che volevamo.” Lei mi sorrise “Per me è stato un piacere aiutarvi. Siete quattro ragazzini molto coraggiosi, vedo molta coesione tra voi. Se rimarrete insieme andrete lontano.” “Davvero?” “Si, davvero.” “In questo caso, grazie ancora. Arrivederci Miryade.” “Arrivederci, stellina.” Non feci troppo caso a come mi aveva chiamata e uscii. Quando fummo alla luce del sole la porta che Juan aveva sbriciolato si ricreò dietro di noi. Estrassi dal mio zainetto il primo pezzo della mappa e lo misi accanto a quello che mi porgeva la mia amica. Juan sorrise “Vediamo dove ci manderà.” Eleanor disse “Speriamo sia un bel posto con tanti bei negozi!” Alvaro “Io spero sia una bella spiaggia!” Sistemai la nuova parte che si unì a quella precedente. In un turbinio di polvere di stelle alla porzione di universo che c’era già si aggiunse un altro quadrante. Tra le stelle, le nebulose e i pianeti apparve una scritta. Eleanor gridò “Oh, mamma mia! Si!” Alvaro, come al solito, era confuso “Che razza di pianeta è Albanem?” “Non sai cos’è?! È il pianeta più ricco di tutto l’universo! E’pieno di casinò, hotel, ristoranti e negozi di lusso! E’sempre stato il mio sogno andarci! Alex, dove dice che si trova il terzo pezzetto?” Mi sporsi un po’ per leggere meglio quelle strane rune “Ok, vediamo, qui dice che si trova al casinò Pyramid.” L’urlo di Eleanor distrusse i  nostri poveri timpani “Il Pyramid! Ma è il casinò più importante dell’interno universo! Oh, mamma mia, non posso crederci!” Dissi “Va bene, va bene. Torniamo alla nave, dai.” “Si, sono d’accordo.” Così tutti assieme tornammo all’astronave del signor Anubis, prendendo un po’in giro la sfinge incastrata. Lei ci ruggì un paio di parolacce e parecchie minacce “E’ solo questione di tempo e io sarò di nuovo libera! Anche se ve ne andrete io riuscirò a scovarvi e in quel momento voglio proprio vedere se avrete il coraggio di dirmi queste cose! Vi distruggerò piccoli mezzosangue!” Eleanor rise “Credi di poterci sconfiggere tutti quattro in una volta? Siamo una squadra troppo forte per te!” “Vedrete stupidi scarafaggi, vedrete. Ci rincontreremo molto presto!” Io replicai “E allora noi saremo pronti a batterti un’altra volta, tutti insieme.” Alvaro rincarò “Ben detto!” Il mostro ci maledisse altre cento volte ma noi non ci facemmo troppo caso, camminammo fino alla navicella ed entrammo. Al si stravaccò sui sedili posteriori “Ah, e anche questo pezzo è andato!” Juan annuì “Già, e chi l’avrebbe mai detto che ce l’avremmo fatta?” Eleanor guardò tutti con aria di superiorità “Ovviamente io ero certa che saremmo riusciti nella nostra missione.” “Si, come no. Se non fosse stato per te nessuno sarebbe rimasto appeso sul soffitto di quella maledetta piramide a morire di stenti!” “Si, ma senza di me non sareste mai riusciti a rubare l’astronave di mio padre! Tu Juan invece non hai fatto nulla!” “Come scusa?! Saremmo ancora fermi a spingere la porta se io non l’avessi sbriciolata!” “Avrebbe potuto farlo anche Alvaro!” “Si, ma non gli sarebbe mai venuto in mente!” Lui annuì mentre tutta la sua concentrazione era focalizzata su una caramella al limone che stava tentando di scartare “Già, io non ho delle idee molto brillanti.” “Tu non hai affatto idee, Al!” Siccome non avevo molta voglia di continuare a sentire il loro litigi mi sedetti al posto del pilota e dissi “Ares, ci sei?” Lui (se di lui possiamo parlare) rispose immediatamente “Certo Alex, io ci sono sempre.” “Ho una nuova meta per te.” “Siete riusciti a recuperare la mappa?” “Si!” “Ti dico con tutta franchezza che secondo le mie stime c’era la probabilità del 85% che voi falliste.” Alzai le sopraciglia “Grazie per questa notizia molto rassicurante, Ares. Ora, se non ti dispiace, vorrei partire per Albanem dato che non sopporto più Eleanor e Juan.” “Vorrei tanto dirti di si siccome anche io vorrei eiettarli, ma i miei sensori rilevano dei valori corporei fuori scala in tutti voi e posso vedere che le tue facoltà mentali non sono al loro massimo livello.” Mi tolsi dalla fronte quella specie di sensore argentato che Ares aveva fatto uscire dalla mia poltrona “Va bene, ci fermeremo a riposare, basta che togli questa roba dalla mia faccia!” Mi rivolsi ai miei amici “Ehi ragazzi, Ares dice che dovremmo riposare un po’…” Non avevo neppure finto la frase che Eleanor aveva già premuto un pulsante e i posti posteriori si erano allungati creando una specie di letto. Ci si gettò sopra, si mise una mascherina rosa sugli occhi e disse “Ora non disturbatemi, per essere bella come sono ho bisogno di dormire!” Juan annuì “Ha ragione, abbiamo saltato una nottata di sonno scappando via. Alvaro, mettiti a dormire anche tu.” Il fratello eseguì e si stese a sua volta. Io mi abbandonai sul mio sedile che trovavo veramente comodo. Come avrei potuto dormire dopo tutto quello che era successo? Neppure due giorni prima ero una semplicissima ragazzina maldestra e sfigata e ora ero una guerriera che combatteva terribili mostri e che recuperava mappe misteriose. Nonostante durante quella giornata avessi rischiato di morire ben due volte sapevo di non essere mai stata più felice. Finalmente potevo aiutare io gli altri e non il contrario! Finalmente le persone che avevo accanto mi prendevano sul serio e non pensavano che fossi uno scherzo della natura. Mentre stavo nuotando verso il pezzettino di mappa, anche se per pochi secondi, mi ero sentita utile, mi ero sentita vera e viva. Ma la cosa più bella era che stavo facendo tutto quello assieme a Eleanor, Alvaro e Juan, le persone più speciali che avessi mai incontrato. Loro erano convinti di poter fare la differenza, di poter recuperare lo scettro di Ra proprio come lo ero io. Avevo sempre avuto molta fiducia in loro e speravo che dopo aver dimostrato la mia lealtà verso Al ed Ele loro ne avessero in me. In più speravo che mio padre lassù mi riconoscesse dopo la mia missione, ma questo non l’avevo detto ai miei amici. Guardai fuori dalla vetrata: la stella di Erakon stava tramontando oltre la linea dell’orizzonte portandosi dietro tutto quello che avevamo combinato. Tutte le piante ora erano colorate di rosso e di oro, sembrava quasi che un forziere ci avesse vomitato sopra monete colate! Le fronde mi offrivano un po’ di riparo, così riuscii a guardare quella grossa gigante rossa il cui destino doveva essere nelle mani di Ra e invece era in quelle di un pazzo che aveva rubato il suo scettro. Quel tipo, o tipa, ci teneva tutti in pugno. Se c’era una cosa che non avevo mai potuto soffrire era la mancanza di libertà, tutti quanti dovevano essere liberi di fare quello che volevano senza paura. Chi aveva rubato lo scettro doveva essere un pazzo malato di mente! Un pensiero mi si insinuò nella testa: se mai fossimo arrivati a destinazione avremmo dovuto affrontare il ladro. Se aveva rubato quello che aveva rubato doveva essere davvero una persona astuta, molto astuta. Io sapevo che i miei amici erano grandi guerrieri e anche io non ero affatto malvagia con la spada, ma saremmo mai riusciti a sconfiggere colui o colei che aveva beffato Ra in persona? Con questo pensiero e con i raggi del sole che mi illuminavano il viso mi addormentai. Subito dopo ero in una caverna. Il soffitto era piuttosto alto e scuro da cui pendevano stalattiti decisamente troppo appuntite per i miei gusti che a ogni tanto si univano con le stalagmiti in colonne.  Quasi mi carbonizzai gli occhi perché all’interno della grotta c’era ammassata una quantità infinita di monete d’oro, gioielli preziosissimi, vasi antichi e anche tappeti pregiati. Pensai che molto probabilmente tutto quello era stato rubato dato che riconobbi un’anfora con scritto sopra il nome di Anubis e subito sotto “non toccare”. Una voce mi fece trasalire: a parlare era una donna che mi sembrava di aver già sentito “Beh, la gitarella alla Grande Piramide è stata proficua, no?” Una voce maschile stranamente familiare le rispose “Si, certo.” “Non credi però di aver preso un po’ troppa roba? Abbiamo riempito tutta la grotta!” “Oh, non dobbiamo badare a spese! Abbiamo lo scettro di Ra nelle nostre mani!” “Ok, ma io non ho ancora capito che ci vuoi fare.” “Come ben sai quello è l’oggetto più potente dell’universo. Appena avrò il via libera scatenerò tutta la sua potenza contro le Energie riaprendo le dorsali universali. Una volta che quelle maledette Energie saranno morte ridurrò tutti gli abitanti dell’universo in schiavitù e creerò un nuovo mondo, dove io sarò il re e tu la regina. Lì davvero non baderemo a spese perché tutto l’universo sarà a nostra disposizione! Pensa, il tuo armadio potrà occupare pianeti interi!” “Si, è una prospettiva piuttosto allettante. Ma che farai con i mezzosangue? Alcuni non si arrederanno tanto facilmente.” “Non preoccuparti, niente e nessuno può resistere al potere dello scettro.” “Certo, ma ci saranno sempre dei ribelli. Tu pensi che una come Eleanor Hamilton, come Juan Riveira  e addirittura come la ragazzina nuova starebbero buoni buoni ad eseguire i tuoi ordini?” “I ribelli allora proveranno la mia rabbia. Prima li costringerò a guardare la fine del mondo che conoscono, poi li torturerò ed infine punterò lo scettro contro di loro facendoli esplodere in mille pezzettini!” In quello davanti alla mia faccia si parò il viso che avevo visto nel lavandino di Eleanor, i suoi occhi marroni cominciarono a lampeggiare fino a diventare due palle di fuoco e la voce che stava parlando cominciò a trasformarsi diventando sempre più bassa e tagliente, tanto da farmi sanguinare le orecchie “E poi sarò io il re.” Diceva. In quello mi svegliai di soprassalto prendendo una ginocchiata sul pannello di controllo. Qualcuno mi stava scuotendo per un braccio “Alex, Alex, svegliati!” Ansimai “Ares, accendi una luce.” L’astronave eseguì e io potei guardarmi attorno: ero ancora nella navetta, seduta sul sedile del pilota mentre fuori era notte fonda e Juan era nel sedile del passeggero che mi fissava. Aggrottò le sopraciglia “Va tutto bene?” Mi accorsi di essere tutta completamente sudata e tremante “Io non lo so…” “Stavi gridando nel sonno, così ti ho svegliata.” Tutto quello che riuscii a dire fu “Ah.” Mamma mia, che vergogna! Lui però non sembrava avere voglia di prendermi in giro “Hai avuto un incubo, vero?” Ammisi “Si.” “Era il primo per te?” “No, assolutamente no.” Nella  mia vita purtroppo avevo fatto molti sogni orribili dove la gente veniva ammazzata e fatta a pezzi, dove incrociatori collassavano in un mare di fiamme e tutto quello che amavo veniva distrutto. Anche quando ero molto piccola non ero mai corsa piangendo da mia madre perché sapevo che erano solo dei sogni. Ma a volte sembravano così reali. Juan mi sorrise “Purtroppo questa è una caratteristica che accomuna tutti i mezzosangue. La nostra metà appartenente alle Energie ci permette di essere in contatto con quello che succede nel mondo e quello che pensano i nostri genitori. Il risultato di questa addizione ci fornisce orrendi incubi in cui tutto quello che amiamo viene distrutto eccetera eccetera.” “Allora anche tu fai degli incubi?” “Perché altrimenti sarei sveglio alle tre del mattino?” Mi abbandonai di nuovo sul mio sedile “Questo sogno però era così reale…” “Non ci devi pensare, va bene? Quando siamo stanchi e deboli moltissimi influssi oltrepassano la barriera della nostra mente e ci tormentano. Più di una volta anche io sono stato spaventato a morte.” “Si. In fondo sono solo sogni.” “Purtroppo Alex, devo dirti che i sogni dei mezzosangue non sono mai solo dei sogni. Vogliono sempre dirti qualcosa ma generalmente mai qualcosa di importante. Di solito vogliono solo ricordarti che non sei un dio e che anche tu hai dei limiti.” Rimasi stupita: quello che Juan mi stava raccontando era quello che i suoi sogni dicevano a lui! Dov’era finito il Juan sbruffone e diffidente che conoscevo? Questo era un ragazzo gentile e comprensivo! Forse quella del grosso gallinaceo era solo una maschera... . Comunque decisi di approfittarne “Juan, ho sognato un uomo e una donna che parlavano della distruzione del mondo. Avevano con loro lo scettro di Ra e dicevano che lo avrebbero usato per ammazzare le Energie e creare un nuovo universo. Tu dici che quello che ho sentito possa corrispondere alla realtà o comunque a qualcosa di simile?” Lui sospirò “Alex, io non so cosa dirti. Non mi è mai capitato di fare dei sogni così precisi e nitidi. Quella che hai avuto potrebbe essere stata una visione, e se lo fosse sarebbe una cosa veramente successa.” “E come si possono distinguere i sogni dalle visioni?” “Devo essere sincero: non lo so.” Controllai che Ele ed Alvaro stessero dormendo “Devo confidarti una cosa, ma tu devi promettermi che non mi prenderai in giro.” Diversamente da quello che mi aspettavo il mio amico rispose “Lo giuro.” “Va bene. Quando ero a casa di Eleanor sono andata in bagno e ho visto riflessa nell’acqua del lavandino una faccia che però non era la mia. Sembrava quella di un uomo adulto con capelli e occhi marroni che mi diceva che non valevo niente.” “Oh, non sai che sollievo è per me sentire questa cosa! Anche io l’ho vista, riflessa nel lago su Camp. Credevo di essere diventato pazzo tutto ad un tratto!” “Dovremo chiederlo anche ad Eleanor e a tuo fratello, magari anche loro l’hanno vista.” “Si, potremmo.” “Ma di chi è quella faccia? Perché viene a tormentarci?” Non gli dissi che l’avevo vista anche nel sogno. Juan rispose “Io non lo so. Non ci capisco più niente!” Gli dissi quello che avevo pensato dal momento in cui avevo ascoltato la conversazione di Anubis “Secondo me questa storia dello scettro è ben più complicata di quello che sembra, c’è qualcosa di molto più profondo e oscuro.” “Inizialmente non ero d’accordo, ma ora credo che tu non sia molto lontana dalla verità.” “Dobbiamo trovare questo scettro al più presto. Se ormai è cominciato un processo irreversibile è nostro dovere provare almeno a rallentarlo.” “Che vuoi dire con questo?” “Non lo capisci ancora? La storia si sta ripetendo! Eleanor mi ha detto che prima della guerra contro le Energie successero molti fatti strani: sparizioni, rapimenti e assurdi ritrovamenti. Adesso stanno succedendo le stesse cose!” Juan abbassò la voce ancora di più, tanto che dovetti mettere il mio orecchio sulla sua bocca per sentire qualcosa, rischiando di cadere dal sedile “Tu dici che stiamo andando incontro ad un’altra guerra?” Alzai le sopraciglia “Il colpevole della prima non fu mai trovato…” In quello una tremenda russata di Eleanor ci fece fare un salto mortale. Il mio amico si portò le mani alle orecchie “Mamma mia, è una cosa indegna!” Alzai le spalle “Ormai ci ho quasi fatto l’abitudine. Piuttosto non sopporto tuo fratello, ma chi è che russa facendo il verso della papera?” E non stavo esagerando: Alvaro emetteva strani suoni a metà tra l’acuto e il grave straziandomi quel poco che rimaneva dei miei poveri timpani. Juan si gettò di nuovo sul letto “Va bene, dobbiamo tenerceli così. Buonanotte!” Risposi chiudendo gli occhi “Notte!” In un secondo il silenzio del bosco fu rotto soltanto dal russare degli altri nostri due compagni. Un minuto dopo Juan si alzò dal letto sbattendo le mani “Io non la sopporto più!” Io mi sporsi dal sedile “E io non sopporto più tuo fratello!” “Ma che possiamo fare?” L’occhio mi cadde sopra un piccolo sportello accanto al portellone della navetta che sopra aveva scritto “Kit d’emergenza.” Mi avvicinai e lo aprii. Cominciai a rovistarci dentro: c’erano due torce, alcune provviste, medicinali di prima di necessità, delle bende, un coltellino svizzero, un piccolo trasmettitore e una corda. Estrassi la fune e sorrisi al mio compagno. Lui mi domandò “Che hai intenzione di fare con quella?” “Lo vedrai. Forza, prendiamoli e portiamoli fuori di qui.” In men che non si dica Juan ed io eravamo usciti dall’astronave con Alvaro ed Eleanor in braccio e li avevamo legati assieme per i piedi sul ramo di un albero lì vicino. In questo modo gli animali che abitavano nella foresta non avrebbero chiuso occhi tutta la notte, mentre il mio amico ed io avremmo dormito sonni tranquilli. Guardai Ele ed Al che dormivamo tranquillamente appesi come due salami e pensai che quella era la seconda volta che venivano intrappolati assieme. Chissà cosa avrebbe detto la mia migliore amica al suo risveglio! Decisi che se avesse tentato di uccidermi non l’avrei liberata e rientrai nella navetta. Mi gettai sul mio sedile e chiusi gli occhi, immersa nel silenzio più totale. Juan sospirò “Ah, che calma meravigliosa!” “Puoi dirlo forte!” “Buonanotte Alex.” “Notte Juan.” E detto questo mi riaddormentai di nuovo, sperando di non fare altri sogni come quello che avevo fatto poco prima.             CAPITOLO 4DIVENTO UNA FUORILEGGE SENZA SAPERLOIl mattino seguente fui svegliata da strani rumori che venivano dall’esterno. Mi tirai su a sedere e guardai fuori: il sole era alto nel cielo che era terso e senza l’ombra di una nuvola. I suoni che sentivo non erano dei più promettenti e dato che il giorno prima ero quasi stata mangiata da un’enorme sfinge decisi di svegliare Juan e di uscire dalla nave assieme a lui. Lo scossi “Juan, svegliati!” Lui aveva occupato completamente il letto e dormiva talmente sodo che neppure un bombardamento avrebbe potuto svegliarlo! Biascicò qualcosa come “Alvaro, smettila di rompere, sei abbastanza grande da evitare una caduta di testa nel water.” Decisi di non farmi troppe domande e domandai ad Ares “Ares, dove posso trovare qualcosa che somigli ad un’arma?” “C’è una chiave inglese nello sportello sotto il tuo sedile.” Infilai la mia testa sotto il pannello di controllo e allungai una mano per aprirlo “In un posto meno nascosto non potevano infilarla…” Presi la chiave e feci per uscire dal vano, ma sbattei violentemente la fronte sul pannello. Imprecai a bassa voce “Questa è la quarta botta in testa che prendo da quando siamo partiti, se continuo così presto diventerò scema!” Camminai fino al portellone tenendo la mia arma fredda sul bernoccolo che mi ero appena fatta “E grazie tante del tuo aiuto Juan, è stato veramente prezioso! Ares, apri il portello.” L’astronave eseguì e io uscii all’esterno, pianissimo. Misi prima la chiave inglese, per fare capire che facevo sul serio, poi un piede, per vedere se il mostro me lo avrebbe staccato a morsi. Siccome non succedeva niente misi fuori anche la testa per vedere quello che stava accadendo. In quel momento vidi lo spettacolo più esilarante della mia vita: i rumori che avevo sentito erano le grida acutissime di Eleanor che era legata al ramo a testa in giù come un salame e stava facendo dondolare violentemente sé stessa ed Alvaro, prossimo a vomitare anche l’anima, nel vano tentativo di liberarsi “Ehi, qualcuno mi sente? Sono bloccata per la seconda volta assieme a questo scemo! Venite a liberarmi! Juan! Alex!” Poi “E’stata sicuramente un’idea di Juan quella di legarci quassù! Se lo prendo lo scuoio, lo trucido, lo affetto, lo getto in un gabinetto, tiro l’acqua e solo poi forse gli chiedo scusa!” Scoppiai in una risata fragorosa piegandomi in due. La mia amica se ne accorse e mi chiamò “Oh, Alex! Grazie al cielo qualcuno mi ha sentita! Tirami giù, presto!” Annuii “Va bene, adesso arrivo.” “Oh, ti ringrazio! Senti, come mai hai quella roba in mano?” Sorrisi “Questa roba si chiama chiave inglese e l’ho presa perché sentivo delle urla da dentro la nave e pensavo che qua fuori ci fosse un mostro.” “Beh, non ti sei sbagliata più di tanto dato che se mi arrabbio la mia ira può essere paragonabile a quella della sfinge.” Afferrai la corda e cominciai a snodare il nodo che avevamo fatto “Ho sentito le belle minacce che hai detto a Juan.” “Oh, si, quelle erano solo delle minacce medie, non ho ancora dato il meglio di me. Ma come mai ero appesa a questo albero con questo idiota?” Alvaro le sorrise e lei lo spintonò via. Le spiegai “Ecco, vedi, stanotte Juan non riusciva a dormire a causa del tuo russare mentre io non sopportavo quello di Alvaro, così abbiamo deciso di mettervi a dormire in un posto dove non riuscivamo a sentirvi.” Ele annuì “Si, in fondo non avevate tutti i torti. Credo che potrò rimandare la mia vendetta contro Juan. Ma cosa stai aspettando a tirarci giù, un invito ufficiale? Dobbiamo sbrigarci, io non posso andare su Albanem con questi capelli disastrati!” Finalmente riuscii a slacciare il nodo che aveva fatto Juan e Alvaro ed Eleanor precipitarono a terra come due sacchi di patate. La mia amica si tirò su in un secondo afferrando il nostro compagno per la maglietta “Coraggio, non c’è tempo da perdere!” Entrammo nell’astronave trascinando il povero Al ancora frastornato per la botta in testa. Ele fece immediatamente rimpicciolire i sedili posteriori facendo cadere Juan dal letto e ci fece sedere suo fratello “Adesso tu stai buono qui!” L’altro gemello di massaggiò una spalla “Accidenti, ma che cos’è stato?” Ele si fiondò nel sedile accanto al mio “Io sono stata! Dobbiamo andare su Albanem il prima possibile, così potrò entrane in un centro estetico e darmi una sistemata!” Lui si tirò su “E con quali soldi credi di pagarlo? Non abbiamo neppure un centesimo!” “Non ti preoccupare, andremo nel centro di bellezza che appartiene a mia zia Deliah, la sorella di mia madre, che ci riserverà un trattamento gratuito!” Mi accomodai al mio posto e accesi i motori “Va bene, allora si parte.” Dissi “Ares, ho una nuova destinazione per te!” “Non vedevo l’ora, Alex.” “Si va ad Albanem, casinò Pyramid.” “Bel posto. Destinazione inserita, pronti per il decollo.” “Allora si decolla!” Afferrai la cloche e tirai su il carrello. Subito la nave si alzò dal terreno e schizzò in alto, fuori dall’atmosfera, lasciandosi alle spalle Erakon, il pianeta dove avevo rischiato di morire due volte nel giro di poche ore. Decretai “Ok ragazzi, la rotta è inserita. È un pianeta relativamente vicino, una volta eseguito il balzo a velocità luce dovremo essere lì in dieci minuti.” Eleanor sorrise “Così dopo avremo tutto il tempo di farci belli e andare a fare shopping!” Juan si sporse dal suo sedile “Ti ripeto: con quali soldi?” “Mi basterà addebitare tutte le mie spese sul conto di mio padre.” Esclamai “Ma così ti ammazzerà!” Lei alzò un sopraciglio “Quando lo rivedrò molto probabilmente avrò salvato l’universo, quindi non credo che starà a farmi la predica su quanti soldi ho speso!” “Questo è vero.” Alvaro domandò “Vorrei veramente sapere chi ha rubato quello scettro.” “Sono stati un uomo e una donna.” La mia amica mi guardò “Come fai a dirlo?” “Questa notte ho fatto un sogno: un tipo e una tipa erano in una grotta con un sacco di roba rubata dalla Grande Piramide e parlavano della distruzione del mondo. Dicevano che ora che avevano lo scettro tutti si sarebbero inchinati di fronte a loro e che quindi sarebbero stati i nuovi sovrani dell’universo.” Mi affrettai ad aggiungere “Ovviamente non so se tutto questo è vero.” La mia amica sospirò “E’ un sogno molto dettagliato, è possibilissimo che rappresenti la realtà.” Al era piuttosto ottimista “Ora abbiamo un indizio: sappiamo che i ladri lavorano in coppia.” Juan gemette “Ma ci sono miliardi di coppie di ladri in tutto l’universo!” “Ma da qualche parte dovremo pur cominciare!” In quell’istante sentimmo un grosso tonfo e la nave uscì bruscamente dall’iperguida. Il tunnel iperspaziale si dissolse sotto i nostri occhi e la nostra astronave prese a roteare come una trottola in mezzo alle stelle. Ares attivò le cinture di sicurezza e in un attimo tutti noi fummo incatenati ai nostri sedili mentre la nostra navicella non aveva nessuna intenzione di fermarsi. Eleanor gridò “Ma che è successo?” Risposi “Siamo usciti dal tunnel iperspaziale!” “Ma perché?” “Non ne ho la minima idea, non riesco a capire niente!” Alvaro ululò “Sto per dare di stomaco!” Guardai il quadro strumenti senza sapere cosa fare: tutti gli indicatori erano impazziti, lo schermo era diventato completamente nero, un allarme suonava, e c’era un’unica scritta in rosso che diceva “Iperguida compromessa, blocco del sistema.” Siccome non volevo il vomito di Al nella splendida nave rubata al signor Anubis afferrai i comandi e tentai di fermare la rotazione della nave. Tirai la cloche verso di me talmente forte che temetti di averla staccata dai comandi! Fortunatamente e ancora oggi non so dire come riuscii a fermare la nostra navetta che si bloccò nello spazio profondo, dove l’ unica luce era data dalle stelle. Tirai un mezzo sospiro di sollievo, anche se non sapevo dove eravamo sapevo che eravamo tutti vivi “Ragazzi, state bene?” Al era diventato verde, Juan aveva uno zigomo sanguinante ed la bella messa in piega della mia amica era decisamente compromessa “No che non sto bene! Guarda i miei capelli!” Alvaro afferrò un sacchetto per il vomito da sotto il sedile e si voltò dall’altra parte sperando che noi non lo sentissimo. Juan domandò “Ma che diavolo è stato?” “Non ne ho la minima idea! Ares, perché siamo usciti dall’iperspazio?” “Un piccolo asteroide ci è venuto addosso e ha rovinato l’iperguida. Questa è la foto che hanno fatto le mie telecamere.” Sullo schermo apparve un grosso groviglio di fili che avevano fermato la corsa di una pallina nera. Davanti a lei c’era un piccolo contenitore grigio che aveva forato durante la sua corsa e da cui adesso pendeva un pezzo di qualcosa di verde. Sbuffai “Quella era la scheda madre del computer che regolava la velocità luce, l’asteroide l’ha distrutta!” “E allora che si fa?” “Non possiamo più andare a velocità luce, quindi dovremo procedere normalmente. Non siamo lontanissimi da Albanem, secondo il computer ci metteremo undici ore. Saremmo al Pyramid alle nove di sera, ora locale.” Juan chiese “Ares, non c’è un’altra soluzione?” “No, mi spiace. Con l’iperguida danneggiata in questo modo non posso fare altro.” Dissi “Non importa, dobbiamo andare su Albanem lo stesso. Ele, credo che al centro benessere di tua zia ci andremo un’altra volta.” Lei sospirò “E va bene.” Spinsi la cloche avanti e la nostra nave riprese la strada per Albanem, molto più lentamente di prima. Feci tamburellare le dita sulla leva dei comandi: quel viaggio cominciava ad avere un po’ troppi intoppi per i miei gusti. Prima la sfinge che voleva mangiarci, poi Eleanor ed Alvaro che erano rimasti in trappola, io che ero quasi affogata e adesso l’iperguida danneggiata! Qualcuno nell’universo non voleva assolutamente che noi recuperassimo quel maledetto scettro! Ma io non mi sarei mai arresa, neppure se la nave di Anubis avesse preso fuoco e noi fossimo rimasti appiedati! Quell’impresa mi sembrava una di quelle stelle che mi piaceva guardare a casa mia in Cornovaglia: la distanza era tantissima, non avevo i mezzi per arrivarci eppure volevo inseguirla anche a costo della mia stessa vita. Desideravo gridare a mio padre, lassù, che non mi aveva mai riconosciuta “Guarda che nell’universo ci sono anche io!”. Si sarebbe pentito di quello che aveva fatto e sarebbe venuto a chiedermi scusa. Scossi violentemente il capo, non dovevo assolutamente pensare a quelle cose, mi facevano sentire peggiore di quello che ero. Mi asciugai una lacrima con il dorso della mano e chiesi ai miei amici “Ele? Al?” Loro mi guardarono “Dicci tutto.” “Vi è mai capitato di specchiarvi da qualche parte e di non vedere la vostra faccia, ma quella di qualcun altro?” “In che senso?” “Non vi è mai capitato di vedere un uomo con occhi e capelli marroni al vostro posto?” Ele scosse il capo “No, assolutamente no, altrimenti mi avreste sentito gridare!” Alvaro rincarò “Si, neppure a me.” “Perché, a voi si?” Juan annuì “Si, a me è capitato. E’successo qualche settimana fa, avevo appena perso il combattimento contro Eleanor e per sfogare la mia rabbia ero andato a sedermi sul molo delle canoe. Stavo facendo saltare i sassi sull’acqua quando ho visto che riflessa sulle onde c’era una faccia che non era la mia. Mi sono spaventato, così le ho tirato una pietra e lei si è dissolta.” Alvaro sembrava essere decisamente spaventato ma la mia amica non sembrava essersene accorta “E tu Alex?” Mi domandò. Risposi “Io l’ho vista l’altro giorno. La prima notte che ho passato a casa tua sono andata in bagno e l’ho vista riflessa nel lavandino.” Al rabbrividì “Da brividi!” “Già, ma se capissimo perché quella testa è venuta a rompere le scatole solo a Juan e ad Alex non ci farebbe più tanta paura.” Un’ idea prese a formarsi nella mia mente “Aspettate un momento, Juan ha detto che aveva appena perso lo scontro contro Eleanor e quindi era molto arrabbiato. Io mi ero appena trasferita e me la stavo facendo letteralmente sotto per l’allenamento del giorno dopo.” Lui alzò le sopraciglia “E con questo?” “Entrambi eravamo scossi e quindi deboli! Le nostre menti erano vulnerabili, avevano le difese abbassate! Proprio come quando dormiamo, infatti ci vengono a tormentare quegli orribili incubi!” Eleanor cominciò a tamburellare con le dita sul pannello di controllo proprio come fa ogni volta che è nervosa “I brutti sogni che facciamo ci sono infilati in testa involontariamente dai nostri genitori immortali…” “Esatto! Solo loro riescono ad aggirare le barriere delle nostre menti!” Juan sospirò “Tutto questo ci porta a dire che ciò che abbiamo visto è stato mandato da un’Energia...” “Che potrebbe essere la stessa che ha aiutato il ladro a fregare lo scettro di Ra.” I miei amici mi fissarono. Ares intervenne “Il ragionamento non fa una piega.” Sollevai le sopraciglia “E se lo dice un computer!” Eleanor sbuffò “Sembra che alla fine abbiamo a che fare con tre traditori e non due!” Alvaro scosse il capo “Questa faccenda sta diventando sempre più complicata e spaventosa!” Juan sorrise “La volete sapere una storia che fa davvero paura?” Suo fratello si tappò le orecchie con le mani “No, non voglio!” Eleanor ci guardò maliziosa “Io la vorrei sapere!” Io annuì “Già, abbiamo undici ore davanti a noi, dovremo pur fare qualcosa!” Lui allora si girò bene verso di noi e prese raccontare “Ok, questa è una storia vera, l’ho letta in “maledizioni e malefici gettati sulle Energie”. Tutti voi sapete che Ra diede origine da solo ad alcuni figli che mise a capo di uno stato destinato a governare il mondo: l’Egitto. Le altre Energie stabilirono che avrebbe potuto continuare così fino a quando i faraoni avrebbero mantenuto la pace e la prosperità. Tutto andò bene fino a quando il re Tutankhamon II decise di ribellarsi alla volontà di suo padre e iniziare una guerra contro le Energie. I nostri genitori ovviamente non potevano assolutamente lasciare che quel malvagio prendesse il sopravvento, così Ra fu costretto a combattere contro di lui e a distruggerlo. Siccome la pace era stata interrotta, Lot, colui che gestisce il destino dell’universo, fu costretto a punire il re delle Energie: tutti i figli che avrebbe avuto dopo Tutankhamon II sarebbero stati il contrario di quelli precedenti e nessuno di loro avrebbe mai più potuto governare sull’Egitto o su qualsiasi altro Paese. Questa è chiamata la maledizione dell’ultimo faraone e non si è mai avverata, fino ad ora.” Chiesi “Quindi Ra non ha più avuto figli?” “Esattamente, non c’è mezzosangue esistente che sia suo discendente.” “Ma se questa è una maledizione ci sarà sicuramente un modo per spezzarla.” “Alex, stiamo parlando di Ra, se neppure lui ci è riuscito nessuno può farlo!” Dissi convinta una cosa che mi aveva insegnato la mia mamma, che era ignara di quello che stavo facendo in quel momento “Niente è impossibile.” Juan alzò le spalle “Non direi. Ci sono cose estremamente più grandi di noi.” “Non è vero. Noi cataloghiamo impossibili cose che per essere fatte necessiterebbero di troppo impegno.” Lui a questo punto si indispettì parecchio “No! Io ci metto tutto l’impegno del mondo per andare d’accordo con mia madre eppure non ci riesco! Queste solo sono menzogne! E’ una cosa che ti ha detto tua mamma, vero?” Scattai, cosa molto pericolosa se stai pilotando un’astronave “Così tu reputi mia madre una bugiarda?!” “No, è solo che le madri cercano di non fare mai preoccupare i figli. Tu eri una cameriera in una squallida bettola, non avevi neppure un amico e ti capitavano cose sfigate in continuazione, certo che lei ti ha detto che niente è impossibile, che i tuoi sogni si potevano avverare.” Anche se la rabbia mi stava bruciando le budella decisi di rimanere pressoché calma. Io credevo fermamente in quello che mi aveva detto la mamma e avevo anche le prove da sventolare sotto il naso di quel brutto arrogante. Feci uscire l’aria dal naso, temendo che potessero uscire anche della fiamme e risposi “E infatti adesso sono qui.” Eleanor scoppiò a ridere “Ah, ti sei tirato la zappa sui piedi da solo Juan!” Lui borbottò “Si, me ne sono accorto.” “Non ti conviene metterti contro Alex, io ti avrei staccato la testa, ma quello che ha detto lei è stato ancora più umiliante!” Alvaro annuì, felice che ogni tanto suo fratello perdesse “Già, Alex è diversa.” Eh, già, io ero diversa. Non che fosse una novità per me, lo avevo sempre saputo. Non capivo però perché io non dovevo essere come gli altri, insomma, non ero un’umana normale e questo ci stava, ma non ero neppure una mezzosangue normale! Ma accidenti, chi ero io veramente? Quale era il mio posto nell’universo? Questi erano i miei pensieri mentre la nostra nave continuava imperterrita la sua strada verso Albanem. Ovviamente non avevo la minima idea di quello che ci sarebbe successo là, come molte altre volte in questa storia. Il viaggio proseguì senza intoppi. Juan e Alvaro litigarono un po’ su chi dei due fossi più carino (vorrei farvi notare che loro sono identici), poi si misero a giocare a Poker utilizzando gli smalti che Eleanor aveva portato via come fish. Da esperta giocatrice quale sono potevo annusare i bluff di Juan da un chilometro di distanza ma Al era decisamente stupido, così perse tutte le manche. La mia amica decise di pitturarsi le unghie sporcando irrimediabilmente il pannello di controllo di Ares che la insultò e lei insultò lui. Quando ero ormai ad un passo dal suicidio vidi una grossa palla che veniva nella nostra direzione. La guardai estasiata: nel buio dello spazio e della notte che avvolgeva metà del pianeta le luci dei casinò brillavano come stelle, sembrava quasi che Albanem fosse una grossa nebulosa! Lo indicai “Ragazzi, guardate!” Loro rimasero senza parole proprio come me. Alvaro esclamò “Wow, sembra un pianeta fatto di lucciole!” Ele sorrise maliziosa “Presto potremo camminare tra tutti quei casinò!” Juan le fece eco “Chissà quante ragazze incontrerò!” Ribattei “Ehi, raffreddate gli animi! Non siamo qui per divertirci ma per trovare la mappa! Una volta che saremo dentro il Pyramid quello dovrà essere il nostro primo pensiero, i soldi, le donne e tutto il resto vengono dopo. Tutto chiaro?” “Si, va bene Alex, hai ragione.” “Bene.” Poi “Ares, iniziamo le procedure per atterrare.” Lui mi rispose “Perfetto Alex. I miei sensori rilevano uno spazioporto non molto lontano dal Pyramid, io ti consiglio di posteggiarmi là.” “D’accordo. Iniziamo la discesa.” Afferrai la cloche e la spinsi fino in fondo. La nave entrò nell’atmosfera con una vampata di fuoco e cominciò a dirigersi verso terra. Quello che avevamo visto dallo spazio era spettacolare un terzo di quello che ora si presentava davanti ai nostri occhi: un mare nero rischiarato dalla luce della luna di Albanem lambiva una grande scogliera dove era arroccata la cittadina. Le case erano modernissime, bianche e illuminate da splendide luci di tutte le forme e dimensioni. Quelli che identificai come i casinò erano dei meravigliosi palazzi a tre o quattro piani dotati di una terrazza panoramica piena di gente che si divertita con bicchieri in mano e vestiti di gala. Per le strade che erano decisamente strette passavano solo auto di lusso e supercar sportive che avevo visto solamente nei film d’azione. Eleanor aveva davvero ragione: quello era il paradiso! Dissi “E’ la cosa più bella che io abbia mai visto!” Juan aveva gli occhi che brillavano “Siamo sicuri di non essere morti e di essere arrivati in paradiso?” Ele scoppiò a ridere “Ma no ragazzi! Benvenuti ad Albanem, il paradiso terrestre!” Sorrisi “Beh, questo nome se lo merita tutto!” “E aspettate di vedere il nostro casinò!” Ci indicò qualcosa fuori dalla vetrata: se non ci rimasi secca fu un vero miracolo, il Pyramid era l’edificio più bello, composto da una base circolare bianca tutta illuminata  con una grandissima finestra che le girava tutto intorno, il primo, secondo e terzo piano erano a forma di spuntone di iceberg tutti completamente in vetro che venivano illuminati da luci che cambiavano colore quasi ogni minuto! L’ingresso era fatta a forma di piramide e c’era un enorme scritta gialla che diceva “Casinò Pyramid, dove i sogni diventano realtà”. Esclamai “Certo che Ra ha scelto proprio un bel posto per nascondere la sua mappa!” Juan annuì vigorosamente “Credo di essere d’accordo con te per la prima volta!” Ci mettemmo a ridere trasudando tutta l’agitazione e il nervosismo che avevamo accumulato durante l’eterno viaggio, e non sto scherzando perché undici ore di astronave sono veramente eterne! Comunque il nostro entusiasmo durò molto poco perché una navetta ci affiancò immediatamente facendo saltare tutte le luci. Alvaro ululò “Che succede?” Cominciai a digitare cose e a schiacciare tutti i pulsanti, ma il pannello di controllo era andato “Non lo so, la nave non risponde ai comandi!” Eleanor domandò preoccupata “Ares, che è successo?” “Ci hanno agganciati, ossia hanno preso possesso del pannello di controllo dell’astronave. Quella navicella che ci ha affiancati appartiene alla polizia di Albanem.” Gemetti “Oh no! Se ci fermano scopriranno che non ho la patente!” Juan rincarò “E che abbiamo tra le mani una nave rubata!” Mi agitai sul sedile “Accidenti, questa proprio non ci voleva…” Eleanor mi prese per le spalle “Che facciamo adesso? Siamo spacciati!” La guardai negli occhi: se proprio Eleanor la regina dei sotterfugi non sapeva cosa fare significava che eravamo veramente messi male! Aspettate un secondo…sotterfugi? Posai lo sguardo sul pavimento “Ares, in questa nave non si può accedere al motore dall’interno?” “Si, assolutamente. Basta spostare quella lastra del pavimento e troverai la camera.” Schioccai le dita “Ma certo, ci sono! Nascondiamoci lì dentro! La polizia entrerà e siccome non vedrà nessuno penserà che il computer di bordo ha avuto un cortocircuito e la porterà nello spazioporto. Una volta là usciremo dal locale motori e andremo dritti al Pyramid.” Ele annuì “Non so se funzionerà, ma è il solo piano che abbiamo!” Juan fece il salto dei sedili, mise le mani sulla lastra bianca e cominciò a spingere. Immediatamente apparve un bel buco che immetteva nel cuore tecnologico della nave. Alvaro rabbrividì “E’ così buio lì dentro!” Suo fratello lo spinse con poca grazia all’interno “Muoviti, la polizia sta arrivando!” Ares rispose “Assolutamente d’accordo con te, i miei sensori rilevano che i poliziotti stanno per aprire il portellone.” Al perse l’equilibrio ed precipitò nella buca “Ahi, che male!” Eleanor decretò “Parla ancora, quindi è vivo!” Si sedette sul bordo e saltò dentro. Lo stesso fece Juan e infine io. Mi voltai verso Ares “Ce la farai da solo?” “Sono un computer e analizzando le situazioni sono sempre in grado di passarla liscia. Ora vai.” Annuii e mi infilai nel vano, chiudendo la lastra nel momento in cui la polizia apriva la porta. Presi dal mio zaino un bastoncino fluorescente e lo spezzai. Immediatamente vidi dove eravamo finiti: era una piccola stanza a forma di boccia strapiena di tubi e interruttori decisamente stretta dove i miei amici ed io stavamo a malapena. Alvaro gemette “Sono atterrato su un tubo!” Si mosse e tirò un calcio sulla spalla di Eleanor “Mi hai appena tirato un calcio, idiota!” “Scusa.” “Stai più attento!” Juan le mise una mano sulla bocca “Taci! Vuoi che ci scoprano?” Lei per tutta risposta gliele morse “Non osare zittirmi così!” Una voce ci fece trasalire, cosa che mi fece prendere sulla caviglia il piede di Juan “Chi è là?” Un altro poliziotto si inserì “Nessuno può entrare su Albanem senza fermarsi ai nostri picchetti.” Un secondo di silenzio in cui trattenemmo il fiato, poi “Ma qui non c’è nessuno!” “Guarda meglio!” I passi dei due si fecero più intensi. Eleanor sibilò “Sono sopra la nostra testa!” Immediatamente fui bombardata da un orribile pensiero: magari avevo lasciato lo sportello aperto e loro sarebbero caduti dentro assieme a noi! Quando ormai ero sicura che il mio piano non sarebbe mai andato in porto Ares fece il suo ingresso “Salve signori.” I poliziotti fecero un salto per la paura, facendomi temere che cadessero sulla nostra terra “Chi è?” “Chi va là?” Non so se un computer possa essere seccato, ma in quel momento Ares lo sembrò “Sono Ares, il sistema operativo di questa nave.” “Chi è il tuo pilota?” “Il mio sistema operativo è un X-10, il migliore che esista al mondo, posso pilotare questa nave da solo ed è quello che ho fatto.” Poi aggiunse “Voi umani siete estremamente deboli, noi robot conquisteremo il mondo.” Uno dei due uomini sbuffò “Accidenti, un'altra astronave che prende e parte da sola!” “E’ la seconda oggi e la quarta in tutta la settimana!” “Dai, saliamo sulla nostra nave e portiamola allo spazioporto, lì faremo il reset del sistema.” “E il proprietario?” “Oggi è venerdì sera, non ho nessuna voglia di lavorare! Lo contatteremo lunedì, tanto dove vuoi che vada la sua astronave?” “Beh, è venuta fino a qui da sola…” I due uomini uscirono parlottando tra loro per condurre la nostra navicella a terra. Quando chiusero il portellone spuntai con la testa fuori dal nostro nascondiglio “Ehi, l’hanno bevuta!” Eleanor sorrise “Non credevo che i computer potessero recitare!” Ares rispose piuttosto compiaciuto “I computer normali no, ma un X-10 si! Certo che l’hanno bevuta Alex, tutti gli esseri umani con un intelligenza compresa tra la bassa e la media credono nella conquista dell’universo da parte delle macchine.” Alvaro, da persona dall’intelligenza bassa, domandò “Ma tu Ares vorresti conquistare il mondo?” “No.” “Perché?” “Perché come voi non servo me stesso, ma altre persone.” Questa frase mi fece venire in mente una cosa che mi aveva detto Eleanor, ma non riuscii a formulare il pensiero perché il computer ci avvisò “Ragazzi, rientrare nel locali motori, presto saremo nello spazioporto. Una volta che la nave sarà parcheggiata vuoi uscirete dall’apertura che ora si trova sotto il sedere di Alvaro e sgattaiolerete fuori.” Annuii e feci per chiudere la lastra, ma poi mi un dubbio mi attraversò la mente “E se dovessimo avere bisogno di te come quando ci ha inseguiti la sfinge?” “Basta settare sulla mia frequenza di trasmissione sulla trasmittente che sta qui sul pannello di controllo e potrete comunicare con me.” La presi e ringraziai “Ok, grazie Ares.” “Figuratevi, è un piacere aiutarvi, con il signor Anubis non succedeva mia niente di elettrizzante!” Scossi la testa sorridendo e chiusi il pavimento sopra di noi. Eleanor chiese “Ma come facciamo a sapere quando saremo atterrati se da qui non si vede niente?” In quell’esatto istante sentimmo un forte tonfo che ci fece prendere nelle costole tutti i tubi che avevamo accanto a noi. Gemetti “Direi che siamo atterrati.” Juan annuì “Già. Qual è il pulsante per uscire, non ce la faccio più a stare qua dentro!” Siccome conoscevo l’utilizzo di tutti gli aggeggi che stavano nella pancia dell’astronave meno quello di una leva gialla gliela indicai “Quella lì!” “Ne sei sicura?” “Si.” Mentii io. Lui si allungò e la tirò verso il basso. Avete presente l’orribile sensazione di non avere più la terra sotto i piedi? Ecco, non vi consiglio di provare a non avere davvero la terra sotto il sedere! Un piccolo portello si aprì e noi precipitammo a terra come quattro sacchi di patate. Il mio zainetto cadde assieme a noi dall’astronave. Atterrai sul pavimento di cemento dell’hangar convinta di essermi fratturata entrambe le gambe e Eleanor mi graffiò con le sue maledettissime unghie una guancia. Mi rimisi in piedi appoggiandomi alla nostra nave, felice che le gambe mi reggessero “Ragazzi, state tutti bene?” Juan gemette “No! Mio fratello mi è atterrato sopra!” Al sorrise “Io non mi sono fatto niente invece!” Risi e poi il mio sorriso si trasformò in una smorfia terrorizzata: avevo sentito i passi di qualcuno che veniva verso di noi. Sibilai “Sta arrivando la polizia, presto, allontaniamoci da Ares!” Tirammo su a forza Juan e cominciammo a camminare verso l’uscita dello spazioporto. Devo ammettere che me lo ero aspettata come un grosso capannone grigio strapieno di astronavi e non certo come una splendida stanza bianca e lucida, con posti ben disegnati per navette bellissime e probabilmente anche costosissime, dotati persino di colonne di rifornimento e attrezzi per la manutenzione. Il portellone per le navi era aperto e dava esattamente sullo strapiombo che portava dritto al mare. I pedoni invece potevano andarsene attraverso una scalinata dotata persino di tappeto rosso che portava nel centro della cittadella. L’unica nota dolente di tutto quello sfarzo erano i due poliziotti che avevano trainato Ares e che ora stavano venendo verso di noi. Uno disse “Ragazzi!” Ele sibilò “Vogliono arrestarci, camminiamo più in fretta!” Vedendo che ce la stavamo dando leggermente a gambe i due ci rincorsero “Ragazzi, fermatevi!” Dissi “Magari non ci vogliono arrestare.” Juan sussurrò “E da cosa lo deduci?” “Se pensassero che siamo criminali ci avrebbero chiamati malviventi oppure furfanti, non certo ragazzi!” Ele annuì “Sono d’accordo con Alex. Vediamo cosa vogliono e in caso mentiamo spudoratamente, lasciate parlare me!” Arrestammo la nostra pseudo fuga ed Eleanor si voltò verso i due agenti con un sorriso “Si, signori?” “Ragazzi, state uscendo dalla parte sbagliata, quello è il portellone delle astronavi che da sullo strapiombo. I pedoni devono usare la scala che vi immetterà nella città.” Lei diede una gomitata a Juan “Oh, grazie mille agenti!” “Di niente. Ma voi quattro siete soli?” “No, siamo venuti qui assieme ai nostri genitori che però sono andati a giocare al casinò. Noi siamo rimasti un po’ sulla nave, ma adesso vorremmo raggiungerli. Sono andati al Pyramid, sapreste indicarci la strada?” Quello più giovane annuì “Ma certo! È facilissimo da raggiungere, basta svoltare a destra appena fuori dallo spazioporto e ve lo troverete dritto di fronte.” Ele sorrise “Grazie mille!” Poi diretta a noi “Forza, andiamo!” Senza farcelo ripetere due volte salimmo la scalinata. Dopo aver trascinato la mia migliore amica che voleva fare la camminata da modella e aver svoltato a destra, arrivammo a destinazione. Il Pyramid era ancora più bello di quel che avessi mai osato sperare, la luce che emanava era talmente forte che avrei avuto bisogno di un paio di occhiali da sole. Mi sfregai le mani impaziente di trovare il nostro pezzetto di mappa e dissi “Ok ragazzi, entriamo!” Facemmo per entrare ma Ele ci tirò per le magliette “Fermi dove siete. Non possiamo assolutamente andare lì dentro vestiti in questo modo! Così non ci lascerebbero entrare neppure al supermercato!” Ci demmo una rapida occhiata: le nostre scarpe erano sporche di fango per la fuga dalla sfinge, Alvaro si era rovesciato del succo di frutta sui pantaloni e adesso sembrava che si fosse fatto pipì addosso, la maglietta di Juan si era bucata dopo una collisione con un albero e io avevo ancora alghe blu incastrate ovunque. Lasciando stare i vestiti posso dire che eravamo anche ricoperti di tagli e botte e i miei capelli sembravano a degli spinaci bagnati attorcigliati.  Decretai “Si, in effetti siamo ridotti malino.” Juan ribattè “Ma dove li troviamo dei vestiti puliti?” Eleanor si mise a camminare verso un vicolo che divideva il Pyramid dal casinò che stava a fianco “L’ultima volta che sono stata qui, ho visto che nelle strade secondarie avevano dei bidoni speciali…” Girò l’angolo e ci indicò qualcosa. Rimasi senza parole: in mezzo alla stradina c’era un grosso cassonetto della spazzatura di colore verde con una scritta nera che recitava “abiti usati”. Da quel coso uscivano una quantità di abiti che a me non sembravano affatto usati, anzi, erano bellissimi e probabilmente costavano più della mia casa. Esclamai “Ma che roba è mai questa?” La mia amica mi spiegò “Questa città è abitata da un sacco di gente estremamente ricca che ha talmente tanti soldi che può permettersi di mettere un abito diverso tutte le sere abbandonando quello precedente in uno di questi cassonetti. Qui le persone normali possono prendere gli abiti dei ricconi senza pagare una fortuna.” Juan rimuginò ad alta voce “Non so se sia una cosa geniale oppure proprio stupida, ma ora non mi interessa. Prendiamo questi vestiti!” Non ce lo facemmo ripetere due volte e ci tuffammo letteralmente dentro il cassonetto. Dopo un paio di minuti riemersi “Ragazzi, come siete?” Al spuntò da sotto un abito da donna “Io sono pronto!” Scavalcò il bordo e allargò le braccia: aveva addosso un completo da uomo con una giacca con le code e un paio di pantaloni a zampa di colore verde bottiglia. In testa aveva una parrucca fatta di ricci biondi. Scoppiai a ridere “Sei troppo ridicolo!” Lui fece una faccia offesa “A me piaccio!” Ele fece la sua comparsa uscendo allo scoperto con grande difficoltà “Alvaro, togli quella parrucca, fa veramente schifo! Io invece sono bellissima!” Personalmente pensai che avesse esagerato un po’ con l’abito fucsia fluorescente a tubino, uno scialle di piume rosa e due tacchi dello stesso colore del vestito talmente alti che non riusciva neppure a camminare. Li indicai “Sei sicura che non ti spaccherai una caviglia?” “Certo che sono sicura!” Rischiò di cappottarsi, così afferrò un braccio del nostro amico e disse “Bene Alvaro, tu sarai il mio sostegno.” Lui sembrava particolarmente felice. In quello Juan fece la sua entrata “Ammirate il miglior giocatore che il Pyramid abbia mai visto!” I suoi pantaloni e la giacca erano decisamente troppo larghi per lui, ma almeno erano di un nero normale. Constatai che vestito così stava veramente bene. Ele mi sorrise “Forza Alex, manchi solo tu!” Sospirai mentre uscivo dal bidone “Sono estremamente ridicola così.” Il gemello di Alvaro sorrise “Allora potrò prenderti un po’ in giro!” Sospirai: l’unico vestito che mi andasse bene e che non fosse di colore verde acceso era azzurro, corto fino alle ginocchia e decisamente troppo attillato per i miei gusti, così ci avevo messo sopra un gillet blu che sembrava fatto di rete. La mia amica esclamò “Ma non è vero! Stai benissimo!” Juan mi squadrò da capo a piedi tre o quattro volte. Dissi “Eccomi, prendimi pure per i fondelli!” Lui mi sorrise, ma non come al solito, piuttosto come aveva fatto la sera precedente quando avevamo legato Alvaro e Eleanor “Non posso. Stai benissimo.” Il mio cuore accelerò i battiti “Grazie.” Risposi senza essere sicura di quello che dicevo. Ele esclamò “Bene, allora entriamo!” Uscimmo dal vicolo e varcammo la soglia di quel posto spettacolare senza che nessuno ci dicesse niente.Se l’esterno mi aveva fatto rimanere senza fiato l’interno mi diede il colpo di grazia. Un gigantesco lampadario di cristallo troneggiava in mezzo all’ingresso circolare dove il tappeto rosso si ramificava in tre raggi cambiando colore: viola portava alla stanza dove c’era il bar, fucsia alla discoteca e oro al casinò vero e proprio. Gridai cercando di sovrastare il casino che c’era “Ragazzi, stiamo uniti, questo posto è peggio di un labirinto!” Eleanor annuì “Sono d’accordo con te.” Non aveva neppure finito la frase che una donna in miniabito paillettato con un paio di tacchi vertiginosi ci sbarrò la strada “Volete provare a vincere un’auto sportiva da tre milioni di dollari?” Scossi la testa “Lei è molto gentile signorina, ma abbiamo altri programmi per stasera.” Alvaro e Juan però non sembravano del mio stesso parere “Noi vorremmo tanto!” Esclamai “Ragazzi, no! Abbiamo una missione da compiere!” Se devo essere completamente sincera devo dire che non mi piaceva come Juan stava guardando quella ragazza. Eleanor mi tirò per una manica “Oh Alex, lasciali andare. Ce la caveremo da sole, i ragazzi non ci servono, loro sono stupidi.” Sbuffai “Si, in effetti hai ragione.” Come avrete potuto intuire io non ho molta fortuna, infatti in quello un’altra donnina tutta striminzita nel suo maledetto vestitino uscì dalla discoteca con un abito rosa da meringa in mano “Volete provare a vincere questo abito?” La spostai “No grazie, abbiamo altri programmi, vero Eleanor?” Siccome non ottenni risposta mi voltai verso di lei “Eleanor? Ele?” La vidi andare dietro all’orrendo vestito da pasticcino. Favoloso, eravamo entrati in quel casinò soltanto da un minuto e io avevo già perso i miei amici! Ero completamente sola in un atrio strapieno di gente con un minuscolo pezzetto di mappa e anche i miei amici da cercare! Dissi “Grandioso, non poteva andare meglio di così! Uffa!” Decisi che Eleanor, Alvaro e Juan erano più importanti della missione e che quindi sarei andata a cercare prima loro, avrei dato loro una bella tirata d’orecchio e poi avrei iniziato le ricerche della mappa. Sbuffai ed entrai nella sala delle slot machine dove erano scomparsi i ragazzi. Se pensavo che nell’atrio ci fosse tanta gente dovetti ricredermi appena varcai la soglia della stanza: una marea di gente se ne stava in piedi nei corridoio, seduti alle slot machine oppure ai tavoli da gioco troppo occupati per curarsi di qualunque cosa. Cercai di farmi largo tra di loro sgomitando un po’ e rischiano di venire spiaccicata contro un muro da un uomo di circa duecento chili. Esclamai “Signore, mi scusi!” Lui si accorse del suo tentato omicidio e mi rivolse la parola sorridendo “Oh, mi perdoni signorina. Ah, potrebbe portarmi un bicchiere di champagne? Questo gin era scadente.” Risposi “No, vede io non sono una cameriera…” Lui non mi ascoltò nemmeno e mi lasciò il suo bicchiere vuoto. Senza poter fare niente avanzai fino al banco dove giocavano alla roulette spaziale. L’addetto che era decisamente troppo gasato esclamò “Signori, ecco una cameriera che è venuta a prendere le ordinazioni!” Misi le mani avanti “Oh no, non è come sembra!” In men che non si dica una ventina di ricconi mi avevano riempito le braccia di calici vuoti e otturato la testa con le loro ordinazioni, ma la cosa peggiore fu che, siccome ero davvero una cameriera, me le ricordai tutte. Avanzai nella sala carica come un mulo mentre la musica a tutto volume faceva tremare il vetro dei bicchieri e anche le mie budella. Di quel passo non avrei mai trovato niente, neanche l’uscita! Ormai ero quasi arrivata al bar dove un barista dai capelli azzurri stava divertendo un gruppo di ragazze con il suo assurdo modo di fare i cocktail che, fidatevi di me, era veramente scadente quando vidi una persona con uno scialle di piume rosa d’altri tempi e dei capelli arancione fuoco. Depositai in modo poco delicato tutti i calici e scrissi rapidamente le ordinazioni al tizio dietro il bancone “Ecco, questo l’hanno ordinato i giocatori della roulette. Ah, comunque non si fa così lo Smoothie Star.” Aggiunsi un po’ di Rum e tre o quattro foglie di menta alla bevanda che stava preparando e mi lanciai all’inseguimento di quella che credevo la mia amica Eleanor. Scansai chiunque incontrassi lungo il mio cammino “Scusi, scusi, lasciatemi passare!” Ad un centro punto andai a sbattere contro qualcuno “Mi perdoni…” Alzai lo sguardo e lo fissai: era un uomo grosso come un armadio ed era vestito come una guardia del corpo e sulla giacca nera aveva un distintivo che a prima vista mi sembrò un bastone con un serpente. Il tizio mi squadrò da capo a piedi senza dire una parola toccandosi l’occhio destro in continuazione come se…come se stesse sistemando una lente a contatto. Immediatamente venni presa da una certa fifa e cominciai a correre. Non sapevo dove stavo andando, mi bastava solo allontanarmi da lui. Mia mamma mi aveva raccontato che gli agenti della polizia federale portavano delle lenti a contatto che scannerizzavano la faccia delle persone in modo da capire chi avevano di fronte consultando le loro cartelle governative e in questo modo scovavano i criminali più pericolosi. Io avevo rubato una nave e un pezzetto della mappa di Ra, quindi non ero esattamente innocente, magari qualcuno aveva denunciato l’accaduto e le maggiori autorità della galassia mi stavano cercando! Mentre ragionavo sulla mia vita criminale andai a sbattere contro qualcuno finendo a gambe all’aria. Mi tirai su immediatamente perché non volevo essere calpestata da tutti e con gioia vidi chi mi aveva atterrata: era la mia amica Eleanor che si era arrestata nel bel mezzo del corridoio. Dissi “Oh, Ele, finalmente ti ho trovata! Ma perché sei sparita in quel modo? Dovevamo trovare la mappa!” Lei non disse nulla. Sorrisi “Non mi sono mica arrabbiata, tranquilla.” Nessuna risposta ancora. La scossi per una spalla “Eleanor, ma ci sei?” Lei si voltò verso di me e finalmente la vidi in faccia. Mi feci prendere leggermente dal panico: i suoi occhi non erano più verdi e vispi, ma erano diventati completamente gialli e statici. Biascicai “Eleanor, ma che ti è successo?” Lei non disse una parola. Non sapevo cosa le era successo e perché i suoi occhi erano diventati così, ma le tirai un paio di sberle “Ele, svegliati! Svegliati!” Non ottenni nessun risultato, se non un forte bruciore alla mano e due bei segni rossi sulle guance della mia amica. Sbuffai, non sapevo proprio cosa fare! Ero sola in un enorme casinò con la mia migliore ed unica amica che stava male. Dato che stavo per mettermi a piangere feci un grande respiro: non potevo assolutamente lasciarmi prendere dal panico, Ele aveva bisogno di me ed era mio dovere aiutarla, altrimenti che razza di mezzosangue incompetente ero? Decisi che sarei andata a cercare Juan ed Alvaro, sperando che mi aiutassero e che non fossero in trance come lei. Siccome Frankenstein-Eleanor aveva deciso di andare a spasso per conto suo afferrai il suo braccio, lo arrotolai ad un tovagliolo rubato al tavolo lì vicino e lo legai al mio polso. Dissi “Bene, adesso siamo ammanettate assieme, non puoi andartene più da nessuna parte! Tranquilla, non sarà per sempre, solo fino a quando non scoprirò cosa ti è successo.” La tirai “Forza, andiamo.” Alzai lo sguardo e vidi che sopra di noi c’era una specie di balaustra da cui avrei potuto vedere oltre le teste di tutta quella gente. Mi diressi verso la scala ma Eleanor non sembrava essere del mio stesso parere “Lasciami. Devo andare dal mio padrone.” Esclamai mentre la trascinavo su per le scale “Eh no, proprio no! Cos’è questa storia del padrone?!” Lei tirava e tirava, così persi l’equilibrio e presi tre gradini in faccia. Mi rialzai e cominciai a salire tenendomi con tutta la mia forza al corrimano “Non so che ti è successo, ma spero di capirlo presto perché mi sembra di giocare al tiro alla fune, solo che la fune in questione è il mio braccio!” Con grande fatica riuscii a portare Ele sopra la balaustra che fortunatamente non era gremita di gente. Ripresi fiato mentre lei continuava a dire “Lasciami, lasciami, devo andare dal mio padrone.” Esclamai “Accidenti, ma chi è il tuo padrone?” La guardai bene in faccia e osservai i suoi occhi. Erano gialli come la sabbia del deserto e velati, come se la mia amica non si trovasse in questo mondo ma in un altro. Immediatamente mi si accese una lampadina in testa: ma certo! Lei non era cosciente, era in una specie di trance, il suo cervello era bello addormentato! Esultai “Ti hanno ipnotizzata!” Una voce mi fece saltare per aria e quasi cadere dalla balaustra “Ottimo intuito.” Mi voltai piano temendo che si trattasse di una guardia federale. Quello che vidi era anche peggio: un uomo totalmente coperto da un mantello nero con cappuccio sedeva davanti ad un tavolo rotondo dalla tovaglia dorata. Mi chiesi come accidenti avessi fatto a non notarlo prima. Il tipo continuò “Alexis Johnson, mi chiedevo quando saresti venuta.” Risposi, rimanendo sulla difensiva “Lei conosce il mio nome, ma io non conosco il suo.” “La mia identità non è importante. Io possiedo qualcosa che a te serve.” “E di che si tratterebbe? A me servono molte cose.” Lui mise una mano in una tasca del caftano e ne estrasse un oggetto. Mi sporsi un po’ per vedere: era un pezzetto di carta che emanava una certa luce dorata e una potenza che mi fece immediatamente sentire meglio. Non c’erano dubbi, quella era la parte di mappa che stavo cercando. Dissi “La mappa, lei è il suo custode, proprio come Myriade.” “Esattamente.” Sospirai mentre la mia amica tentava di andare disperatamente dal suo padrone “E ovviamente per ottenerla dovrò fare qualcosa, vero?” “Sei una mezzosangue che impara in fretta, vedo.” “Già. Allora, qual è la missione suicida che devo compiere ‘sta volta?” L’uomo incappucciato fece qualcosa che somigliava ad una risata “Nessuna missione suicida questa volta, Alexis Johnson, solo una partita a carte.” Ci avrei scommesso le mutande che c’era sicuramente un trucco e che sarei finita per crepare ma non avevo altra scelta, avevo assolutamente bisogno di quella mappa! Ne valeva della vita dell’interno universo! In più non avevo nessuna voglia di tornare in mezzo al casinò ad essere calpestata da un sacco di milionari e inseguita da una guardia federale. Tirai Eleanor e mi sedetti proprio di fronte a lui “D’accordo, a che si gioca?” Il tizio mosse una mano e sulla tavola apparvero delle grosse monete circolari che a me sembravano fatte di oro puro. Le riconobbi immediatamente “Queste sono fish, giochiamo a Poker.” “Non a un semplice Poker, giochiamo al Poker delle Energie.” Un altro movimento della manina e apparve un mazzo di carte. Mi distribuì le mie, io diedi uno sguardo e quasi ci sputai sopra. Penserete che mi avesse dato delle carte schifose, ma la verità era ben peggiore: disegnati sopra c’erano dei simboli che non avevo mai visto prima d’ora! Il primo era una spada fatta completamente di fiamme (molto bella se dobbiamo essere sinceri), la seconda era una lancia nera, la terza un’ascia a doppio taglio e la quarta un pugnale. Sta di fatto che io sapessi giocare molto bene, ma non avessi idea di quale fosse il valore delle carte che avevo in mano quindi avrei matematicamente perso. Però non potevo mollare senza neppure averci provato! Il mio avversario mi domandò “Pronta?” “Assolutamente.” Credo fosse la bugia più spudorata che io avessi mai detto in tutta la mia intera vita! Così incominciammo a giocare. Fu la partita più estenuante della mia vita, giuro che i miei bluff ad un certo punto non stavano più in piedi! Quando ormai eravamo arrivati alla resa dei conti mi resi conto che nelle carte c’era una certa logica: gli unici oggetti che raffiguravano erano gli stessi che avevo sulle carte che venivano fuori a gruppi di tre, quattro, cinque, due, fino ad arrivare a nove. Il mio avversario scoprì le sue carte “Quattro Energie. Pensi di poter fare di meglio?” Ragionai un secondo: se quello stupido gioco funzionava come il Poker a cui ero abituata e le carte avevano valori simili, io avrei vinto alla grande. Tuttavia se avevo capito tutto al rovescio avrei perso miseramente e la mappa non sarebbe mai stata mia. Decisi che piuttosto che rinunciare a salvare il mondo avrei fatto la figura dell’incompetente e scoprii le mie carte dicendo “Ecco qua, quattro assi.” Dato che aveva il cappuccio in testa non potevo vedere se la sua faccia era divertita oppure delusa. Siccome non avevo tanta voglia di aspettare domandai “Allora, ho vinto oppure no?” “Dalle prove non si scappa, hai vinto eccome. Complimenti Alexis Johnson.” Saltai in piedi dandomi alla pazza gioia “Davvero? Ho vinto? Fantastico! Magnifico!” Lui spostò tutte le sue monete d’oro dalla mia parte “Queste sono tue.” In un primo momento pensai di prendermele tutte, ma poi scossi il capo “No, non saprei dove metterle e soprattutto che farci. Voglio solo il pezzetto della mappa, nient’altro.” Lui frugò nella tasca “Nella mia vita ho incontrato molti mezzosangue, ma non avrei mai affidato la mia mappa a nessuno di loro. Oggi invece la cedo a te e ai tuoi amici con totale fiducia, spero nella buona riuscita della vostra missione.” Allungò la mano che sul palmo aveva ciò che mi serviva. Stesi il mio braccio e lo afferrai. In quel momento il pezzettino emanò una forte luce dorata che ci avvolse tutti infondendomi la forza che mi aveva salvata in fondo al lago. Quando tornai a vedere di nuovo il tavolo e il tipo incappucciato erano scomparsi. Sospirai “Me lo aspettavo, in fondo in questo mondo sono tutti così misteriosi…” “Di chi stai parlando?” Mi voltai verso la mia amica. Ora Eleanor mi stava guardando con i suoi occhi verdi abbastanza smarrita “Ma che cosa ci faccio qui? E come mai sono legata a te?” La abbracciai “Oh Ele, sono così contenta che tu sia tornata in te!” “Non capisco di cosa stai parlando…” “Ricordi che quando siamo entrati al Pyramid tu hai seguito una signora che ti aveva offerto un vestito?” “Oh, si, quel meraviglioso abito rosa!” “Cos’è successo poi?” “Beh, l’ho seguita dentro la discoteca. Stavo per affiancarmi al tavolo di gioco e poi un secondo dopo mi sono ritrovata ammanettata qui!” “Beh, una volta che tu e i ragazzi siete spariti sono entrata qua dentro per cercarvi e quando ti ho trovata stavi camminando come uno zombie su e giù per la sala, dicendo che doveva andare dal tuo padrone. Dato che i tuoi occhi erano diventati gialli ho capito che qualcuno ti aveva ipnotizzata, così ti ho legata al mio braccio in modo che non scappassi.” “Hai fatto solo che bene!” Sollevai l’altra mano e le sventolai il mio trofeo in faccia “E guarda anche che ho trovato!” Lei esclamò “La mappa! Ma come hai fatto?” “L’ho vinta giocando al Poker delle Energie con il suo custode.” “C’è da fidarsi? Non è che ti ha dato un falso?” “Appena l’ho toccata si è illuminata d’oro, quindi qualcosa di speciale ce l’ha sicuramente.” Ele mi sorrise “Ottimo lavoro Alex! Non pensavo che saresti riuscita a fare tutto questo!” Ridacchiai “Io sono una persona piena di sorprese!” “Grazie di avermi salvata.” “Figurati, tu avresti fatto lo stesso per me.” “Prima no, ma adesso sicuramente si. Tutto per la mia migliore amica!” Spalancai gli occhi: mi aveva appena chiamata migliore amica? Mai nella mia vita avrei immaginato di essere la migliore amica di qualcuno soprattutto dopo essere stata umiliata dalle mie uniche amiche pochi giorni prima! Quella missione si stava rivelando decisamente interessante! Poi il sorriso scomparve dalla mia faccia “Ele, dobbiamo trovare immediatamente Juan e Al, se sono stati ipnotizzati come te sono in grave pericolo!” “Staranno sicuramente andando a cercare il padrone! Dove stavo andando prima che tu riuscissi a catturarmi?” Mi concentrai e le indicai il tappeto dorato “Stavi andando di là, oltre il bancone del barista.” “Forza, non perdiamo altro tempo!” Sistemai il pezzettino di mappa sotto l’elastico delle mutande, data l’assenza di tasche del mio vestito, e assieme alla mia amica mi fiondai giù per le scale. Cominciammo a scansare le persone in modo un po’ poco delicato “Juan? Alvaro?” Sussurrai io. Eleanor invece decise di non passare inosservata gridando a squarciagola “Juan! Alvaro! Ragazzi, dove siete?” La placcai mettendole una mano sulla bocca “Zitta! Parla piano!” Lei mugolò “Come mai?” Mi guardai attorno circospetta “Credo che una guardia federale ci stia cercando.” “Una guardia federale?” “Si, in fondo abbiamo rubato una nave.” “Le Energie sono le padrone dell’universo Alex, non utilizzano la polizia federale. Quando devono cercare qualcosa che è scomparso o utilizzano i mezzosangue oppure i loro soldati.” “Comunque sia, qualcuno ci sta cercando.” “Non essere così prevenuta, magari non vuole farci del male.” In quel momento tutta quella grossa matassa cominciò a srotolarsi “Io invece credo che quelli che ti hanno ipnotizzata centrino qualcosa con la guardia che ho incontrato.” Poi l’immagine della lente a contatto mi fece completare il puzzle “Loro conoscono i nostri nomi ma non le nostre facce, così attingono al database della federazione galattica per consultare le nostre tessere d’identità!” Elanor mi domandò “Ma come fanno a sapere che siamo qui? La nostra era una missione segreta.” Mi battei una mano sulla fronte “Quelli che ci cercano sono i datori di lavoro della sfinge. Lei era l’unica a sapere i nostri nomi e qual’era l’obiettivo della nostra missione!” La mia amica mi fissò con gli occhi sgranati e pieni di terrore “Questo vuol dire che….” “…siamo in grossi guai.” Completai io. Lei annuì e insieme ci rimettemmo a cercare i nostri amici, molto più insistentemente e velocemente di prima. Dopo un paio di minuti tirai un sospiro di sollievo: Alvaro e Juan stavano cozzando contro una porta chiusa, senza combinare niente. Risi “Eccoli qua, fermati da una porta!” Ele annuì “Speriamo che dopo tutte queste botte in testa siano diventati un po’ più intelligenti!” “Lo spero!” Afferrai Al per le spalle “Ehi ragazzo, basta.” Lui per tutta risposta disse “Devo andare dal mio padrone.” “Non credo proprio.” La mia amica mi domandò mentre teneva per il colletto della giacca l’altro gemello “Come facciamo a farli tornare in loro?” “Beh, tu sei tornata normale dopo l’esplosione di luce della mappa.” Misi una mano sul pezzetto d’oro, quasi mi aspettassi un’altra illuminazione. Appena le mie dita toccarono la sua sagoma qualcosa nella mia testa si aprì e un’idea geniale mi inondò la mente “Ma certo, luce!” La mia amica mi fissò negli occhi “Non credo di capire…”  “Tu ti sei svegliata dopo essere stata accecata, se l’ipnosi è la stessa la cura sarà uguale!” “E come facciamo ad accecarli allora?” Alzai le sopraciglia, afferrai il mio coltellino a serramanico che aveva sistemato nell’unica tasca del gilet, feci scattare la lama e la rivolsi verso il faretto che avevamo proprio sopra la nostra testa “Mai acceso un fuoco senza accendino?” Lei scosse il capo “Assolutamente no!” “Allora guarda e impara.” Rivolsi la mia piccola arma in modo che il riflesso della luce finisse negli occhi di Juan e poi di suo fratello. Immediatamente loro gemettero e si coprirono con un braccio “Ah, che luce!” Ele domandò preoccupata “Dici che ha funzionato?” Rimisi il coltello a posto “Non lo so…” In quello Al alzò la testa “Dove accidenti sono? Juan?” Anche l’altro alzò il capo e potei vedere i suoi occhi blu che si guardavano in giro confusi “Ma non eravamo nell’atrio un secondo fa?” La mia amica ed io saltellammo per la gioia “Si! Sono tornati normali!” “Grande idea Alex!” I due fratelli erano ancora più straniti “Ma di che state parlando?” Sorrisi “Non vi preoccupate, vi spiegheremo tutto dopo, ora dobbiamo andarcene via di qui.” “E la mappa?” Mi battei una mano sul fianco destro “Non dovete preoccuparvi, ho già sistemato la faccenda.” Al era molto ammirato “L’hai trovata tutta da sola?” Tagliai corto “Non ha importanza, dobbiamo uscire di qui, gli amici del ladro dello scettro ci stanno cercando!” “Proprio una ragazzina perspicace.” Mi si congelò il sangue che scorreva pseudo tranquillamente nelle mie vene: qualcuno con una mano enorme mi aveva appena toccato la spalla. Vidi il terrore nelle facce dei miei amici, così alzai lo sguardo: il tipo con la lente a contatto che avevo visto prima ora era esattamente dietro di me e aveva portato altri due uomini grossi come mastini che ci circondavano. Eleanor scattò immediatamente “Chi siete voi? Per chi lavorate?” “Niente domande. Seguiteci.” Juan mostrò i pugni ma le sue braccia magre non incutevano nessun tipo di paura in quei tipi mastodontici “Non verremo mai con voi. Lavorate per dei malvagi!” “Noi lavoriamo per chiunque ci paghi ragazzino, non ci interessa che sia buono oppure no.” Il terzo tipo domandò “Siamo sicuri che siano questi i ragazzi che dobbiamo catturare?” Quello che aveva la mano sulla mia spalla annuì “Qui abbiamo la figlioletta di Anubis e i gemelli di Sehkmet, quindi la restante deve essere per forza Alex Johnson.” Personalmente non mi interessava se quei tipi conoscevano i nostri nomi, l’unica cosa che volevo in quell’istante era scappare, non avrei mai accettato di seguire quei malvagi. Non so con quale coraggio in quell’istante pestai con entrambi i piedi quello della guardia che mi stava toccando. Lui si piegò in due e gridò una parolaccia che non voglio ripetere. Incitai i miei amici “Forza, scappiamo!” Loro non se lo fecero ripetere due volte e presero a correre tra le persone. Gli altri due gendarmi ci vennero dietro con un paio di secondi di ritardo, dato che non si sarebbero mai immaginati la nostra reazione. Cominciammo a sgomitare tra le persone tentando disperatamente di attivare ad una finestra o qualsiasi altra cosa che avremmo potuto usare per scappare, ma quel casinò era talmente pieno di gente che non vedevano a un palmo dal nostro naso! Juan andò a sbattere contro una vecchietta che lo scambiò per un borseggiatore e gli pestò un piede con un tacco a spillo. Lui ululò di dolore “Ah!” Alvaro lo prese per un braccio “Juan, alzati, dobbiamo scappare!” “Non ci riesco, quella là mi ha trapassato il piede con il tacco!” Abbassai lo sguardo e vidi che la cosa era abbastanza grave, dato che il tappeto dorato era sporco di sangue. Le due guardie ci stavano raggiungendo correndo, non avrebbero mai fatto caso al mio amico a terra e lo avrebbero spiaccicato! Eleanor ed Alvaro erano troppo occupati a tirare su Juan per accorgersene quindi toccava a me fare qualcosa. Dato che non mi venivano in mente idee intelligenti feci qualcosa di pazzo: con un salto afferrai la stecca da biliardo del tipo che stava accanto a me e mi parai davanti ai gendarmi. Loro si arrestarono a credo meno di un millimetro dai miei piedi. Tirai un sospiro di sollievo e puntai l’asta contro di loro “In guardia idioti!” Uno fece un affondo verso di noi ma io lo colpii con la mia arma improvvisata. Gridai alla mia amica “Eleanor, teletrasportaci!” “Devo toccarti per poterti portare con me!” “Non preoccuparti per me, porta Alvaro e Juan via di qua!” “Ma…” “Vai!” “Va bene!” In quello però la vidi rovesciare gli occhi all’indietro e stramazzare a terra. Alvaro gridò “Eleanor!” Domandai “Che è successo?” E poi lo vidi: la guardia che avevo atterrato poco prima le aveva appena sparato qualcosa di sedativo con la pistola che teneva in mano. Mi distrassi mezzo secondo a guardarlo ma fu abbastanza: quello che stavo insidiando con la stecca mi mollò un pugno sulla faccia tanto forte che me la rovesciò all’indietro. Mi prese a girare la testa e l’ultima cosa che vidi fu la faccia terrorizzata di Juan “Begli occhi.” Pensai e poi, credo, svenni.           CAPITOLO 5RISCHIO DI ESPLODEREDato che io non ero personalmente presente quando successero questi fatti, lascio momentaneamente la narrazione all’unica persona che ha accettato di farlo: il signor Anubis. Bene, salve a tutti, sono Anubis. Come potrete facilmente immaginare quando mia moglie tornò dalla visita a sua madre mi venne a svegliare dicendo che la mia adorata astronave era sparita nel nulla. Ovviamente alla notizia ebbi quasi un infarto e cominciai a cercarla per tutto il pianeta, mobilitando tutti i mezzosangue di Camp, ma niente, Ares sembrava essere svanito. Verso ora di pranzo Ariana venne a cercarmi e mi disse che anche nostra figlia, i due gemelli Riveira e Alex non si trovavano. Inizialmente non capii come mai me lo stesse dicendo, io stavo cercando la mia astronave mica quattro piccoli mezzosangue, ma poi lei mi disse che molto probabilmente era stata presa da loro. Una volta che mi fui ripreso dallo shock grazie ad una tazza di latte mi azzardai a fare la fatidica domanda “Ariana, perché i ragazzi hanno rubato la mia nave? Se avevano bisogno di qualcosa avrebbero potuto venire a parlare con me.” Lei era seduta nella poltrona davanti a me con un’aria grave “Forse avevano in testa qualcosa di grosso, a cui tu avresti sicuramente detto di no.” “Che vuoi dire con questo? Sai che non sono molto intelligente.” “Sono andata a vedere nel tuo cassetto super segreto: la mappa per trovare lo scettro è sparita.” Scattai in piedi “L’avrà rubata il ladro!” Mia moglie scosse il capo “No, era ancora lì quando abbiamo ricevuto la notizia dai saggi. Io credo che l’abbiano rubata Alex ed Eleanor.” “Credi che siano andati a cercare lo scettro?” “Temo di si.” “Ma dai Ariana, Eleanor sa benissimo che è una delle imprese più difficili che un mezzosangue possa intraprendere, nessuno c’è mai riuscito.” “Anubis, sono quattro ragazzini molto intelligenti e talentuosi, molto probabilmente hanno pensato di essere abbastanza capaci da affrontare l’impresa. Lo sai quanto siano orgogliosi Juan e nostra figlia.” “Si, ma so anche che non lo sono così tanto da tentare una missione suicida, se sono andati sono stati spinti da una motivazione molto più profonda. Chi ha deciso di affrontare il viaggio voleva davvero salvare l’universo.” Lei sospirò “Se la metti così penso proprio di sapere chi ha rubato la tua nave…” “…Alex Johnson.” Dicemmo in coro. Ariana si alzò in piedi e afferrò la sua borsetta, così le domandai “Non hai intenzione di fare quello che stai per fare, vero tesoro?” “No, credo proprio che lo farò.” “Traditrice!” “Oh, dai Anubis, dobbiamo andare ad avvisare Daisy, deve sapere che sua figlia è scomparsa.” “Ma come minimo ci ucciderà, lo sai che ha deciso di chiudere con il nostro mondo.” “Ci ha lasciato prendere Alex, però. L’ultima volta mi sembrava decisamente più accondiscendente, e poi è nostro dovere prenderci la responsabilità delle nostre azioni.” Sbuffai molto vistosamente “E va bene, andiamo! Però io porto la mia lancia tascabile!” E detto questo uscimmo di casa pronti per affrontare l’ira di Daisy Johnson che spesso era più terribile di quella di Ra in persona. Il nostro autista Van ci prestò gentilmente la sua astronave e prestissimo fummo in vista della Terra. Appena toccammo terra ammirai il paesaggio: Daisy era andata ad abitare in una catapecchia fatiscente, tutta completamente di legno, che però era costruita su una splendida scogliera a picco che dava sul mare azzurrissimo, in mezzo alle verdi praterie della Cornovaglia, suo paese natale. Sospirai “Però, niente male come posto!” Per chilometri potevo vedere solo erba, eriche violette, uccellini vari e leprotti “Forse un po’isolato, se devo essere sincero.” “Temo l’abbia fatto apposta tesoro.” Così ci inerpicammo lungo il vialetto fatto di pietre naturali. Appena fui abbastanza vicino riuscii a distinguere la figura che stava a braccia conserte davanti alla porta del locale con scritto “chiuso”: era Daisy, con i suoi capelli biondi ricci e quegli occhi azzurri come il ghiaccio come incutevano una paura assoluta. Quattordici anni che non la vedevo e non era cambiata neanche di una virgola. Ariana sorrise e mosse un braccio in segno di saluto “Ciao Daisy!” Lei fece un mezzo sorriso “Ciao Ariana. Cosa ti porta di nuovo qui?” Poi alzò un sopraciglio e mi squadrò da capo a piedi “Ma guarda un po’ chi si rivede, Anubis! Pensavo che le Energie non potessero invecchiare.” “Daisy, sempre gentile come al solito. Possiamo entrare? Qui c’è un venticello decisamente pungente.” “Non volevo avere più a che fare con il vostro mondo e ora mi ritrovo un’Energie direttamente a casa mia! Perché sei venuto Anubis?” Ariana si inserì “Daisy, perché non entriamo e ci sediamo un attimo?” Lei si piazzò davanti alla porta d’ingresso “Perché sei qui?” Abbassai il capo “Daisy…” Immediatamente la sua faccia imbronciata si trasformò in una maschera di puro orrore “Non si tratterà mica di mia figlia, vero?” “In realtà è proprio di lei che volevamo parlarti.” Mi afferrò per il colletto e sibilò “Cosa è successo?” Presi un bel respiro “Daisy, tua figlia è sparita.” Immediatamente la vedemmo impallidire e barcollare. Ariana la afferrò per le spalle prima che cadesse a terra “Vieni tesoro, sediamoci un momento.” Spingemmo la porta e sedemmo al primo tavolo che trovammo. Daisy si appoggiò con entrambe le mani sulla tavola, poi si voltò, afferrò una sedia e me la tirò addosso “Tu, tu brutto incosciente, idiota incapace!” “Daisy, datti una calmata.” Toccai la sedia volante che si dissolse in una piccola nuvola di fumo nero. Immediatamente lei me ne scagliò un’altra “Mi avevate detto che quel posto maledetto era sicuro! Mi avevate detto che nessuno le avrebbe fatto del male! Dovevo tenerla a casa con me! Quanto sono stata stupida!” Neutralizzai anche quel proiettile “Daisy, non è stata colpa nostra.” “No, hai ragione, la colpa è stata solo mia, solo mia.” Si accasciò su una sedia e cominciò a piangere. Mia moglie si sedette accanto a lei e le mise una mano su una spalla “Daisy, tesoro, la colpa non è tua, lascia che ti spieghiamo com’è andata veramente.” Dato che l’altra non disse e non tirò niente, iniziò a raccontarle “Alex si è trovata subito molto bene su Camp, però il clima non era dei più tranquilli: qualcuno, quasi certamente un mezzosangue, ha rubato lo scettro di Ra.” Lei sembrò reagire “Lo scettro è stato rubato?” “Precisamente. Tua figlia è una ragazzina molto buona, con una grande voglia di aiutare gli altri, e molto probabilmente ha pensato che recuperando lo scettro avrebbe salvato un sacco di vite, così assieme a mia figlia e a due gemelli figli di Sehkmet ha preso la nave di mio marito ed è andata a prendere il ladro.” Daisy si asciugò gli occhi “Si, è una cosa molto da lei. È stata una pessima idea farle parcheggiare le astronavi dei clienti. Ma chissà cosa le sarà successo, lei non ha mai pilotato nell’iperspazio e non sa difendersi.” Intervenni “Non è vero Daisy, Alex è una ragazzina incredibilmente intelligente, conosce un sacco di settori spaziali a memoria e si è rivelata una grandissima guerriera. Anche gli altri ragazzini sono molto dotati, sono sicuro che non le è successo proprio niente.” Lei scosse il capo “Non è vero, avrà sicuramente tutti i mostri di mezzo universo dietro!” Obiettai “E’ vero che è un po’ iellata, ma non esageriamo!” Daisy mi fissò negli occhi, facendomi tremare “Non sto parlando di sfortuna Anubis. Tu credi che io abbia lasciato il mio amatissimo lavoro da astrofisica per trasferirmi in un posto introvabile per niente? Se ho abbandonato il tuo mondo c’è un perché: dovevo proteggere mia figlia.”  Esclamai “Oh Daisy, tu sei veramente troppo protettiva con Alex! Non vuoi capire che è un portento?!” “Pensi che non sappia che è eccezionale? So benissimo che su Camp è perfettamente nel suo mondo! Lei adora la scherma, salvare le vite degli altri, le astronavi e tutte le cose che c’entrano con lo spazio! Ha studiato in lungo e in largo tutte le mie mappe stellari da quando aveva solo tre anni!” “Ma allora di che ti preoccupi? Daisy, non hai capito che abbiamo tra le mani un futuro Achille o un Neil Armstrong? Assieme a mia figlia e agli altri due ragazzi potrebbero formare una squadra invincibile!” Lei però non sembrava affatto contenta “La mia Alex non è come loro, lei è speciale.” “Si, forse è più intelligente degli altri, ma questa è una cosa positiva…” Mi interruppe “No, non è speciale in quel modo.” Ariana domandò “E allora in quale?” “Non posso dirvelo.” “Ma perché no? Daisy, ti sei allontanata da tutto e da tutti per quattordici anni e so che questo è accaduto solo per via di un segreto che sai solo tu ed è talmente pesante che rischia di schiacciarti ogni minuto. Noi siamo qui per aiutarti, non certo per giudicarti. Dicci che cos’è che ti turba, cos’ha di così speciale quella povera ragazzina?” Daisy si morse un labbro “Io…” “Se ce lo dirai, avremo più speranze di trovarla.” “E va bene. Adesso preparo qualcosa da bere a me e a voi e poi vi racconterò tutto quanto. Promesso.”Sentivo un brusio diffuso come se un milione per persone stessero parlando confusamente una sopra l’altra. Ad un certo punto una voce si fece più forte delle altre “Ma è viva?” “Direi di si, almeno, a me non sembra morta…” “Forse il tipo le ha spaccato il naso.” “Nah, ho visto un sacco di nasi rotti ed erano messi molto peggio del suo.” Spalancai gli occhi: Alvaro e Juan erano in piedi e mi stavano fissando molto attentamente. Dato che mi sembrava di essere andata a sbattere contro un muro domandai “Che diavolo è successo?” Mentre muovevo la bocca sentivo un grande dolore al naso e ad uno zigomo. Al alzò le sopraciglia “Beh, una delle guardie ti ha dato un bel cazzotto in faccia…” “Come sono messa?” Juan mi porse un pezzetto di vetro che aveva trovato nel pavimento “Guarda tu stessa.” Presi in mano il vetrino e mi specchiai: avevo una bella striscia di sangue che iniziava dalle mie narici e finiva in bocca e il mio zigomo destro era completamente nero. Sospirai “Ho preso una bella botta.” I due gemelli annuirono “Eh già!” Mi porsero una mano ciascuno e mi tirarono su in piedi. Mi guardai attorno: eravamo finiti in una stanzetta molto piccola, tutta completamente grigia, con solo una lampadina che scendeva dal soffitto attraversato da una pesante crepa e un lettino d’acciaio. Domandai “Ma dove accidenti siamo?” Juan mi spiegò “Dopo che la guardia ha atterrato te ed Eleanor ha incappucciato me e mio fratello e ci ha fatto camminare per un bel po’, fino a quando non ci hanno gettato qua dentro.” Al mi indicò “Quelli sono i nostri cappucci. Sono decisamente scomodi.” Mi misi una mano tra i capelli “Accidenti, questa proprio non ci voleva.” Poi mi venne un’idea “Dov’è Eleanor? Può teletrasportarci fuori di qui.” Juan mi indicò qualcosa a  terra “Sarebbe interessante se Eleanor non fosse stata neutralizzata.” Mi avvicinai alla mia amica che stava dormendo sodo “Avete provato a svegliarla?” “Assolutamente si, niente da fare però.” Mi abbassai e strappai il piccolo proiettile dal petto della mia amica “Da quando tempo siamo rinchiusi qua dentro?” “Saranno più o meno dieci minuti.” Indicai la minuscola fialetta sistemata dentro la freccetta “Il sonnifero ha avuto tutto il tempo di penetrare nel suo corpo, dormirà almeno per un’oretta buona.”  Alvaro sbuffò “E allora come facciamo ad uscire?!” Juan si gettò sul lettino “Quello che ci ha catturati doveva conoscerci decisamente bene.” “Già. Sapeva che Eleanor poteva portarci fuori di qui e quindi l’ha messa fuori gioco.” “E sapeva anche quel’era il superpotere mio e di Alvaro, le pareti e la porta sono rinforzate, non riusciamo a smuoverle neppure di un centimetro!” Poi saltò giù facendo tremare tutta la stanza “Quando darei per sapere chi è quel brutto traditore!” Annuii e il mio cervello andò immediatamente a cercare l’immagine che avevano disegnato le guardie sulla giacca: inizialmente mi era sembrato un bastone con disegnati dei serpenti, poi però l’avevo visto più da vicino e avevo capito di essermi sbagliata: era una spada dalla lama molto grossa che aveva l’elsa formata da un serpente arrotolato su sé stesso. Mi sembrava un’arma familiare, ma non riuscivo a ricordarmi dove l’avevo vista. Poi la parola serpente mi fece venire in mente lo scettro di Ra finto che qualcuno aveva gentilmente messo nel mio zaino difettoso, facendomi quasi venire un infarto. Chi mi aveva giocato quel bello scherzetto doveva essere molto intelligente, dato che era riuscito ad aprire la mia borsa difettosa… a meno che non avesse saputo come farlo prima, magari perché glielo avevo detto io stessa! E io l’ avevo detto solo a due persone e una era accanto a me priva di sensi. Esclamai “Credo di aver appena avuto una rivelazione.” Juan rispose gettandosi nuovamente sul letto “Dicci pure, tanto siamo bloccati qui.” “Ricordate lo scettro finto che Anubis e gli altri avevano trovato nel mio zaino?” “Si…” “Beh, il mio zaino è difettoso, nessuno riesce ad aprirlo a meno che io non gli dica come farlo.” “Ok…” “E da quando sono arrivata su Camp l’ho detto solamente a due persone: Eleanor e…Tom.” Il mio amico cadde dal lettino “Tom?! Non è possibile!” “Però era l’unico a sapere come aprire il mio zaino!” “Oh, ma dai Alex, stiamo parlando dello stesso Tom?” “Lui è una persona buonissima e questo lo rende ancora più sospetto! Guarda.” Mi avvicinai al mio zaino che fortunatamente le guardie non si erano portate via, lo aprii e tirai fuori una felpa blu “Questa è la felpa che Tom mi ha messo nello zaino quel mattino su Camp ma non è la mia.” “E chi te lo dice che non è tua?” Me la misi addosso: era decisamente troppo larga per me, almeno tre o quatto taglie più grande, e a livello delle tasche era completamente ricoperta di brillantini dorati, proprio come quelli che c’erano sul manico del finto scettro “Che te ne pare?” Juan storse il naso “Si, in effetti è un po’ troppo grande per te.” Indicai la macchia “E questo ci lascia intuire che lo scettro è stato avvolto qua dentro.” Alvaro annuì “Non fa una piega.” Juan però non voleva lasciarsi convincere “Si, ma potrebbe trattarsi si una coincidenza.” Alzai un sopraciglio “Coincidenze? Quando scompare qualcosa di veramente grosso non esistono coincidenze. Hai guardato il distintivo che portavano le guardie?” “Intendi il logo a forma di bastone stampato sulle magliette?” “Si, solo che non è un bastone: se guardi bene da vicino puoi notare che si tratta di una spada con l’elsa a forma di serpente. Chi in tutto l’universo ha un’arma fatta così?” Il mio amico biascicò “Solo Tom Zoffi.” “Esatto.” Al capitolò “Quindi tutto quanto ci fa pensare che il ladro dello scettro di Ra sia proprio Tom.” Juan cominciò a camminare su e giù per la stanza nervosamente “Si, ok, ma perché dovrebbe averlo fatto? Insomma, su Camp era il migliore, Anubis si fidava ciecamente di lui, aveva una casa ed era felice!” La mia mente venne attraversata immediatamente dalle parole che mi aveva detto quando avevo appena messo piede sul nuovo pianeta. Allora non le avevo comprese fino in fondo, ora invece capivo che quelle erano la chiave di tutto. Risposi “Lui l’ha fatto perché odia le Energie. Il suo genitore immortale non lo ha mai riconosciuto o lo ha fatto molto tardi, infatti quando sono arrivata su Camp mi ha detto che per scoprire chi fosse il mio avrei dovuto aspettare a lungo. Tutta questa attesa gli ha fatto sviluppare un odio profondo anche per tutte le altre Energie, persino per quello svampito del signor Anubis.” Juan sospirò “Odio ammetterlo, ma credo che tu abbia proprio ragione Alex.” Continuai “E adesso è deciso a fermare chiunque voglia ostacolarlo nel suo piano, compresi noi.” Il nostro amico scosse la testa “E pensare che io mi sono fidato di lui…” “Non ti devi sentire in colpa, tutti quanti credevano che lui fosse buono, compresa io.” “Se ce ne fossimo accorti prima si sarebbe potuto evitare tutto questo…” Gli misi una mano su una spalla “Non possiamo modificare il passato, ma possiamo risolvere questa situazione andando avanti. Il futuro dell’universo ora è nelle nostre mani, non possiamo mollare proprio adesso che siamo vicinissimi alla meta.” Al rincarò “Alex ha ragione, fratellino.” Lui annuì “Si, avete ragione.” Poi “Dobbiamo uscire di qui!” Il suo gemello ribattè “Si, ma come facciamo? La porta è chiusa a chiave!” Pensando ad un modo per tirarci fuori di lì calpestai il pezzetto di vetro dove mi ero specchiata e mi venne un’altra illuminazione. Lo presi in mano “Juan, com’è fatta la serratura?” Lui indicò una cosa sulla parete che a me sembrava tanto un termostato “Non so cosa intendi per serratura, ma in questo piccolo computer si infila la tessera per aprire la porta.” Fu come se qualcuno mi avesse tolto una pietra dallo stomaco “Ma cosa aspettavate a dirmelo?!” “Non so…” “Non serve una chiave per aprire questa porta!” Al si grattò “Credo di non capire…” Il fratello rispose “Neanche io.” Sbuffai e spiegai “Mi basterà entrare nel sistema e dare il comando di apertura.” “E come farai? Non abbiamo un computer e se anche ce lo avessimo non sarebbe abbastanza potente da violare il sistema!” Cercai qualcosa nello zainetto “Forse un computer normale no, ma un X-10 si!” Estrassi il piccolo trasmettitore che avevo preso sull’astronave. Alvaro gioì mentre Juan borbottò “Certo che tu ne pensi sempre una più del diavolo.” Sorrisi mentre settavo la radiolina sulla frequenza giusta “Tom ha sbagliato a mettersi contro di noi.” Schiacciai il pulsante per parlare “Ares, mi ricevi?” Ci fu un terribile secondo di silenzio in cui temetti che la trasmittente non funzionasse, poi la voce dell’astronave si fece sentire “Alex, finalmente! Cominciavo a preoccuparmi.” “Perdonaci Ares, ma abbiamo avuto qualche piccolo imprevisto. Devo chiederti un favore.” “Dimmi tutto Alex.” “Il tuo sistema può rilevare e agganciare apparecchiature elettroniche fino a 100 chilometri, vero?” “Assolutamente si.” “Se ti dessi il numero di matricola, tu riusciresti a dare il comando di apertura ad una porta?” “Teoricamente si, ma in pratica non ci ho mai provato.” “Beh, questa sarà la tua prima volta allora. Il numero è questo: S4KJ887.” “Ok, ora entro nel suo sistema.” Dissi ai miei amici “Mettiamoci qui, ai lati della porta, così quando si aprirà e quelli che stanno facendo la guardia qui fuori verranno a vedere perché si è aperta noi sgattaioleremo via e li chiuderemo dentro.” Juan annuì “Va bene, ci sto. Al, tu prendi Eleanor che sta ancora dormendo.” Lui eseguì e afferrò come un sacco di patate la nostra amica che continuava a dormire placidamente. Siccome avevo così tanta adrenalina in corpo che me la stavo facendo nei pantaloni sibilai “Ares, hai fatto?” “Sistema violato con successo, apertura porta.” Questa si spalancò di colpo. I tre gendarmi a parer mio mentecatti, si riscossero ed entrarono nella cella immediatamente “Perché la porta si è aperta?” “Che è successo?” “Dove sono i mocciosi?” Gridai “Via!” Ci fiondammo all’esterno come dei razzi, senza neppure guardare dove andavamo. I tre si voltarono verso di noi “Stanno scappando!” Al gemette “Oh, mamma mia, stanno arrivando!” Juan si avvicinò con un balzo alla porta e tentò in tutti i modi di spingerla “Non riesco a chiuderla, è schermata contro la potenza!” Suo fratello ululò facendo quasi cadere la mia migliore amica “Siamo spacciaaaati!” Allora feci la cosa più assurda che potesse venirmi in mente: sollevai la gonna, estrassi la mappa dall’elastico della mutande e la puntai contro di loro. Immediatamente partì un fascio di luce potente più o meno quanto quello di un riflettore. Le tre guardie rimasero accecate e gridando cose tipo “La mia retina va a fuoco!” caddero per terra. Juan stritolò la mia mano che teneva la trasmittente, per parlare con Ares “Ares, chiudi la porta!”  “Chiusura ora, allontanarsi prego.” Il portone si chiuse di scatto intrappolando le guardie dentro la cella e lasciandoci riprendere fiato. Ansimai “Ve lo avevo detto che avrebbe funzionato.” Juan si portò una mano al cuore “Si, ma credo di essere prossimo ad un infarto!” “Ok, vediamo di tornare alla nave.” Mi guardai in giro: eravamo finti in un vicolo come quello dove avevamo trovato i vestiti che però non avevo la minima idea di dove si trovasse rispetto allo spazioporto. Al domandò “Dove siamo?” Scossi la testa “Non ne ho la minima idea.” Juan gemette “E come facciamo a tornare alla nave allora?” Sospirai “Torniamo nella via principale, almeno se qualcuno tenterà di catturarci avrà la vita meno facile.” “Assolutamente d’accordo.” “Ma che facciamo con Eleanor?” “Ah, le persone sono troppo prese da loro stesse per prestare attenzione a quello che le circonda, non succederà niente.” I miei amici annuirono e allora ci gettammo nella fiumana di gente che passava da un casinò all’altro senza fare caso a noi. Juan borbottò mentre tentava di non farsi schiacciare “Non vedo l’ora di andarmene da questo pianeta.” Annuii “Sono d’accordo con te, credo che non ci tornerò mai più.” Al sospirò filosoficamente “Albanem, tanto bello quanto letale.” “Proprio come Eleanor.” “No, lei è più bella che letale.” “No, è più letale!” “No, è più bella!” “Letale!” “Bella!” “Letale!” Li interruppi “Ragazzi, basta litigare!” Al sorrise “Oh Alex, questo non è litigare…” L’altro annuì “… questo è discutere…” “Noi lo facciamo tutti i giorni…” “…perchè’ uno scambio d’opinioni.” Risi “E’ bello come terminate le frasi l’uno dell’altro!” “Già, questo è il bello di essere gemelli!” Domandai “Voi due siete identici tranne per i capelli. Siete gemelli omozigoti oppure no?” Juan annuì “Assolutamente si. Io sono uno dei pochi mezzosangue che possiedono due superpoteri: il mio primo è la potenza, il secondo sono i capelli biondi.” Sbuffai “E poi ci sono io che non ne ho nessuno!” “Non ti preoccupare troppo, magari arriveranno in seguito.” Scossi la testa “No, non ho voglia che arrivino. Io avrò sicuramente qualche superpotere strano tipo ruttare fiamme o altre cose così.” I due gemelli scoppiarono a ridere “Sarebbe veramente divertente!” Ribattei “No, affatto! Sarebbe umiliante!” Juan sorrise “Non ti preoccupare, per avere a che fare con il fuoco e le fiamme dovresti essere una figlia di Ra, ma lui non da alla luce un figlio da qualcosa come tremila anni.” “Almeno questo!” Guardai oltre le teste della gente ed intravidi una struttura familiare “Ehi ragazzi, guardate! Quello è laggiù è il Pyramid, siamo quasi arrivati!” Alvaro rabbrividì “Odio quel posto, non ci tornerei neppure se mi pagassero oro!” “Anche noi!” Sorrisi, in quel momento eravamo tre amici che camminavano fianco a fianco e si divertivano in una normale serata. Come tutte le cose belle durò troppo poco; infatti un tipo nella folla, vestito come le guardie che avevamo intrappolato gridò “Ehi, ehi! Fermate quei ragazzini, sono dei ladri! La folla si aprì praticamente in due, lasciando solo i me e i miei amici in mezzo alla strada, fermi immobili come delle statue con delle facce sconvolte. Juan sussurrò mentre tutti quanti ci puntavano gli occhi addosso “Che facciamo adesso?” Sibilai “E serve chiederlo? Corriamo!” Ci lanciammo nella via principale come dei razzi. Alvaro gridò mentre la testa inerte di Eleanor pendeva oltre la sua spalla “Dove andiamo?” Ragionai un attimo “Andiamo verso lo spazioporto, poi ci fiondiamo su Ares e partiamo!” Juan annuì “Sono assolutamente d’accordo!” La gente si spostava al nostro passaggio neanche avessimo avuto la lebbra, ma fortunatamente non davano neppure aiuto alle guardie e questo era un bene per noi. La quarta guardia stava acquistando un certo vantaggio sul povero Alvaro che con Eleanor sulla schiena stava boccheggiando, così presi la trasmittente e gridai “Ares!” “Si Alex?” “Accendi i motori!” “Siete arrivati allo spazioporto?” “No, non ancora, ma ci stanno correndo dietro, devi decollare adesso!” “Va bene Alex. Verrò a prendervi, quindi schiaccia il piccolo bottone rosso della radio, così potrò individuare la vostra posizione.” Eseguii “Fai in fretta, ci stanno raggiungendo!” In quello Juan indicò qualcosa “Ragazzi, lo spazioporto! Entriamo!” Risposi “Si, assolutamente!” Quando eravamo ad un passo dalla scala i due poliziotti che avevamo incontrato prima di sbarrarono la strada “Fermi, ladruncoli!” Al gridò “Qui si mette male!” Presi a correre dall’altra parte “Forza, dall’altra parte!” Ma non andammo molto lontano dato che la guardia di Tom ci stava puntando con in mano quella che mi sembrava tanto una pistola. Juan si arrestò “Siamo in trappola!” I due ufficiali stavano avanzando verso di noi “Vi abbiamo in pugno ragazzini!” Mormorai un’imprecazione e sibilai alla radio “Ares, dove sei?” “Sono qui Alex, pronto a caricarvi.” Giuro che scrutai ogni centimetro di cielo e non vidi nulla che potesse assomigliare ad un’astronave. Dove accidenti si era cacciato Ares? Possibile che avesse interpretato male le coordinate? Guardai il muretto che impediva alle persone di cadere dalla scogliera e in quel momento capii “Ragazzi, seguitemi!” Mi avvicinai velocemente alla balaustra ma Juan mi prese per un braccio “Ma sei pazza? Che vuoi fare?” “Voglio saltare giù.” “Ma ci uccideremo in questo modo! Sarà un salto di almeno trenta metri!” Lo guardai negli occhi “Vuoi finire in cella di nuovo oppure essere picchiato dalle guardie di Tom?” “No.” “Bene, allora devi fidarti di me. So che è chiedere tanto, ma è l’unico modo per salvarci!” Lui tentennò un po’ “Non lo so…tu sei decisamente fuori di testa…” Ribattei “Ma fino ad adesso ho sempre riportato le nostre chiappe al sicuro!” Le guardie erano sempre più vicine. Lui rispose “E va bene, saltiamo!” Agguantammo Alvaro e ci gettammo nel vuoto. La mano di un poliziotto sfiorò la mia caviglia destra e per un attimo temetti che mi avrebbe presa, poi però mi sentii cadere nel vuoto per la seconda volta in poche ore. Il volo però durò poco perché ci schiantammo su qualcosa di terribilmente duro. Quando mi resi conto che le mie costole erano ancora tutte pressoché integre guardai: eravamo atterrati sopra Ares, che volava a mezz’aria senza fare il minimo rumore. Dissi a Juan “Vedi? Avevo ragione.” “Me lo ricorderò per la prossima volta.” Sorrisi, più o meno, e dissi nella trasmittente “Ares, apri il portellone.” L’astronave eseguì e noi entrammo. Sedetti nel sedile del pilota mentre Al sistemava Eleanor in quello accanto a me “Ares, dammi i comandi manuali, per favore.” “E’ successo qualcosa di grave su Albanem, Alex?” Diedi potenza al motore e la navicella si fiondò molto velocemente fuori dall’atmosfera “Non molto, siamo solo stati inseguiti da troppe guardie.” “Va bene.” “Non è che avresti un antagonista o qualcosa del genere? Eleanor è stata colpita con una freccetta sedativa.” Dal pannello di controllo uscì un braccio meccanico con una siringa “Ecco qua, le dosi sono già giuste, basta infilare l’ago nel braccio.” “Grazie Ares.” Eseguii e tirai un sospiro di sollievo “Ok,  ne siamo usciti sani e salvi anche questa volta.” Alvaro annuì “Già, questa missione sta diventando sempre più difficile e pericolosa.” “Ma non possiamo arrenderci adesso che sappiamo chi è stato a rubare lo scettro e che abbiamo il penultimo pezzo della mappa!” Lo estrassi da sotto la gonna e lo aggiunsi alla mappa già esistente, che Juan aveva prontamente tirato fuori dal mio zaino. Immediatamente ci fu la solita esplosione di luce dorata e apparve un pianeta con una scritta vicino in polvere di stelle. Dato che ormai ero diventata brava lessi “Iceberg, dipartimento di polizia planetaria, stanza D, piano 18.” I gemelli gemettero “Oh, ne abbiamo abbastanza della polizia!” “Dai ragazzi, è l’ultimo tassello che mi manca per completare il puzzle!” “Si, ma questa volta si tratta di entrare in una centrale di polizia, un grosso stabile che pullula di poliziotti pronti ad arrestare quattro ragazzini! In più, dopo quello che è successo su Albanem, saremo anche ricercati!” Mi tornai a voltare verso il pannello di controllo e dissi “Quando saremo là ci faremo venire in mente un modo per entrare e non venire arrestati.” Poi “Ares, ci puoi portare fino ad Iceberg?” “Sono molto spiacente Alex, ma quel pianeta si trova a parecchi anni-luce da qui, con l’iperguida compromessa tutti voi sarete morti stecchiti quando arriveremo.” Sbuffai: tra le guardie di Tom e la sfortuna in generale recuperare lo scettro si stava trasformando in una missione impossibile “Ci deve pur essere un altro modo per arrivarci.” Juan si illuminò “C’è infatti!” Mi voltai verso di lui e gli ordinai “Parla!” “Iceberg è un pianeta totalmente ghiacciato e disabitato, quindi ancora pieno di batteri, animali e robe simili da scoprire, così gli studiosi di tutti i pianeti decisero di costruire una base provvista di un laboratorio per poterli analizzare e studiare in santa pace. Oggi gli specialisti utilizzano solamente il laboratorio per le analisi e dormono nelle tende, la struttura principale è usata dalla polizia come archivio: dicono che i file si conservano meglio al freddo. Nostro padre è un biologo specializzato in organismi pionieri e per andare là utilizzava uno stella-bus che prendeva su un pianeta chiamato Novenac.” Realizzai che da quando eravamo partiti quella era l’unica vera buona notizia che avessimo mai ricevuto. Ares intervenne “Novenac appartiene allo stesso sistema di Albanem, ci metteremo poche ore ad arrivare.” Dopo la seconda buona notizia nel giro di pochi secondi domandai al mio amico “E sai in che città del pianeta lo prendeva?” “Nella capitale, dal molo 20.” Al battè una mano sulla spalla del fratello “Ma come fai a ricordartelo? Hai una memoria di ferro!” “No, lo ricordo solo perché il venti è in giorno del nostro compleanno.” “Davvero?” Juan mi mise le mani nei capelli, ma poi sbuffò sorridendo in modo tirato “Si Al, davvero.” Prima che Alvaro potesse fare altre domande imbarazzanti mi rivolsi al computer “Ares, ci puoi portare là?” “Assolutamente si Alex.” “Perfetto. Una volta che ci avrai depositati cerca un’officina per riparare la tua iperguida, ce ne sarà una in tutto il pianeta, no? Una volta che avremo preso la mappa ti contatteremo e tu tornerai a prenderci.” “D’accordo.” Annuii “Perfetto. Allora si parte per Novenac.” Mi sistemai sul sedile del pilota, afferrai i comandi che apparvero sotto le mie dita e spinsi avanti la leva del motore, lasciandomi velocemente alle spalle il bellissimo ma letale Albanem.Il viaggio continuò senza intoppi, Eleanor si svegliò e ci ordinò di raccontarle tutto quello che era successo mentre lei stava dormendo così Alvaro le fece un dettagliatissimo resoconto. Alla fine lei gli fece un sorriso e lui ricadde sul suo sedile con una faccia da pesce lesso che si guadagnò un “Che bella faccia da scemo che hai!”  da parte di Juan. Per me il tragitto non fu molto confortevole per me siccome Ares cominciava ad essere a corto di carburante e non poteva attivare il pilotaggio automatico, così dovetti stare sveglia tutto il tempo. Quando ormai la testa stava per cadermi sul petto mi accorsi di una vampata di fuoco fuori dal finestrino. Mi riscossi dal torpore: stavamo entrando nell’atmosfera a velocità di marcia! Tirai indietro la leva del motore fino a quando l’indicatore dei chilometri luce non passò ai chilometri terrestri. Devo ammettere che la frenata fu un po’ brusca, infatti i miei amici che si erano appisolati vennero svegliati. Eleanor si mise una mano sul petto “Accidenti, l’imbragatura mi ha distrutto le costole!” “Scusate ragazzi, è colpa mia.” Ares si inserì nella conversazione “In fondo non è proprio colpa tua, diciamo che lo è al venti per cento. Hai una buona resistenza alla stanchezza Alex, per non essere una macchina ovviamente.” Commentai mentre facevo scendere la mia nave sopra un grande ammasso di grattacieli “Fin che sarò illuminata dalla luce di una stella avrò forza…” La mia amica rise “Ehi, bella frase! Potrebbe diventare una citazione!” “Si, anche se nessuno avrà mai tanta voglia di citare proprio me.” “Perché no?” “Beh, la mia vita sembra una barzelletta!” Lei scoppiò in una risata fragorosa “Ah, si, in effetti è proprio vero!” “Non c’è nulla da ridere.” “Ma come no Alex? Tu riesci a trasformare anche le cose più tragiche in eventi divertenti!” Sospirai “Anni di allenamento…” Ele non colse l’amarezza nella mia frase. Guardando fuori dal finestrino si poteva scorgere solo una gran moltitudine di palazzi, palazzi e palazzi. C’erano grattacieli di ogni forma e dimensione e nei pochi spazi liberi c’era una quantità di gente spaventosa, tanta da non riuscire neppure a vedere il pavimento. Solo qualche alberello solitario spuntava da quello che a me sembrava un grosso formicaio. Quel Novenac dava un senso di soffocamento allucinante, non avrei mai potuto vivere lì. Sorpassata una navicella pilotata da un signore che poteva avere si e no duemila anni scorgemmo lo spazioporto. Al contrario di quello di Albanem non era coperto, ma si trattava di una striscia di cemento stretta e lunga almeno cinque chilometri che ospitava tante astronavi da non poterle contare. Ares disse “Lo stella-bus parte da là, quello è il molo venti. Fate in modo di sembrare il più vecchi possibile, io vi metterò giù e poi ripartirò.” Risposi “Ok. Ragazzi, i vestiti sono qua dentro.” Lanciai il mio zaino nei sedili dietro. In men che non si dica ci eravamo tolti i vistosi abiti da vesta di Albanem ed eravamo tornati noi stessi, in più Eleanor ci aveva prestato alcuni dei vestiti d’emergenza che aveva sistemato in uno dei tanti sportelli della nave di suo padre. Appena fummo pronti decretai “Ottimo, ci siamo. Ares, apri il portellone.” “Immediatamente Alex.” Così i miei amici ed io saltammo giù toccando il cemento freddo con i nostri piedi senza che nessuna delle impegnatissime persone che camminavano su e giù ci prestasse attenzione. Una volta che fummo giù Ares ripartì e io lo seguii con lo sguardo oltre i grattacieli fino a quando non fu solo un puntolino nero davanti al sole di Novenac. Juan mi fissò stranito “Ma non ti sei carbonizzata la retina?” “Eh?” “Il sole non ti ha bruciato gli occhi? L’hai guardato per una trentina di secondi senza mai sbattere le palpebre!” “Davvero? Non me ne sono accorta.” Lui alzò le spalle “Tu sei strana…” Eleanor ci interruppe “Ehi ragazzi, basta parlare, andiamo!” “Hai ragione!” E dicendo questo ci incamminammo fino al molo dodici. Devo ammettere che facevamo abbastanza ridere conciati in quel modo: Eleanor aveva indossato una giacca nera nel tentativo di mascherare la sua maglietta fucsia acceso, un basco rosso e un paio di occhiali da sole con la montatura dorata, Alvaro aveva in testa un cappellino da baseball del signor Anubis che apparteneva ad una squadra che aveva giocato più o meno nel millenovecento, Juan che aveva tutta la maglietta tagliata per colpa dei rami nella fuga dalla sfinge, aveva indossato una felpa sempre del padre di Eleanor dove la sua testa stava nel cappuccio tre o quattro volte e io avevo una specie di giacca antipioggia verde militare che mi arrivava alle ginocchia e un cappello blu che con l’ombra mi copriva il mio zigomo nero. Comunque fosse nessuno si fece domande e arrivammo tranquillamente davanti al molo dodici. Lì trovammo davanti a noi quello che i miei amici avevano chiamato stella-bus: era una grande astronave grigia che poteva portare almeno cento persone. Mentre lo stavo ammirando con la bocca aperta un tipo piuttosto grosso mi si parò davanti con un tablet in mano “Nome prego.” Risposi “Eh?” Lui sbuffò “Non siete qui per salire sulla nave?” “Oh, si.” “Bene. Io ho qui le prenotazioni di tutti, potreste dirmi i vostri nomi così vedo se avete pagato?” Mi voltai verso i miei amici con dipinta un’espressione di panico “Ehm…i nostri nomi…” Lui sbuffò “Avanti, non ho tutto il giorno! Siete le ultime quattro persone, poi posso partire.” Appena lo disse tutti noi ci sporgemmo a guardare nel tablet che teneva penzolante su un fianco i nomi che non erano contrassegnati in verde. Eleanor afferrò la mano di Alvaro “Noi due siamo i signori Willow.” Il tizio li guardò storto come per tentare di capire quanti anni potessero avere, ma poi non disse niente. Juan gli sorrise amichevolmente “Io invece sono Lori Delaware.” Mi venne da ridere pensando che il mio amico si era appena dichiarato una donna. L’autista credette che Lori fosse un nome da uomo e annuì “E tu?” Domandò a me. Risposi “Io sono Caterina Rinaldi.” “Perfetto, salite a bordo.” Ringraziammo e facemmo per entrare nello stella-bus. Quando stavo per salire l’ultimo gradino vidi un uomo che ci stava guardando. Aveva addosso una felpa nera con il cappuccio tirato su, quindi non vidi bene la sua faccia, ma mi sembrò molto anzi troppo simile a quella che era apparsa nel lavandino di Eleanor quella sera. Gli occhi erano gli stessi, grandi e con un’espressione cattiva dal colore marrone, ma non un marrone normale, sembrava a tratti quasi oro, proprio come le iridi dei miei amici quando erano sotto ipnosi. Ele mi incitò “Alex, andiamo a sederci.” “Si, arrivo.” Tornai a voltarmi da quella parte ma il tipo era sparito. Scossi la testa sperando di essermelo immaginata o di aver preso qualcuno di totalmente innocente per quello che non era e varcai la soglia dell’astronave. Era simile ad un siluro con le pareti grigie e un orrendo pavimento rosso come le tendine che coprivano leggermente i finestrini. I sedili avevano uno schienale talmente basso che anche un bambino di tre anni sarebbe stato scomodo e le cinture di sicurezza ti facevano sembrare una mummia, in più lo spazio per le gambe era praticamente inesistente. Una scritta olografica alleggiava sopra il pannello di controllo e diceva “Corriere espresso per Iceberg, dipartimento scientifico 45 della federazione galattica, passeggeri 76.” Ele sbuffò “Uffa, non ci sono quattro posti vicini.” Alzai le spalle “Non importa, basta solo che tutti noi sappiamo dove sono seduti gli altri.” Juan indicò un sedile vuoto verso la fine del bus accanto ad uno studioso che poteva avere si e no duecento anni “Io sarò là.” La mia amica agguantò Alvaro che si stava distraendo con un piccolo moscerino che gli stava gironzolano attorno “Io siederò laggiù, accanto allo scienziato con la giacca verde e terrò d’occhio Al che invece sarà davanti a me.” Annuii “D’accordo ragazzi, io invece starò qui.” Ci demmo un’ultima occhiata che diceva “Occhi aperti e al primo segnale di pericolo scattate” e ci dirigemmo ai nostri posti. Io scavalcai un tipo che era completamente coperto da una sorta di mantella nera e che molto probabilmente stava dormendo. In realtà, dato che non emetteva alcun suono, poteva anche essere morto, ma non mi feci troppe domande. Appena noi quattro appoggiammo le nostre chiappe sui sedili il numero dei passeggeri salì ad ottanta e i motori si accesero da soli. L’uomo che pilotava sedette al suo posto, tirò una leva e la navetta si alzò in volo. Guardai tutte quelle persone che camminavano su e giù: loro erano totalmente ignare del fatto che qualcuno voleva attentare alla loro semplice e povera vita e non sapevano neppure che quattro ragazzini stavano andando alla ricerca dello scettro di Ra nel tentativo di salvarli tutti. Pensai a quello che mi aveva detto Eleanor il giorno in cui avevo scoperto tutto: la maggior parte delle persone non era a conoscenza dell’esistenza delle Energie, perché nel momento in cui si erano rivelate loro non avevano capito un accidenti. Solo pochi eletti erano in grado di capire il grande mistero dell’origine dell’universo e tra quelli c’ero anche io. In fondo in fondo non ero una sfigata totale, allora! In quello la voce del pilota si fece sentire “Buongiorno scienziati della delegazione 45 e benvenuti. Il nostro viaggio inizia qui, su Novenac e terminerà tra trenta minuti su Iceberg. Ora inizieremo il volo ultra-luce quindi siete pregati di allacciare le vostre cinture. Quando arriveremo a destinazione dovrete indossare i giubbotti termici che troverete sotto il vostro sedile. Per il resto non ho nulla d’aggiungere se non di godervi un buon viaggio!” Subito le stelle che potevo vedere dal mio finestrino diventarono una grossa massa indistinta e azzurrina il che significava che eravamo entrati nel tunnel iperspaziale. Sospirai: quella nave ci avrebbe portato all’ultimo pezzetto della mappa. Questo mi fece immediatamente pensare a Camp, chissà cosa aveva pensato il signor Anubis quando aveva scoperto che la sua amatissima nave e il pezzetto della mappa non c’erano più! Avrebbe potuto pensare che il ladro dello scettro avesse voluto giocargli un brutto tiro, ma poi notando che io, Eleanor e i due gemelli erano scomparsi, avrebbe immediatamente capito che eravamo stati noi a prenderli. Quando ero partita l’idea che il mio gesto avrebbe potuto avere conseguenze anche piuttosto brutte non mi aveva turbata, tanto cosa mai avrebbero potuto farmi? Al massimo mi avrebbero rispedita a casa a fare la cameriera. Ora invece cominciavo a temere per i miei amici: in fondo che colpa avevano? Il piano era mio, tuttavia loro erano stati miei complici, le conseguenze del mio pazzo gesto sarebbero potuto ricadere anche su di loro e io non volevo assolutamente che soffrissero. Erano state le uniche persone che avevano creduto in me e che mi avevano dato fiducia. Eppure non riuscivo a pentirmi, ero orgogliosa di quello che avevo fatto e ogni volta che ottenevo un pezzetto della mappa sentivo in me una potenza dirompente che cresceva sempre di più, mi sentivo di valere qualcosa. In tutta la mia vita mai ero stata tanto felice quanto lo ero in quel momento, non capivo come mai mia madre mi avesse sempre tenuto nascosto l’esistenza di quel mondo in cui ero appena entrata ma a cui sentivo di appartenere da sempre. Forse era stata una sua spontanea volontà oppure qualcuno di grosso e pericoloso le aveva intimato di tenermi all’oscuro di tutto, tuttavia non mi interessava gran che sapere di chi fosse la colpa, a me premeva sapere il perché. Quelli erano i miei tormentati pensieri mentre lo stella-bus volava tranquillamente verso Iceberg. Quando le gambe stavano per collassare a causa dei crampi dovuti alla loro orrida posizione la nave uscì dal tunnel iperspaziale e la voce del pilota squillò allegra “Cari studiosi eccoci arrivati su Iceberg. Durante la discesa vi prego di indossare i vostri giubbotti termici in modo da essere pronti quanto toccheremo terra.” Tirai un sospiro di sollievo e mi sporsi verso Eleanor con uno sguardo che voleva dire “Finalmente!” Lei mi mostrò la lingua in segno di incoraggiamento mentre si slacciava la cintura per indossare il pesante parca che avevamo sotto il sedile. Io la imitai rischiando di farmi su come un salame. In quel momento il tipo che era seduto accanto a me diede segnali di vita alzandosi immediatamente in piedi, mi passò praticamente sopra e corse verso il bagno come un matto. Il vecchietto che stava davanti a me, vedendo la mia faccia stranita, alzò le spalle “Evidentemente aveva un bisogno urgente.” Annuii vigorosamente “Eh già.” Tirai su la cerniera del mio giaccone: era talmente pesante che non riuscivo neppure ad alzare le braccia! Mentre mi interrogavo su come avrei fatto a camminare con quella roba addosso il mio vicino di sedile uscì con calma dal bagno che stava in fondo allo stella-bus ma quando fu arrivato più o meno alla mia altezza inciampò in una piega del tappeto e stramazzò a terra in un modo decisamente comico. Tutti quanti trattennero una grossa risata dato che a causa del giaccone pesante lui non riusciva ad alzarsi e somigliava ad una cimice gigante. Dopo un paio di tentativi chiese “Qualcuno può aiutarmi?” Dato che nessuno dava segnale di aver sentito mi alzai e mi accucciai accanto a lui “Signore, mi dia la mano.” Lui mi guardò bene negli occhi con un’espressione sofferente “Allora è proprio vero.” Domandai “Mi scusi, ma cos’è vero?” “Che Alex Johnson non sa mai dire di no a nessuno.” Mi allontanai un po’, stupita “Come fa a conoscere il mio nome?” “Io so un sacco di cose.” Guardai bene quel tipo in faccia: la sua bocca era curvata in un espressione quasi di dolore mentre i suoi occhi erano dorati, proprio come quelli dei miei amici quando erano ipnotizzati. Spalancai la bocca mentre un misto di paura e di angoscia mi prendevano lo stomaco e mi facevano accelerare il cuore “Ma cosa sta succedendo?” Il tipo estrasse una mano dalla tasca che stringeva uno strano oggetto: era abbastanza lungo e nero, con un bottone rosso sulla sommità proprio sotto il pollice di quell’uomo. Immediatamente mi vennero in mente i demolitori che lavoravano vicino a casa mia: per far saltare in aria le costruzioni da lontano utilizzavano dei comandi che somigliavano a quell’aggeggio. Scossi la testa, quello non poteva essere un detonatore, non c’era l’esplosivo! L’occhio mi cadde sulla vita del tipo: aveva una grossa cintura nera formata da tre o quattro piccole bombe. Non so se fosse normale, ma gridai “Attenzione! Quest’uomo vuole farsi esplodere!” Mi gettai di nuovo sul mio sedile comprendoni la testa con il giaccone. Per un istante tutti mi fissarono estremamente scioccati. Juan domandò “Alex, ma sei diventata pazza?” E poi scoppiò letteralmente l’inferno. Dalla cintura del tizio si sprigionò una luce e un vento pazzesco che quasi mi strappò la pelle dalla faccia. Il calore era diventato insostenibile, mi sembrò di squagliarmi come un ghiacciolo in estate. L’onda d’urto letteralmente polverizzò le pareti dello stella-bus e mi scagliò lontano. Fortunatamente eravamo molto vicini alla superficie, dovevamo essere a pochi centimetri dalla pista di atterraggio, ma quando mi schiantai al suolo mi sembrò un volo di quindici metri e oltre. La botta che presi mi tolse il respiro per qualche secondo, così la parolaccia che stavo per dire rimase nella mia bocca. Vedevo il cielo bianco sopra di me vorticare come impazzito e il ghiaccio sotto di me mi faceva pensare di essere chiusa in un freezer. Poi lo scenario cambiò: ero a casa mia, con le gambe a penzoloni sulla scogliera e mia madre era accanto a me. Era almeno una decina d’anni più giovane e stava parlando al cielo “E adesso cosa farò?” Sembrava che stesse discorrendo con una nuvola. Domandai “Mamma, con chi stai parlando?” Lei però non mi sentiva. Continuava a guardare verso l’alto “Qui sono completamente da sola! Vuoi davvero abbandonarmi?” Sembrava veramente disperata, le lacrime le stavano scendendo lungo le guance. Ad un certo punto sbatté un piede per terra “E va bene, non vuoi rispondermi? Allora io non ti parlerò più. E sai che ti dico? L’altro giorno ti ho raccontato una bugia! Alexis non è solo un nome da maschio, è anche da femmina. Si, aspetto una bambina, non un maschio! E vedrai che lei splenderà molto più di te! Che ne pare adesso?” La vidi afferrare la bellissima collana con pendente dorato che aveva al collo, gettarla a terra e calpestarla con un piede distruggendo la pietra, poi prese il coltello che aveva appeso alla cintura e fece un taglio sopra il tatuaggio raffigurante la bilancia simbolo delle Energie. Ci fu un brutale cambio di scena e mi trovai di nuovo nella grotta del sogno che avevo fatto su Erakon. La voce stava nuovamente parlando “Quindi che hai intenzione di fare?” L’uomo, che ora potevo identificare come Tom, domandò “Quando verrà indetto il solito consiglio mensile delle Energie?” “Oh, vediamo subito. Si terrà il 30 di questo mese.” Tom ragionò “Tra due giorni quindi.” “Che vuoi fare il 30?” Lui rise malevolo “Voglio provare tutta la potenza di questo scettro. Voglio distruggere l’universo sotto gli occhi increduli dei nostri genitori, voglio vedere le grandi Energie inchinarsi al loro nuovo re. Una volta che li avrò costretti a guardare la fine del mondo che hanno creato con tanta fatica li distruggerò.” “E che pensi di fare con Eleanor, i due gemelli e la ragazzina nuova?” “Loro? Non dobbiamo minimamente preoccuparci, il mio uomo sulla navicella si è fatto saltare e li avrà sicuramente uccisi. Ma ora andiamo, dobbiamo ancora scegliere quale pianeta sarà la nostra dimora regale.” Detto questo tutto venne risucchiato mentre la voce di mia madre recitava una specie di formula “Giuro di utilizzare tutto il mio sapere in favore dell’umanità e giuro anche che se avrò la possibilità di salvare l’universo lo farò.”  Poi una decina di sirene mi stracciarono i timpani. Spalancai gli occhi e vidi sopra di me il cielo lattiginoso di Iceberg. Ero viva, non ero morta! Con una manovra degna di un contorsionista mi misi a sedere e portai una mano alla faccia, giusto per sapere se ero ancora tutta d’un pezzo. Gli occhi, i capelli, il naso e la bocca sembravano a posto, quando toccai l’orecchio e la tempia sinistra invece la ritirai sporca di sangue. Mi pulii su una manica del giubbotto, mi alzai e mi diressi su luogo del delitto per cercare i miei amici. Appena vidi cosa era successo rimasi a bocca aperta e mi fu davvero difficile trattenere le lacrime: lo stella-bus era ridotto a una decina di pezzi carbonizzati che giacevano deformati sulla superficie del ghiaccio che era diventata nera. Distesi in posizioni molto poco naturali c’erano una ventina di corpi senza vita coperti con dei teli argentati. Sul posto c’erano almeno venti auto della polizia e tre ambulanze accerchiate da una cinquantina di medici che cercavano di prestare soccorso ai feriti. Temetti troppo che i miei amici fossero morti, così corsi fino alla scena del crimine. Cominciai a saltare per vedere sopra le teste delle persone ma c’era veramente troppa gente, non sarei mai riuscita a trovarli! Mi feci prendere dal panico e dall’angoscia, cosa avrei fatto io se i miei amici fossero stati morti? Loro erano le uniche persone a cui tenevo lasciando stare mia madre, come avrei fatto a vivere senza di loro? Decisi che arrendersi era troppo facile e mi misi a sgomitare tra la gente “Per favore, lasciatemi passare!” Riconobbi solo qualche scienziato che avevo distrattamente osservato sulla nave, ma dei miei amici non c’era neppure l’ombra. Dopo aver infilato la testa dentro il reparto urgenze di un’ambulanza ed essere stata cacciata da un infermiere mi sedetti a terra semplicemente disperata. I miei migliori amici avevano perso la vita ed era tutta colpa mia. Almeno fossi morta anche io, insomma ero a meno di un metro da loro sul bus! Invece io ero sopravvissuta e ora mi rimaneva solamente l’amarezza, la tristezza e il rimorso. In quell’istante però vidi una persona alta e magra con addosso il parca, un braccio fasciato fino al gomito e con dei capelli biondi molto spettinati. Aveva una sciarpa che gli copriva la faccia fino al naso, ma io avrei potuto riconoscere ovunque quei due occhi grandi e blu. Mi alzai piano asciugandomi le lacrime con una manica e dissi “Juan…” Lui mi vide e si arrestò immediatamente. Lessi il suo labiale “Alex…” Adesso vorrei dirvi che non gli corsi incontro ma non posso. Mi lanciai verso di lui, lui fece lo stesso e ci abbracciammo. Dissi “Oh Juan, che bello rivederti!” “A chi lo dici! Quando mi sono svegliato e non vi ho visti ho temuto di essere l’unico superstite!” “Anche io!” Dicemmo all’unisono “E invece ci sei anche tu.” Sul momento fu fantastico, dopo due secondi arrivò l’imbarazzo e ci scollammo di scatto. Dissi fingendo di essere interessata ai lacci delle mie scarpe “Dobbiamo andare a cercare anche Eleanor e tuo fratello.” “Assolutamente. Ah, ce li hai i pezzi della mappa?” Misi una mano sulla pancia “Certo. Sono al sicuro nella tasca della felpa che ho sotto.” “Perfetto, allora andiamo.”  Non avevamo mosso neanche un passo che una voce acuta gridò “Eccoli, sono loro!” Un poliziotto si parò davanti a noi con una mano sulla fondina dove teneva la pistola “Fermi dove siete!” Io e il mio amico ci congelammo dove eravamo: dopo le nostre ultime avventure su Albanem non avevamo nessunissima voglia di metterci a litigare con le autorità! Mi chiesi come mai dovevamo essere iellati e poi sorrisi “Si, agente?” “Voi due ragazzini siete i loro fratelli?” Ci indicò qualcosa alle nostre spalle. Con un certo presentimento ci voltammo e vedemmo Eleanor che strattonava Alvaro per la maglietta e gli diceva qualcosa di decisamente volgare. Erano tagliati, sanguinanti e sembravano due spazzacamini, tuttavia erano vivi e vegeti! Senza curarci della polizia corremmo in contro ai nostri amici “Ele! Al! State bene!” Il gemello di Juan sembrò riscuotersi, forse per aver visto il fratello o forse perché la mia migliore amica l’aveva scosso per bene, e lo abbracciò “Fratellino! Avevo tanta paura di non rivederti più! Come avrei fatto io senza di te?” “Oh Al, avevo tanta paura anche io, sai? Non vivrei senza la mia controparte!” Sorrisi, alla fine per noi quella spiacevole e piuttosto esplosiva situazione si era conclusa per il meglio. Il poliziotto che ci aveva ricongiunti disse piuttosto soddisfatto “Bene, direi che siete fratelli.” Poi arrivò la fatidica domanda che tanto avevo sperato che non facesse “Ma ragazzi, quanti anni avete? Non potete essere dei ricercatori!” Ele però era avvezza a raccontare bugie a, ehm, tutti quindi intervenne “Oh, assolutamente no agente. I nostri genitori erano due biologi e avevano deciso di portarci con loro per una piccola vacanza. Dopo l’esplosione però non sappiamo più dove siano.” Lui cominciò a trafficare con un tablet “Dopo l’attentato sono rimasti vive solamente dieci persone, purtroppo. Qual è il vostro cognome?” Meccanicamente dissi “Johnson.” Purtroppo anche Juan aveva risposto “Riveira.” Lo guardai con due lanciafiamme al posto degli occhi, poi sorrisi nervosamente all’uomo che ci stava interrogando “Il nostro cognome è Johnson Riveira. Io sono Rachel, lei è mia sorella Monica e loro due sono i nostri fratelli gemelli Walter e Troy.” L’uomo scosse il capo “Mi spiace moltissimo, ma tra i sopravvissuti non c’è nessuno che si chiami Johnson oppure Riveira.” Assumemmo un’espressione triste “Oh, beh, in questo caso siamo soli.” “Mi spiace moltissimo ragazzi. Nessuno si sarebbe mai immaginato un’esplosione su un mezzo pubblico, non ne accadevano da quasi mille anni! Molto probabilmente si è trattato di un pazzo suicida, non mi sembra che si tratti di un attacco terroristico o roba del genere. Non abbiate paura ragazzi, non vi accadrà più niente da adesso in poi.” Mentre diceva quelle parole il mio sguardo si era posato su un’enorme struttura formata da due grattacieli neri collegati da uno stabile cubico. Non aveva disegnata nessuna scritta o appesa nessun insegna, tuttavia avevo capito che doveva trattarsi dell’archivio che ci interessava dato che quel pianeta non era molto abitato. Sembrava decisamente ben protetto e calcolando che tutte le pattuglie che occupavano la scena del crimine provenivano da là doveva anche essere ben imbottito di militari. Sarebbe stato impossibile per quattro ragazzini eludere la sorveglianza, a meno che non fosse stata proprio la sorveglianza a portarci dentro. Sospirai “Io non voglio più stare su questo pianeta.” Strizzai un occhio alla mia amica che fortunatamente capì al volo “Anche io, voglio tornare a casa!” Juan intuì che avevamo in mente qualcosa così rincarò “Anche io voglio tornare a casa.” Il poliziotto rispose “Ragazzi, mi spiace tanto, ma non possiamo portarvi a casa adesso. Dovrete aspettare un paio di giorni in modo che il capo del dipartimento chiami il governatore del settore di Iceberg che a sua volta chiami il presidente della federazione su Alpha che mandi un altro stella-bus che venga a prendervi.” Feci cenno ai miei amici di non mollare e incrociai le braccia al petto “Non possiamo aspettare così tanto, siamo solo dei ragazzini.” Juan annuì “Non siamo neanche maggiorenni.” “Non abbiamo i documenti!” Eleanor prese a singhiozzare “Io non voglio stare qui dove sono morti la mamma e il papà!” Al povero poliziotto si stava spezzando il cuore, così disse “E va bene! Avete qualche altro parente?” Annuii “Si, la nostra nonna vive su Novenac e possiede anche un’astronave.” Lui allora ci fece cenno di seguirlo “Ora chiederemo al generale Andersen di farvi entrare nella struttura per usare il trasmettitore olografico, così vostra nonna potrà venire a prendervi.” Saltellai per la gioia, dato che il mio assurdo piano aveva funzionato “Si! Grazie agente!” “Di niente. Ma ora seguitemi.” E ci incamminammo verso una delle auto della pattuglia mentre sul pianeta cominciava a salire una nebbiolina esile ma congelata che distruggeva le parti del corpo che stavano fuori dagli enormi parca. Seguimmo il poliziotto che andava decisamente troppo di corsa su quell’enorme lastra di ghiaccio per i miei gusti. Ad un certo punto fece uno scatto verso la piccola astronave del suo capo e noi lo imitammo, solo che io ebbi decisamente più sfortuna dei miei amici, misi un piede in fallo, caddi lunga distesa a terra e scivolai come un pinguino piuttosto velocemente contro l’auto del generale. Quando ero convintissima che avrei preso una portiera sul muso sentii qualcosa che arrestava la mia assurda corsa così alzai lo sguardo: sopra di me c’era un uomo decisamente muscoloso che indossava un giaccone verde militare, un cappello grigio foderato di pelliccia e mi stava fissando con due occhi verde bosco, talmente grandi che facevano fin paura. Disse “E tu chi sei?” Risposi facendo una smorfia che doveva assomigliare ad un sorriso “Io sono Rachel Johnson Riveira. Quelli che stanno arrivando sono i mie fratelli, siamo sopravvissuti all’esplosione.” Lui squadrò attentamente Eleanor, poi spostò lo sguardo sui gemelli e infine su di me. Potevo vedere che stava guardando intensamente i miei occhi, come se avesse potuto leggerci dentro qualcosa. Mi sarebbe sembrato un comportamento alquanto strano, ma dopo quello che mi era capitato negli ultimi giorni non mi stupivo più davvero di niente. Prima che potessi dire qualsiasi cosa il tipo mi porse una mano per tirarmi su “Johnson, eh?” La afferrai e mi rimisi in piedi di nuovo “Johnson Riveira.” Lui alzò un sopraciglio come sospettasse che stavo dicendo una bugia. In quello però il poliziotto che ci aveva trovati disse “Generale Andersen.” Il tipo con il cappello distolse il suo sguardo da me “Dica maggiore Wallace.” “Questi ragazzini sono sopravvissuti all’esplosione. Sono tutti minorenni e traumatizzati, vorrebbero tanto andare a casa.” Andersen mi gettò un’occhiata di ghiaccio che significava “Tu traumatizzata? Ma non prendermi in giro.” Tuttavia disse “Vada avanti maggiore.” “I loro genitori sono morti nell’attentato però hanno un altro parente che abita poco lontano da qui. Chiedo il permesso di portarli all’interno della base per chiamarlo e farli tornare a casa.” Il generale domandò “Hanno visto l’identità dell’attentatore per caso?” Spostò i suoi occhi verdi su Juan. Lui scosse il capo “No, stavo giocando a carte con mio fratello.” Ele rincarò “Io stavo dormendo.” “E io invece stavo guardando un film sul mio tablet. Poi all’improvviso siamo stati scagliati in aria.” Andersen sbuffò “Almeno questi si ricordano qualcosa.” Domandai “Perché, gli altri no?” “Il resto dei sopravvissuti non ricorda nulla del viaggio, neppure sanno di essere partiti da Novenac.” Immediatamente la mia memoria mi parò davanti l’immagine degli occhi dorati del tipo che si era fatto saltare. E se non fosse stato l’unico lì dentro ad essere ipnotizzato? No, non era possibile, se qualcuno avesse fatto un incantesimo a tutto lo stella-bus avrebbe colpito anche noi quattro, i mezzosangue non erano immuni a quel tipo di ipnosi, i miei amici me lo avevano provato. La faccenda si faceva sempre più complicata, l’unica cosa che avevo capito era che Tom aveva amici decisamente potenti che ci volevano morti e stramorti! Il generale ci diede un’altra rapida occhiata come se non si fidasse di noi, poi però annuì “Si, va bene maggiore Wallace, li porti pure via. Sono soltanto dei ragazzini. Li interrogheremo dopo aver parlato con il parente adulto.” Perfetto, pensai, tanto appena rubato il pezzetto della mappa saremmo spariti per sempre. In quel momento un altro militare giunse davanti ad Andersen correndo e rischiando di scivolare un sacco di volte “Generale! Generale!” Lui sospirò “Cosa succede?” “La stazione meteorologica mi ha detto che è in arrivo una tempesta.” “Va bene, allerti pure l’equipe scientifica e la porti al sicuro.” “Certo signore, subito.” Wallace si congedò “Ottimo, la ringrazio generale.” “Di nulla. Arrivederci Johnson.” Poi si voltò verso un altro uomo che era arrivato trafelato. Mi domandai se quell’ “Arrivederci Johnson” fosse riferito a me, ma poi mi dissi che era impossibile: quell’uomo mica mi conosceva! Il maggiore ci indicò la porta dell’edificio qualche metro più in su, dato che la base era costruita su una specie di collinetta “Va bene ragazzi, andiamo.” Così lo seguimmo, mentre la nebbiolina di prima si faceva sempre più grossa e delle grandi nuvole grigie si stavano avvicinando a noi sospinte da un vento che si faceva più forte ogni secondo. Ele si affiancò a me “Alex, che è successo veramente in quel bus?” Juan rincarò “Si, ti sei accovacciata per aiutare quel tizio e poi è letteralmente scoppiato il finimondo! Mica avrai provocato tu l’esplosione con la tua maledetta goffaggine?” Sbottai “Ma insomma! E’vero che sono maldestra ma non così tanto! E’andata semplicemente così: il tipo che era accanto a me è corso in bagno, ha fatto i suoi bisogni, è uscito, è inciampato in quel modo ridicolo e ha chiesto aiuto così sono andata a tirarlo su. In quello mi ha detto che era veramente vero che io non sono capace di dire di no a nessuno, ha tirato fuori un detonatore e ha premuto il grilletto.” La mia amica mi domandò “Conosceva il tuo nome?” “Si.” Juan sbuffò “Accidenti, doveva trattarsi di una guardia di Tom che mi ha seguiti da Albanem!” Scossi il capo “Non credo, i suoi occhi erano dorati, proprio come i vostri quando eravate ipnotizzati e la sua bocca era piegata in modo strano, sembrava che dire quello che stava dicendo fosse una sofferenza. Era come se qualcuno stesse parlando attraverso di lui.” Juan impallidì “Questo non lo può fare nessun mezzosangue.” “Beh, lo spero, sarebbe inquietante saperlo fare!” “No, Alex, non hai capito. Quella che hai descritto è una cosa orribile che solo le Energie possono fare.” Fu come se il vento ad un tratto si fosse fatto più freddo e pungente “Questo è a favore della mia tesi sull’Energia traditrice.” Eleanor mi fissò gravemente “Ormai credo che tu abbia ragione Alex.” Juan quasi scivolò dopo la presa di posizione della mia amica e sussurrò con la voce un’ottava sopra il normale “Lo sapete che significa questo? Quello che stiamo facendo è una pazzia, una follia, un suicidio! Un mezzosangue non può mettersi contro un’Energia!” Mi arrestai nonostante dalle nuvole cominciassero a scendere grossi fiocchi di neve che si incastravano tra i capelli e tra le ciglia, facendoci morire di freddo. Quando parlai mi sembrò di proferire un giuramento o qualcosa del genere, perché ci credevo veramente tanto. Non ero mai stata più sicura in tutta la mia intera vita “Un mezzosangue da solo no, ma quattro si.” Lui non sostenne il mio sguardo e abbassò il capo a guadare il ghiaccio sotto di lui. Poi però lo rialzò e disse “Allora cosa stiamo aspettando? Entriamo!” Sorrisi e lui fece lo stesso. Poi guardai in alto: ci trovavamo davanti alla struttura che era tutta completamente nera, era come se una grossa lastra di ossidiana fosse stata messa davanti ai muri e ali vetri, non si vedeva neppure la porta! Vista da lontano e mezza coperta dalla nebbiolina persistente doveva incutere davvero paura, una persona stordita come Anubis l’avrebbe tranquillamente scambiata per un mostro o qualcosa del genere. Wallace però non si fece stupire dalla potenza che irradiava quel grosso archivio ed estrasse da una tasca interna del giaccone una tessera bianca che inserì in una minuscola fessura che personalmente non avrei notato neppure se ci avessi messo un dito sopra. La chiave magnetica venne ingerita, probabilmente letta da un computer e sulla facciata  apparve il disegno di una mano. Il maggiore sistemò la sua esattamente sopra, poi si mise in punta di piedi e si fece analizzare gli occhi da una macchina a forma di binocolo che era anche quella spuntata dal nulla. Poi apparve un’altra scritta che diceva “Maggiore Dylan Wallace, accesso garantito.” Un piccola parte di lastra si sollevò da terra di pochissimo per farci passare. Il nostro accompagnatore ci fece cenno di seguirlo “Forza ragazzi, entriamo. Occhio alla testa.” Ci piegammo, per non dire strisciammo, sotto la porta che si richiuse alle nostre spalle sigillandoci dentro. Non so se sarò capace di descrivere quel grosso archivio, perché non hanno ancora coniato delle parole capaci di esprimere la mia meraviglia: ci trovavamo in un ingresso molto ampio ma con il soffitto decisamente basso e davanti a noi c’erano almeno una ventina di ascensori con le porte argentate. Qualche metro a destra e a sinistra si innalzavano due torri altissime che erano affettate da vari ballatoi sui quali si aprivano almeno un migliaio di porte. Tutto era fatto di pietra nera, mentre le porte erano di colore grigio e contrassegnate da numeri verde fosforescente. Non c’erano finestre, però la luce entrava da due grandissimi lucernai sistemati sulle sommità delle due torri. Persino Alvaro non era rimasto indifferente alla grandiosità di quel semplice archivio “Wow, questa è la base più bella che io abbia mai visto!” Annuii “E’ proprio vero!” Juan sospirò “Io mi perderei subito, questo posto è peggio di un labirinto!” Wallace sorrise “Proprio così ragazzo, quindi statemi sempre vicini. Adesso andiamo nell’ufficio generale dove si trova il trasmettitore olografico così potrete chiamare vostra nonna.” Andammo davanti ad uno degli ascensori, il maggiore schiacciò il pulsante di chiamata e le porte di aprirono. Entrammo con gli occhi fuori dalle orbite. Io non avevo mai visto un ascensore in vita mia, tuttavia dubitavo che ce ne fosse uno più bello in tutto l’ universo! Era talmente grande e spazioso che la mia cameretta ci sarebbe entrata completamente e sarebbe avanzato anche spazio! Appena entrati sulla destra si trovava uno schermo di dimensioni apocalittiche dove lampeggiava il piano in cui era andato prima di venire a prenderci. Wallace infilò la sua tessera dentro un’ apertura sulla parete, cancellò il bel numero venti e digitò il numero due, così l’ascensore partì. Non ebbi neppure il tempo di sbattere le ciglia che eravamo già a destinazione. Il maggiore ci spintonò fuori e ci fece entrare nell’ufficio tre. Qui, seduta su una poltrona girevole dietro una scrivania che sembrava un campo di battaglia, c’era una segretaria in tenuta verde che stava ruminando un chewingum. Appena ci vide si tolse gli occhiali con aria particolarmente seccata “Che volete?” Il nostro accompagnatore si tolse il cappello “Buongiorno signorina Bitter, questi ragazzini dovrebbero fare una chiamata urgente.” Noi quattro sfoderammo il nostro sorriso più adorabile, sperando di fare breccia nel cuore di quella donna che però a me sembrava tanto una delle più antipatiche clienti di mia madre. Lei alzò le sopraciglia e si rimise gli occhiali “Assolutamente no.” Wallace non si perse d’animo e sospirò “Oh signorina, non faccia troppe storie.” “Voi mi pagate pochissimo e io lavoro come una schiava per accontentare le vostre stupide richieste, certo che faccio storie!” “Devo chiamare il generale Andersen, signorina?” Lei sbuffò, si alzò dalla sedia, accese un trasmettitore olografico che stava su un mobile dietro la sua scrivania e per uscire dalla stanza ci passò accanto “Inserite il numero di proiettore del destinatario sulla piccola tastiera sul proiettore, poi schiacciate il tasto verde. La chiamata sarà a carico del maggiore Wallace, io intanto vado a prendermi un caffè.” Il nostro povero accompagnatore sbuffò e ci disse “Scusatela ragazzi, ha proprio un brutto carattere. Fate pure la vostra chiamata, prendetevi tutto il tempo di cui avete bisogno, io sarò giù a sbrigare alcuni affari. Appena avete finito chiamate la signorina Bitter, non uscite dalla stanza senza di me.” Lo abbracciai “Grazie mille maggiore Wallace, lei è stato così gentile!” Lui mi diede una pacca sulla schiena “Di niente ragazzi. Scusatemi, ora devo andare.” E uscì dall’ufficio chiudendosi la porta alle spalle. Io sorrisi beffarda “Così gentile da prestarci la sua chiave!” Sventolai la tesserina magnetica sotto il naso dei miei amici. Ele esclamò “Come hai fatto a prenderla?” “Mentre abbracciavo il maggiore ho visto che la teneva nella tasca dei pantaloni, così l’ho estratta e l’ho presa.” Al sorrise “Complimenti Alex! Io non sarei mai riuscito a farcela!” “Anni di esperienza all’Admiral amico mio.” La porsi a Juan “Andiamo a prendere l’ultimo pezzo della mappa.” Lui la afferrò e alzò un sopraciglio “Notevole, Alex. Notevole.” Ele mi diede una pacca su una spalla che mi fece quasi vomitare un polmone “Certo che è notevole, altrimenti non sarebbe mai diventata mia amica!” Al ci interruppe “Ragazzi, muoviamoci, non mi va tanto di compiete un effrazione in una base militare!” Eleanor mosse una mano “Ma dai, che esagerato! Andrà tutto bene, vedrai.” Constatai che in fondo lui non aveva tutti i torti e misi la testa fuori dalla porta con grande cautela cercando di non fare rumore. Wallace non si vedeva all’orizzonte, mentre la segretaria Bitter era tutta impegnata a sbattere una macchinetta servi bevande perché non le aveva dato il resto, quando sopra di questa era scritto a caratteri cubitali “Non dà resto.” Rientrai e feci un cenno ai miei amici “Ok ragazzi, la strada per l’ascensore è libera, andiamo!” Ele spalancò la porta e ci ammonì “Camminiamo con nonchalance, se cominciassimo a correre tutti si accorgerebbero di noi.” Juan ribattè “Come se fosse normale vedere quattro adolescenti in giro da soli per una base segreta militare!” Lei lo zittì “Taci! Sono io l’esperta di fughe qui e quindi si fa quello che dico io. Seguitemi.” Personalmente ero d’accordo con Juan, ma decisi di non agitare ancora di più quel mare già in burrasca e uscii dalla stanza passeggiando tranquillamente, fischiettando una canzoncina e prestando molta attenzione alle travi del soffitto. Con quest’aria che a noi sembrava normale ma che era sicuramente sospetta ci avvicinammo al bell’ascensore che ci aveva portati su. Quando Alvaro stava per schiacciare il bottone di chiamata le porte si spalancarono, lasciando uscire il generale Andersen. Strozzai un grido, più o meno “E’Andersen, tagliamo la corda!” Afferrai la mia amica per la felpa, lei a sua volta prese i due gemelli per i pantaloni e con una corsa decisamente scoordinata entrammo nell’ascensore che stava alla sua destra da cui era appena uscito un altro tipo. Quando fummo al sicuro tirammo un sospiro di sollievo “Per un soffio!” Gemette Eleanor “Mi hai tirato giù i pantaloni!” Juan era in mezzo all’abitacolo, con la vita dei pantaloni che arrivava a mezza coscia, e stava esibendo un paio di fantastiche mutande gialle. La mia amica ed io scoppiammo a ridere, un po’ anche per scacciare la paura che mi aveva quasi fatto fare i miei bisogni nelle mutande. Lui ribatté, mentre rimetteva i pantaloni al suo posto “Non è divertente!” “Si che lo è!” Questa volta a parlare era stato Alvaro, che era appoggiato ad una parete anche lui con i pantaloni abbassati. Il fratello glieli tirò su con un gesto nervoso “Perché devi essere così scemo?” “Ok, ok, scusa, stavo solo scherzando. Allora, a che piano vogliamo andare?” Juan inserì la tessera del maggiore nella piccola fessura e il computer si accese. Dissi “Stanza D, piano 18.” Al sorrise “Ok, vediamo.” Digitò qualcosa, poi la cancellò e poi riscrisse. Domandò “Va bene?” Sul display appariva il numero 18. Annuii “Si, ok, andiamo.” Al diede il segnale di invio e l’ascensore partì verso l’alto come un razzo. La spinta ci sparò avanti, solo che io, ovviamente, non ero appoggiata alle pareti, così sentii io mio baricentro spostarsi verso dietro. Cercai di contrarre gli addominali, rimanendo per circa trenta secondi in una posizione assurda che faceva visibilmente ridere i miei amici, poi quella macchina infernale si fermò e io finalmente potei sistemare una mano su un muro con disinvoltura. Guardai i miei amici con un’aria saccente “Credevate che sarei caduta, eh?” Però quella era una delle orribili frasi che appartengono all’ignobile famiglia delle “ultime parole famose”, infatti mi stavo sostenendo su una delle porte che si spalancarono facendomi cadere all’indietro senza neppure avere il tempo di reagire. Feci un tonfo abbastanza contenuto per essere caduta a peso morto, comunque sbuffai “Non è possibile!” Guardai i miei amici di traverso “Ok, potete ridere liberamente, non mi offendo mica.” Loro invece si avvicinarono e i due gemelli mi porsero le mani. Eleanor mise le sue sui fianchi, fissandomi con l’aria di chi la sa molto lunga “Alex, non ti preoccupare, noi non pensiamo che tu sia un imbranata. Noi siamo mezzi Energie, è vero, ma siamo anche umani e come tali sbagliamo. Sappi che non è per i tuoi errori che tuo padre non ti ha ancora riconosciuta.” Sgranai gli occhi “Come hai fatto a capire che…” “Oh, insomma, sono la Grande Eleanor, io so tutto!” Juan la liquidò con un gesto della mano “A parte gli scherzi di Ele, te lo si legge negli occhi. Non farne un dramma però, ci siamo passati anche noi e siamo sopravvissuti, col tempo passerà anche a te. Ricordati che quando cadrai ci sarà sempre qualcuno che ti aiuterà a tirarti su.” Quelle che mi avevano appena detto erano le parole più belle che avessi mai sentito nella mia intera vita! Quelli che erano di fronte a me erano veramente miei amici e mi stavano dicendo che mi avrebbero sempre dato una mano perché io per loro ero importante. In tutti quegli anni non mi ero mai sentita utile, ero convintissima che se fossi scomparsa nessuno se ne sarebbe accorto, invece ora scoprivo che c’era qualcuno nell’universo che credeva che non fossi uno zero, ma che invece contassi qualcosa. Sorrisi “Grazie ragazzi, non so come sdebitarmi con voi!” Juan mi prese per le spalle e mi condusse nel corridoio “Beh, potresti cominciare col dirci qual è la stanza che dobbiamo aprire…” “Oh, certo!” Avanzai, leggendo le lettere sulle porte fino a quando non vidi una D scintillare in verde sul grigio. Al domandò “Siamo sicuri che sia questa?” La squadrai: era un portone molto massiccio, sembrava quasi fatto a più strati ed era chiuso da una grata. Alzai le sopraciglia “Si!” Suo fratello estrasse nuovamente la tessera e la infilò nella serratura, se così possiamo chiamarla. Immediatamente le sbarre rientrarono nella parete e la porta si aprì lentamente, lasciando entrare la luce piano piano. Quando fu completamente aperta potemmo vedere cosa c’era dall’altra parte: un’ombra si stava muovendo e venendo verso di noi. Era piuttosto grande, ma non abbastanza da essere umana, e camminava con un’andatura dondolante e decisamente titubante. Comunque fosse quella cosa non mi sembrava un pezzo di mappa. Alla luce di quello che era successo le volte precedenti il mio stomaco venne assalito da una morsa di ghiaccio. Eleanor mi stritolò il braccio destro “Alex?” “Si?” “Quella cosa non mi sembra l’ultimo pezzetto della mappa.” “No, neppure a me.” “E allora…COSA DIAVOLO E’?” Non ebbi bisogno di rispondere perché la “cosa” si presentò da sola: era un enorme (e quando dico enorme dico enorme!) coccodrillo con il corpo ricoperto da bruttissime scaglie verdi e marroni, con la pancia che strisciava fin per terra e delle stupide zampette tozze dotate di artigli non altrettanto stupidi. Il muso era allungato e appena aprì la bocca potemmo vedere due file di denti così aguzzi che il coltello da bistecca preferito del signor Anubis sarebbe corso a nascondersi al confronto! Juan sussurrò “Quello è il Coccodrillo del Nilo, il padre di tutti gli altri coccodrilli. E’circa il doppio dei suoi figlioli in altezza e in peso. Ai tempi degli egizi terrorizzava le popolazioni che vivevano vicino al fiume, così le Energie lo attaccarono e lo sconfissero. Da allora ce l’ha a morte con loro.” Al sussurrò fissando la bestia con gli occhi fuori dalla orbite “Quindi che suggerisci di fare?” “Beh, considerato che siamo assolutamente soli e disarmati…CORRETE!” Ci lanciammo lungo il corridoio mentre quell’orribile animale ci veniva dietro come un razzo spalancando la sua bella bocca. Ele esclamò “Come fa a correre così veloce con quelle zampe ridicole?! Saranno alte dieci centimetri!” Al rincarò “E vogliamo parlare della coda? Peserà come me!” Gemetti “Non è questo il problema!” “E allora qual è?!” “Che ci fa un enorme e spaventoso coccodrillo del Nilo dentro un archivio militare?!” “Non lo so!” Indicai il corridoio che stavamo percorrendo “Questo corridoio presto o tardi finirà e noi saremo spacciati!” “Ma allora che facciamo? Non possiamo prendere un ascensore e scappare altrimenti tutti quanti si accorgeranno di noi e addio mappa!” Al ribatté “Sarà anche addio mappa, ma io lo preferisco ad addio vita! Non possiamo semplicemente teletrasportarci via di qui?” Lo rimproverai “Al, non esiste! Noi siamo mezzosangue, è nostro preciso dovere difendere il genere umano da qualsiasi pericolo anche a costo della nostra stessa vita! Comunque questa volta non dovremo rischiare così tanto.” Indicai una porta vicina “Entreremo lì dentro e quando il coccodrillo ci seguirà noi ci teletrasporteremo fuori, intrappolandolo.” Ele annuì “Mi sembra una buona idea! Proviamoci!” Dato che la bestia era abbastanza lontana Juan ebbe tutto il tempo di provare ad infilare la chiave nella serratura con le mani tremanti e la mia migliore amica che lo incitava “Dai, sbrigati, arriva! Arriva!” Dopo tre tentativi ci riuscì, così spalancammo la porta ed entrammo. Eravamo finiti in una banalissima stanza con le pareti completamente ricoperte di computer contenenti file che ogni tanto facevano brillare qualche strana luce colorata. Ovviamente il mostro non aveva nessuna intenzione di lasciarsi sfuggire un dolce pranzetto di giovani mezzosangue, così ci seguì. Noi ci spiaccicammo contro una parete mentre lui apriva le sue bellissime e altrettanto letali fauci. Un terribile odore di carogna ci investì e dalla bocca del coccodrillo cadde qualcosa di viscido e marroncino che si spiaccicò contro il pavimento. Trattenni un conato di vomito e Ele strillò “Cos’è quello?!” Juan storse il naso “Credo che sia un rimasuglio della sua ultima cena…” Al lo guardava il nostro nuovo nemico prossimo ad uno svenimento “Eleanor, portaci via di qui!” Scossi il capo “No, dobbiamo aspettare che sia tutto dentro la stanza, altrimenti non riusciremo a chiudere la porta, hai visto quanto è grosso?” Decisi che per farlo muovere avrei dovuto farlo arrabbiare. Feci un passo avanti e gli feci una boccaccia “Ehi brutta palla di lardo, vieni a prendermi! Ah, come sei vecchio, credo che Anubis sia più veloce di te!” Il mostro fece un salto in avanti, decisamente molto offeso dopo il paragone con quella lumaca del padre di Eleanor. La mi amica mi afferrò per il colletto della maglia “Direi che adesso è abbastanza vicino! Andiamo!” In quello però Juan esclamò “Oh no, mi è caduta la tessera!” Suo fratello si abbassò “Te la prendo io.” “No Alvaro, stai su, non riesco a toccarti bene!” Il coccodrillo ruggì molto molto arrabbiato e diede un grosso colpo di coda alla parete che conteneva i file. Questa venne giù di schianto, ma prima che potesse intrappolarci dentro con quella bestia schifosa Eleanor ci teletrasportò all’esterno. Appena realizzammo di essere in un posto diverso dal precedente ci slanciammo contro la porta e la chiudemmo con un tonfo che molto probabilmente sentirono anche su Camp. Appoggiai la schiena contro il portone e mi misi una mano sul cuore che stava per esplodere. L’avevamo scampata per un soffio decisamente troppo piccolo questa volta! Ansimai “Ce l’abbiamo fatta.” “Già, fortuna che c’ero io! La Grande Eleanor vi salva la vita ancora!” Juan sorrise “Si, devo ammettere che sei stata utile, anche se abbiamo rischiato veramente grosso! Vero, Al?” Nessuna risposta. “Al?” Demmo una rapida occhiata in giro, ma di Alvaro neanche l’ombra. La mia amica gemette “Oh no! Evidentemente il contatto che avevo non è bastato!” Juan gridò “Vuoi dire che mio fratello è chiuso dentro con quell’orribile mostro?!” “Già…” Dato che loro due stavano in silenzio senza fare niente decisi che prendere in mano la situazione. Quello che avevo intenzione di fare era assolutamente pazzo e irresponsabile dato che al posto di uno potevamo morire tutti e quattro, ma non avrei mai lasciato un amico solo ad affrontare il suo destino. Oh no, Alex Johnoson non lo poteva assolutamente permettere! Senza pensare al fatto che stavo cominciando a parlare in terza persona come Eleanor afferrai la sua mano e quella del mio amico “Beh, dobbiamo aiutarlo! Ele, teletrasportarci dentro di nuovo.” Lei annuì e in un attimo il paesaggio era cambiato. Eravamo di nuovo nella saletta in una delle due parti in cui era stata divisa dallo scaffala caduto. Dalle grida che provenivano dall’altra parte potevamo capire che il nostro amico non se la stava spassando granché “Aiuto! Ragazzi! Stai lontano bestiaccia, lontano!” Juan si avvicinò alla libreria senza libri e diede un grosso pungo proprio in mezzo, facendo un enorme buco. Disse “Passate!” Non ce lo facemmo ripetere due volte e corremmo ad aiutare Alvaro. Lui era salito, ancora oggi non so come, sul muro e adesso stava appeso come una scimmia ad un pezzo di computer che stava dando segni di cedimento. Sotto di lui il coccodrillo stava aspettando tranquillamente la sua caduta, con la bocca spalancata. Ele gridò “Al, siamo qui!” Lui si illuminò “Alex! Eleanor! Aiutatemi!” Dissi alla mia amica “Puoi teletrasportarti lassù?” “No, non ho un appoggio per i piedi, cadrei giusto nella bocca del mostro! Se qualcuno però potesse tenerlo occupato Alvaro potrebbe scendere.” “Si, giusto.” Senza dire nulla a nessuno Juan si slanciò contro il mostro “Così impari a cercare di mangiare mio fratello!” Fece per tirargli un calcio ma il coccodrillo fu più rapido di lui e gli azzannò il polpaccio. Lui lanciò un grido lugubre ma allo stesso tempo squillante “Ah!” In quell’istante la stessa forza che mi aveva assalita il giorno del combattimento su Camp e quando la signora Ariana mi aveva detto chi ero veramente. Fu come se un fuoco avesse cominciato ad ardere dentro di me e a sprizzare scintille bollenti. Mi scoprii a saltellare sul posto: non riuscivo a stare ferma! Senza ragionare presi la rincorsa e staccai un salto atterrando esattamente sulla schiena della bestia. Lo colpii con un pugno sulla testa “Ehi! Non puoi magiare i miei amici!” Dopo due secondi mi domandai come accidenti avessi fatto a finire lì e, come molte e molte altre volte, non riuscii a spiegarmelo. Il caro coccodrillo però non sembrava gradire molto l’essere cavalcato, così cominciò a scalciare come un cavallo imbizzarrito e a muovere la coda a destra e a sinistra, tentando di disarcionarmi. Devo ammettere che mi colse di sorpresa, così quasi caddi all’indietro, tuttavia non so con quali riflessi riuscii ad afferrare con entrambe mani una delle sue gigantesche squame e strinsi le mie gambe attorno ai fianchi. I miei amici mi stavano fissando senza parole. Gridai, mentre venivo sballottata decisamente troppo violentemente per i miei gusti “Non state lì impalati! Ele, corri a prendere Alvaro!” Lei non se lo fece ripetere due volte e schizzò in direzione della parete, trascinandosi dietro un dolorante Juan e mettendosi esattamente sotto di lui “Ok Al, ora devi saltare!” “Non se ne parla!” “Dai, ti prendo io!” “No!” Gli gridai “Sono in groppa a questo stupido coccodrillo imbizzarrito solo per aiutarti, quindi ti conviene saltare!” La bestia stava decisamente avendo la meglio su di me, tuttavia non avevo nessunissima voglia di venire spiaccicata contro una parete. Mentre mi ancoravo alla corazza del mostro vidi una spranga di ferro che si era staccata dallo scaffale caduto che giaceva a pochi centimetro da Juan. Lo chiamai “Juan!” Lui rispose debolmente mentre si teneva la gamba sanguinante “Cosa?” “Accanto a te c’è un pezzo di ferro. Per favore, lanciamelo!” Lui allungò un braccio “Non ci arrivo.” “Sporgiti ancora un po’, ti prego!” “Mi fa troppo male la gamba.” Un nuovo scossone mi fece temere lo schianto a terra “Juan, ti supplico, provaci. Se tu fossi al mio posto ed io al tuo ci proverei! Juan, io per te lo farei!” Lui allora si fermò, poi si piegò tutto in avanti con una smorfia di dolore, afferrò la spranga e me la lanciò “Prendila Alex!” Il pezzo di ferro volteggiò spedito roteando verso di me e quando fu esattamente sopra la mia testa allungai una mano per afferrarlo. Adesso ascoltate bene quello che vi dirò: se state lottando contro un alligatore gigante per non cadere a terra non mollate mai e dico mai una mano. Infatti, appena le mie dita toccarono la spranga ghiacciata lui diede uno scossone più forte degli altri e io persi l’equilibrio, atterrando rovinosamente sul pavimento. La bestia voltò il suo brutto muso verso di me, con un espressione di pura soddisfazione. Io indietreggiai un poco, giusto per non sentire tutto il fetore del suo orribile alito e senza mai distogliere i miei occhi dai suoi cercai a tentoni il pezzo di scaffale che avevo perso nella caduta. Alzai le sopraciglia “Cosa pensi di fare adesso, brutto muso? Credi per caso di avermi sconfitta?” Toccavo solo pavimento, pavimento e ancora pavimento. Lui avanzava ruggendo sommessamente. Sospirai “Non credo che mangiarmi sarà così facile e sai perché? Perché tu avrai anche una bocca enorme piena di denti acuminati…” Finalmente sentii qualcosa di freddo e lungo, così lo strinsi in mano “…ma io ho una spranga di ferro!” Lui aprì le sue fauci, ma io fui più veloce e tra le due infilai di traverso il mio ferro. Il mostro tentò di chiudere la bocca ma non ci riuscì: era rimasto incastrato! Sorrisi, piuttosto soddisfatta dalla riuscita del mio assurdo piano. Ele mi gridò “Alex, vieni!” Mi misi in piedi, saltai il mio caro nemico e afferrai la mano che lei mi porgeva. Presi quella quasi inerte di Juan “Grazie mille. Credo che tu mi abbia salvato la vita.” Lui mi sorrise nonostante il dolore “E io credo che tu l’abbia salvata a noi.” La mia amica ci interruppe “Va bene, vi attribuirete meriti dopo, ora si parte!” Annuimmo “Oh si!” In un secondo eravamo fuori nel corridoio deserto. Quando realizzammo di aver sconfitto quell’orrendo mostro ci abbracciammo “Ce l’abbiamo fatta!” “L’abbiamo sconfitto!” Ele era al settimo cielo “E siamo tutti vivi!” Poi guardò Juan “Beh, più o meno.” “Oh, chi se ne frega della gamba, l’importante è che sia tutto d’un pezzo!” Al stava per piangere “Ragazzi, siete tornati a prendermi e avete sacrificato la vostra vita per salvare la mia. Grazie!” Risposi “Figurati, non ti avremmo mai lasciato solo. Noi siamo una squadra, anzi, una famiglia. Se uno rimane indietro rimangono indietro tutti.” Juan sorrise “Io non so davvero chi tu sia veramente. Sembri così imbranata e poi invece affronti il Coccodrillo del Nilo tutta da sola e, cosa più difficile, riesci a mettere d’accordo tre mezzosangue che non lo sono mai stati.” Alzai le spalle, lusingata “Beh, io in realtà non so chi sono veramente.” La mia migliore amica mi mise un braccio attorno alle spalle “Tu sei Alex Johnson, ecco chi sei! Non hai bisogno di altri nomi o riconoscimenti!” Poi “Un giorno sui giornali leggeremo questo titolo “La Grande Eleanor, Juan il saccente, Alvaro lo stupido e Alex Johnson salvano l’universo dalla distruzione!” Risi di cuore, dopo tutta quella tensione un po’ di simpatia ci voleva proprio! Passai un braccio sulle spalle di Juan e suo fratello fece lo stesso, in modo da fargli da stampella, e così abbracciati ci avviammo verso l’ascensore, cercando di capire cos’avevamo sbagliato. Mentre camminavamo diedi un rapido sguardo dentro la porta da cui era uscito il coccodrillo e notai che non c’era proprio niente a parte le ossa di qualche animale spolpato dalla simpatica bestia. Appena entrammo nell’ascensore mi avvicinai al monitor che portava ancora scritto il numero diciotto. Domandai “Che cosa mai avremo sbagliato? Qui c’è scritto diciotto!” Ele, che si era sporta dal ballatoio, mi rispose “Credo di aver trovato l’errore.” Mi fece cenno di avvicinarmi “Questo non può essere il diciottesimo piano!” Guardai giù: eravamo in altissimo! Il piano terra sembrava un piccolo quadrato tanto eravamo sopra di lui, e le persone che camminavano non si vedevano neanche. Esclamai “Accidenti, saranno si e no duecento metri!” “Esatto. Inoltre conta i ballatoi: da terra a qui ce ne saranno quasi un centinaio!” Scossi il capo e rientrai nell’ascensore trascinando anche Alvaro “Cos’hai digitato quando siamo entrati qui?” “Il numero diciotto.” Eleanor sbuffò vistosamente “Non è possibile, non vedi che non siamo al diciottesimo piano? Devi aver sbagliato qualcosa!” Lui si fece pensieroso “In effetti adesso che mi ci fate pensare inizialmente ho digitato diciotto, ma veniva scritto ottantuno, così ho schiacciato prima l’otto e poi l’uno e sullo schermo è venuto fuori il numero diciotto.” Io e la mia amica ci guardammo con aria decisamente sbattuta, toccai il diciotto sullo schermo e lo ruotai di centottanta gradi “Il numero era rovesciato! Siamo al piano ottantuno!” Ele lo rimproverò “Alvaro! Ma insomma, potevi ucciderci!” “Scusate ragazzi, io non lo sapevo…” Juan borbottò dal pavimento “Avrei potuto risparmiarmi questo bel morso sulla gamba!” “Fratellino, mi spiace tanto…” Il poveretto era sul punto di mettersi a piangere. Gli posai una mano su una spalla mentre Eleanor aveva tantissima voglia di strozzarlo “Tranquillo Al, alla fine è andato tutto per il meglio, no? Noi siamo tutti vivi e tuo fratello si è rimediato solo un piccolo morso. La prossima volta che qualcosa non ti sarà chiaro non aver paura di chiedere aiuto a noi. Quattro cervelli sono meglio di uno!” Lui sorrise e la mia amica biascicò nelle mie orecchie “Volevi dire tre cervelli sono meglio di zero…” “Oh, come sei cinica. Comunque, qualcuno ha idea se in questo posto ci sia una scala antincendio o qualcosa del genere per scendere al diciottesimo piano?” “Io si.” Mi immobilizzai: quella non era la voce di nessuno dei miei amici. Mi voltai lentamente, senza avere il coraggio di muovere nessuno dei miei arti mentre il mio sangue non scorreva più, dato che si era congelato nelle vene. Anche i miei amici erano pietrificati dalla sorpresa e dalla paura. Sicuramente vi starete chiedendo cosa mai ci avesse terrorizzati in quel modo, ve lo dico subito: il generale Andersen era in piedi davanti a noi con una mano su un fianco, decisamente troppo vicina alla fondina dove teneva la pistola secondo i miei gusti. Esordì con un “Ragazzi, ma che ci fate qui?” Guardai Eleanor sperando che trovasse in fretta una soluzione al problema. Non avevo nessuna voglia di morire uccisa da uno stupido colpo di pistola dopo aver combattuto contro il Coccodrillo del Nilo! Lei invece di rispondere ribatté “Potremmo fare la stessa domanda a lei. Non aveva alcune faccende da sbrigare?” Ok, eravamo morti. Lui rispose “Stavo sbrigando alcune faccende, quando alcune persone mi hanno detto di aver sentito strani rumori dal piano ottantuno, così sono venuto a controllare.” Gettò un’occhiata nel corridoio “Ma la porta D è stata aperta?!” “Ehm…si.” “Ma lo sapete che c’era lì dentro? Dov’è adesso? E’ libero? Ha fatto male a qualcuno?” Tagliai corto “Non si preoccupi, il Coccodrillo del Nilo è stato catturato e rinchiuso in un’altra stanza.” Andersen spalancò la bocca “Ma chi è stato?” Juan, che si era alzato e ora stava usando Alvaro come stampella, gli rispose “Siamo stati noi. Se non ci crede guardi qua.” Gli mostrò il polpaccio bucherellato. Andersen era veramente stupito “Non è possibile che quattro ragazzini…” Poi si zittì come se si fosse ricordato di qualcosa di veramente essenziale. Disse “Ragazzi, venite nel mio ufficio. Devo medicare la tua gamba, farà infezione se la lasci così.” Dato che non potevamo fare altro lo seguimmo all’interno dell’ascensore. Pensai che la mia sfortuna non aveva mai fine: ogni volta che ero vicina al mio obiettivo ecco che succedeva qualcosa che mi allontanava da lui di nuovo! Quando ero sul punto di arrendermi totalmente vidi il generale inserire la sua tessera e digitare il numero diciotto sullo schermo. Noi quattro ci scambiammo un’occhiata. Alvaro chiedeva silenziosamente “Cosa sta succedendo?” Juan “Dite che si tratti di una coincidenza?” Eleanor ovviamente andava contro di lui “Dite che sia dalla nostra parte?” La mia occhiata mise d’accordo tutti “Qualunque cosa accada non dobbiamo arrenderci!” L’ascensore fece la sua rapidissima discesa fino al piano indicato ma fortunatamente questa volta riuscii a tenermi in piedi. Appena le porte si spalancarono Andersen fece dal stampella a Juan e ci scortò fino alla porta di quello che credevo fosse il suo ufficio. Alzai gli occhi e sorrisi a trentadue denti: sulla porta scintillava una lettera dorata dotata di una stanghetta e una grossa pancia: una D! Eravamo arrivati a destinazione! Il generale non estrasse la sua chiave, ma mise un dito su un piccolo lettore di impronte sul muro. Questo analizzò il suo dito e appena ebbe finito si accese una luce verde. L’uomo spinse la porta e ci fece cenno di seguirlo “Entrate ragazzi.” Noi nascondemmo un sorriso e facemmo a testa bassa quello che ci aveva ordinato. Appena fummo dentro lui chiuse la porta “Va bene ragazzini, potete pure sedervi lì.” Guardai le tre poltrone bianche e confortevoli che stavano da una parte di una grossa scrivania di legno massiccio: era davvero lussuoso per essere un semplice ufficio! Dall’altra parte del tavolo c’era una sedia nera decorata con un dettaglio così particolare che sarebbe risultato strano persino ad Anubis: piume di falco. Su un piccolo mobile bianco c’era appoggiata una scatola nera a forma di cubo che sembrava tanto una cassaforte. Andersen fece sedere Juan sulla scrivania “Ecco qua giovanotto, vediamo di fare qualcosa per quella gamba.” Lui balbettò “La ringrazio molto signore, ma non mi serve il suo aiuto.” “Davvero?” “Si. Della semplice acqua ossigenata o un comune disinfettante non faranno proprio niente.”  Lui alzò un sopraciglio, aprì un cassetto e ne estrasse una conchiglia bianca molto bella che conteneva quelli che a me sembravano tanto dei semplici e inutili brillantini “E che ne dici di questa?” Il mio amico spalancò gli occhi “Polvere di stelle? Ma scusi lei come fa a sapere…” Lui sorrise “Nessun guerriero normale avrebbe mai potuto sconfiggere quella bestia, figuriamoci dei ragazzini! Dovete per forza essere dei mezzosangue.” Rimasi di stucco “Mi scusi, ma lei come fa a conoscere i mezzosangue?” Domandai. “Li conosco semplicemente perché anche io sono uno di loro.” Tese una mano verso di noi mentre con l’altra cominciava a spargere la polvere di stelle sulla gamba di Juan “Io sono il generale Ryan Andersen, figlio di Horus.” Sorrisi “Ah, ecco come mai le piume! Nella mitologia egizia Horus era rappresentato come un uomo dalla testa di falco.” “Precisamente. Quando ero piccolo mia madre mi spedì su Camp dicendomi che era un campeggio estivo. Lì incontrai Anubis e dopo pochi giorni venni riconosciuto da mio padre. Rimasi su quel pianeta fino alla maggior età, poi decisi di diventare un militare della federazione ed entrai a far parte della cerchia di scienziati e studiosi amici delle Energie.” Tirò su una manica della giacca per farci vedere il tatuaggio che rappresentava la bilancia, simbolo dei nostri genitori immortali. “In quegli anni conobbi una brillante e giovane astronoma di nome Daisy Johnson che somigliava in tutto e per tutto a te, così quanto ti ho vista ho pensato subito che tu fossi sua figlia o comunque una sua parente e quando hai detto di chiamarti Johnson di cognome non ho avuto più dubbi.” Spostò il suo sguardo sulla mia amica “Da giovane ho conosciuto anche l’archeologa Ariana Hamilton che suppongo sia imparentata con te.” Lei ammise “Si, è mia madre.” Andersen sorrise “Coraggio ragazzi, basta bugie, ditemi chi siete e cosa ci fate qui. Giuro che non vi farò niente.” Sospirai: forse quello ero l’unico modo per ottenere la mappa e salvare l’universo da Tom. Presi a parlare “Il mio nome è Alex Johnson, lei è Eleanor Hamilton figlia di Anubis e loro due sono Juan ed Alvaro, figli di Sehkmet. Anche noi veniamo da Camp e abbiamo sentito che lo scettro di Ra è stato rubato, così ci siamo messi in viaggio per cercarlo. Abbiamo trovato i primi tre pezzetti della mappa, ora ci manca solo l’ultimo. Pensavamo si trovasse nella stanza D del piano diciotto ma per uno stupido errore abbiamo scambiato quel numero per l’ottantuno e abbiamo accidentalmente liberato il coccodrillo. Ci spiace aver mentito, ma ero l’unico modo per salvare l’universo.” La buttai molto sul solenne. Andersen alzò un sopraciglio “So che lo scettro è stato rubato, ma non è compito di una squadra speciale andare a cercarlo?” “Si, ma per addestrarla Anubis ci avrebbe messo troppo tempo. Lo scettro è stato preso da qualcuno che ha intenzione di usarlo ad più presto, io lo so.” “Capisco. Una volta completata la mappa che cosa avete intenzione di fare?” “Beh, ovviamente andremo a prendere lo scettro affrontando chi l’ha rubato.” Lui sospirò “Ragazzi, nonostante voi abbiate ingannato sia me che Anubis e i sorveglianti su Camp, devo dire che siete delle persone molto nobili. Nessuno vi ha chiesto di mettere in pericolo la vostra vita, ma voi l’avete fatto ugualmente. È ammirevole, per quanto pazzo possa sembrare. Oltre a tutti i pericoli che avete dovuto affrontare avete anche dovuto rincorrere un coccodrillo gigante, quindi direi che ve lo siete meritati.” Juan domandò “Ci siamo meritati cosa?” Il generale terminò la fasciatura sulla sua gamba, si alzò e digitò qualcosa sullo sportello della cassaforte che teneva sul mobiletto. Questa si aprì e ci lasciò vedere quello che c’era dentro. Esclamai “L’ultimo pezzo della mappa!” “Precisamente.” Ele era sconvolta quanto me “E lei  che è un generale della federazione lo sta dando a noi? A noi?” Lui ci sorrise e sedette “Io sarò anche un generale, ma prima di tutto sono un mezzosangue e ho a cuore la salvezza dell’universo, non voglio che qualcuno possa metterlo in pericolo. In più ho avuto anche io la vostra età e so benissimo che avete l’argento vivo addosso e una gran voglia di mettervi in gioco. E’sempre stato difficile vedere i figli delle Energie andare d’accordo e vedere voi quattro fare squadra oggi mi fa pensare che siate delle persone speciali, fuori dal comune. Per tutto questo io vi consegno l’ultimo pezzo della mappa senza il minimo ripensamento.” Allungò la mano verso di me, io feci lo stesso e il tesoro tanto cercato cadde esattamente sul mio palmo. Sentii ancora quella forza dirompente dentro di me che lottava per uscire. Sospirai “E’incredibile la potenza che è nascosta dentro questo minuscolo pezzo di carta…” Andersen sorrise “In realtà dentro la mappa non c’è nessun tipo di potere, è semplicemente…carta.” Sgranai gli occhi “Com’è possibile?” Era impossibile, il generale doveva essersi sbagliato, quella semplice carta emanava una grandissima forza che mi accendeva come una lampadina ogni volta che la toccavo, ci aveva persino salvato su Albanem accecando le due guardie di Tom! Lui scosse la testa “Mi spiace ragazzina, ma questa è una semplice mappa, nient’altro.” Allora, se non era stata il pezzetto che stringevo tra le mani, cosa ci aveva aiutati contro i gendarmi quella sera? Eleanor mi riscosse dai miei pensieri “Dobbiamo assolutamente chiamare Ares.” Al annuì “Si, chissà dove si trova!” Passai il pezzetto della mappa a Juan ed estrassi la trasmittente da una delle tasche della mia felpa “Adesso lo scopriremo.” La accesi e parlai “Ares, mi ricevi?” La voce precisa e conosciuta del computer ci fece sorridere tutti “Ti sento forte e chiaro Alex.” “Hai riparato l’iperguida? Devi venirci a prendere, abbiamo trovato l’ultimo pezzo della mappa!” “In questo momento ho qualche problema. Appena vi ho depositati su Novenac sono andato a cercare l’officina di un meccanico che sapevo fosse molto bravo: Ken Jarvis.” Eleanor sbuffò “No, Ares, Ken è un amico di mio padre!” “Purtroppo lo sapevo, ma non avevo altra scelta: il mio sistema operativo è molto complicato e solo una persona altamente specializzata avrebbe potuto sistemarlo. Quando sono arrivato da lui ho avuto una brutta sorpresa: lì c’era Anubis, venuto a chiedergli se poteva localizzarmi. Appena mi ha visto mi ha chiesto dove ero stato e dove eravate voi ragazzi. Io gli ho detto che non ne sapevo niente ma lui sa benissimo che un X-10 può mentire e ha deciso di guardare i filmati delle mie telecamere di sicurezza. Io li ho cancellati tutti ma Ken Jarvis ha deciso di analizzare la mia scheda madre dove sono inseriti tutti i dati di tutti i sistemi e non si possono cancellare.” Ele domandò particolarmente irritata dalla precisione del computer “E quindi?” “Quindi è solo questione di tempo e tuo padre saprà dove vi trovate.” La mia amica sbatté un piede a terra “No, questo non deve succedere. Ci metterebbe tutti e quattro in punizione, non ci crederebbe sulla parola, farebbe analizzare i frammenti e otterrebbe un risultato solo dopo una settimana!” Esclamai “No, non ce l’abbiamo una settimana! Non possiamo assolutamente farci prendere da Anubis!” Juan alzò le sopraciglia “Ehi Alex, non scaldarti così. Noi non sappiamo quando il ladro ha intenzione di utilizzare lo scettro.” “Io invece si.” Giocherellai con un laccio di una scarpa “Quando ho perso i sensi dopo l’esplosione ho sognato il ladro e la sua complice che parlavano tra loro. Lei gli ha chiesto quando aveva intenzione di sferrare l’attacco finale e lui le ha risposto che lo voleva fare il 30, cioè domani, durante l’assemblea mensile delle Energie.” “Questa cosa potrebbe non avverarsi mai, i sogni dei mezzosangue non vanno mai presi alla lettera.” Eleanor si intromise “A meno che non si tratti di una visione. Molti elementi del sogno sono reali: lo scettro è stato veramente rubato da un uomo e le Energie fanno ogni fine mese un concilio per discutere sulle problematiche dell’universo.” Andersen, che se ne era rimasto zitto fino a quel momento, si alzò in piedi “Ragazzi, sono un mezzosangue più vecchio di voi e posso dirvi quasi sicuramente che quella che ha avuto Alex è una visione.” Juan per la prima volta non obiettò “Se è così cosa possiamo fare? Siamo senza nave e secondo questo bollettino meteo…” Indicò la piccola scritta olografica che veniva proiettata da una fessura della scrivania di Andersen “…fuori sta infuriando una delle tempeste peggiori di sempre.” Mormorai un’imprecazione sperando che il generale non la sentisse “Così non possiamo alzarci in volo con nessun tipo di mezzo.” Al decretò “Siamo bloccati qui.” Andersen ci guardò e alzò un dito come se si fosse ricordato improvvisamente di qualcosa “Forse so come aiutarvi…” Si mise a cercare disperatamente qualcosa in un cassetto. Ele mi domandò “Cosa sta facendo secondo te?” Alzai le spalle “Non lo so. Spero che possa aiutarci in qualche modo…” Non finii neppure la frase che lui mise la testa fuori dal cassetto e guardò la stupida palla che aveva in mano “Eccola qua!” La mia amica sbuffò “Ok, siamo spacciati!” Le diedi uno scappellotto e sorrisi in modo decisamente falso al generale “Che cos’è quella roba?” Juan alzò un sopraciglio “Una palla non ci aiuterà sicuramente ad uscire di qui.” Al figlio di Horus scappò da ridere “Mezzosangue…uno più diffidente dell’altro. Questa non è una palla, è una sfera magica. Il potere di mio padre è quello di guarire la gente in guerra, specialmente le persone che sono in punto di morte. Per arrivare subito dalla Grande Piramide al luogo dove si trovava il ferito Ra gli donò questa: una sfera in grado di teletrasportarlo ovunque lui volesse. Siccome adesso la situazione è abbastanza calma me l’ha donata. Quando me la diede mi disse che probabilmente io non l’avrei mai usata dato che il mio destino non era quello di compiere grandi imprese ma di fare in modo che altri le potessero realizzare e credo che adesso sia il momento giusto.” Me la sistemò tra le mani e ci sorrise “Avete intenzione di salvare l’universo, direi che questa è una cosa abbastanza grande, quindi ho deciso di dare la mia sfera a voi. Basta che diciate il nome del posto che volete raggiungere e lei vi porterà là.” Gli strinsi una mano “Grazie mille signor Andersen, il suo aiuto è stato veramente prezioso!” “Figuratevi, farei di tutto per dei figli di Energie come me.” Mi rivolsi al miei amici “Io direi che è il momento di sistemare l’ultimo pezzo della mappa.” Ele saltellò “Oh si, facciamolo!” Estrassi i pezzi di carta già congiunti e li stesi sulla scrivania. Ora avevamo per le mani un foglio di pergamena molto antica, di carta dorata, su cui c’erano disegnati i quadranti dell’universo in cui eravamo stati. Potevamo leggere in lettere argentate e scintillanti Erakon, dove eravamo quasi stati mangiati da una orribile sfinge e dove avevo rischiato di affogare, Albanem, dove eravamo stati picchiati, catturati e rinchiusi in una piccola prigione dalle guardie di Tom, e Iceberg, dove eravamo quasi saltati per aria e rischiato di venire nuovamente mangiati da un altro animale feroce. Decisi che avevamo rischiato la pelle decisamente troppe volte per i miei gusti e dissi “Ok. Siamo stati su Erakon, su Albanem e su Iceberg. Dove rischieremo di morire adesso?” Juan prese l’ultimo maledetto frammento e lo sistemò accanto agli altri “Direi che lo stiamo per scoprire.” Appena il pezzetto toccò i suoi fratelli la mappa prese a brillare come non aveva mai fatto prima, illuminando tutta la stanza di una luce dorata. Si alzò un vento che mi scompigliò i capelli e mi trasmise una grande forza, tutta la stanchezza che avevo accumulato in quei giorni se ne andò immediatamente. Riempii i polmoni e sorrisi: nonostante tutto quello che era successo ero veramente felice di trovarmi lì, non mi importava più niente delle volte in cui avevamo rischiato di morire e neppure di quelle in cui avevo temuto di non farcela. Eleanor ci guardò “Anche voi vi sentite magicamente più potenti?” Annuii “Assolutamente si!” Juan si mise diritto “Credo di sentirmi così bene da provare ad alzarmi in piedi!” Andersen commentò “Ra sa bene come tirare su di morale un mezzosangue…” “Oh, può dirlo forte!” Mentre la luce svaniva mi avvicinai alla mappa: ora la scia fatta di polvere di stelle brillava più di prima e da Iceberg attraversava almeno una decina di sistemi per arrivare fino ad un pianeta abbastanza piccolo e stranamente familiare, la successione di macchie sulla sua superficie mi ricordava qualcosa. Mi voltai verso i miei amici con uno strano presentimento “Questo pianeta non sarà mica quello che credo, vero?” La mia migliore amica capì quello che mi stava frullando nella testa “No, non può essere…” Juan ribatté “E invece credo che tu abbia proprio ragione Alex.” Indicò con un dito la scritta che era appena uscita accanto alla piccola palla sulla carta. I caratteri strani immediatamente presero la forma di lettere conosciute permettendomi di leggere “La Terra.” Sospirai. Ele scosse la testa “No, non è possibile, non può essere.” “Ma la mappa dice proprio così.” Lei mi guardò negli occhi “Alex, la Terra è il pianeta prescelto dalle Energie, loro possono vedere tutto quello che accade sulla sua superficie. Loro vedono anche il più piccolo dettaglio, credi che non si accorgerebbero della presenza di un oggetto importantissimo come lo scettro di Ra?” Ribattei “Ma se un’Energia stesse coprendo la zona dove si trova lo scettro? Ho letto sul libro che mi ha detto Juan che lo possono fare.” Il mio amico continuò “Hai ragione Alex. In tal caso sarebbe come se un telo  fosse stato messo sopra il posto dove si trova quello che stiamo cercando, le Energie non potrebbero vederlo neppure se volessero.” Ele annuì “Si, non vedo altra soluzione possibile.” Domandai “Con questo voi confermate la mia teoria?” Lo scetticissimo Juan rispose rassegnato “Dire proprio di si.” Al, che se ne era stato zitto fino a quel momento, si azzardò a fare la considerazione che nessuno voleva fare “Allora c’è un traditore tra le Energie.” Suo fratello rincarò “E molto probabilmente si tratta dello stesso che aizzò i mezzosangue contro i proprio genitori nella terza guerra mondiale.” Ele sbottò “Ma insomma, chi è questo idiota?” Scossi il capo gravemente “Non ne ho la minima idea. Credo, però, che si tratti di una delle Energie più potenti dato che è l’ultima volta è riuscita a passarla liscia.” Juan sospirò “Già. Proprio così.” Gli posai una mano su una spalla “Ma questa volta sarà diverso. Noi quattro abbiamo scoperto la verità e prima o poi qualcuno ci crederà.” “Ok, ma se questa Energia potentissima scoprisse che noi sappiamo della sua malvagità ci farebbe patire le pene dell’inferno!” “E noi le combatteremo. Finché staremo tutti assieme non dovremo avere paura di niente e di nessuno.” Devo ammettere che rimasi piuttosto colpita dalle mie parole, mai in tutta la mia vita avrei immaginato di dire una cosa simile! Solitamente erano gli altri ad incoraggiare me, non certo io gli altri, inoltre ero sempre da sola, quindi parlare al plurale mi sembrava una cosa eccezionale! Siccome la mia sorpresa doveva essere apparsa in modo decisamente evidente sulla mia faccia, Juan sorrise alzando un sopraciglio “Non pensavi di essere in grado di dire queste cose, eh?” Scoppiai a ridere e con tutta franchezza esclamai “Assolutamente no!” Ele mi scompigliò i capelli “Vedi quante cose hai imparato in pochi giorni? Tutto merito della Grande Eleanor!” Juan si batté una mano sulla fronte “Oh no, la sua autostima sta cominciando a risalire!” Al la guardò con occhi sognanti “Oh, si!”. Andersen ci stava guardando con un’espressione a metà tra il soddisfatto e l’orgoglioso “Vi giuro che non avevo mai visto in tutta la mia vita quattro mezzosangue fare squadra.” Feci un gesto con una mano “Oh, dai, che esagerazione!” “No ragazzi, sto dicendo la verità. Quello che ho davanti agli occhi è uno spettacolo meraviglioso, è qualcosa di veramente speciale.” Ringraziai lusingata “Grazie generale Andersen. Ora dobbiamo andare.” Lui annuì “Si, sarà meglio. Buona fortuna, spero che riusciate a ritrovare lo scettro di Ra.” “Grazie signore!” Strinsi la sfera che ci aveva dato tra le dita. Andersen disse una cosa in una lingua assurda che non avevo mai sentito prima ma che, non so assolutamente come, riuscii a capire. Non so esattamente come tradurla nella nostra lingua, sta di fatto che la sfera (come se le sfere potessero parlare) disse “Dove desiderate andare padrone Horus?” Lessi sulla mappa “Portaci alla caverna dei re.” Non ebbi neppure il tempo di finire la frase che lo scenario cambiò: il soffitto nero cominciò a svanire lasciando spazio al cielo azzurrino, rosa e arancione tipico di un tramonto, il pavimento venne sostituito da della terra secca, dura e marroncina, mentre l’aria si fece decisamente più calda e arida, ci gonfiò i capelli e i vestiti e alle nostre orecchie giunse il suono di uno stormo di uccelli che cantavano allegri. Mi guardai attorno: davanti a noi la terra si estendeva piatta fino alla linea dell’orizzonte al disotto della quale si stava tuffando il sole che sembrava una grossa palla rossa e fiammeggiante. Accanto a noi si ergeva una mastodontica altura fatta completamente di roccia che sulla sommità si allungava in quella che poteva essere vista in modo poetico come una mano che si stendeva per toccare il cielo, che però ad una persona estremamente concreta e insensibile come me sembrava ad una pista di atterraggio per astronavi. Comunque, nonostante il paesaggio fosse uno dei più belli che io avessi mai visto, non avevo alba di dove ci trovassimo. Domandai “Ma in che razza di posto siamo finiti?” Juan stava guardando con la bocca aperta la montagna vicino a noi “Ci troviamo nell’Africa centrale, in mezzo alla savana. Un sacco di secoli fa qui abitava una popolazione indigena che adorava Ra, loro lo chiamavano il dio-sole. I loro re venivano tutti incoronati da uno sciamano, una specie di scienziato-sacerdote, che li incoronava all’interno della grotta che si trova all’interno di questa montagna. Ecco come mai si chiama grotta dei re.” Indicò una piccola apertura nel massiccio alla nostra destra. Poi ci mostrò quella che a me sembrava la pista d’atterraggio “Una volta che il re era stato incoronato camminava su quella rupe per essere benedetto da Ra.” Eleanor sbuffò “Sicuramente ci troviamo nel posto giusto: Tom ha scelto la grotta dei re per autoincoronarsi re dell’universo. Accidenti, è più vanitoso di me!” Ribattei “No, la sua non è vanità, ma superbia. Crede di essere meglio delle Energie, è convito di essere invincibile ora che ha lo scettro di Ra.” Juan alzò su sopraciglio sedendosi su una roccia “Beh, non ha tutti i torti. Ha per le mani l’oggetto più potente che sia mai stato concepito.” Al continuò per il fratello “Potrebbe distruggere noi e tutto il mondo che conosciamo con un solo movimento della mano.” Ele per la prima volta nell’intera missione assunse un’espressione seria e grave “E dalla sua parte ha anche uno dei nostri genitori immortali…” Juan sospirò “Per la prima volta mi manca il coraggio.” “Non vorrei ammetterlo, ma manca anche a me, non riuscirei mai ad oltrepassare quell’apertura.” Al, suo malgrado, sorrise “Io non ho neppure paura di ammetterlo, tutti sapete che me la sto facendo sotto dal momento in cui siamo partiti!” Gemetti “Oh, ragazzi, mica vi vorrete arrendere adesso? Siete andati contro a pericoli molto più grossi di questo!” “Si, ma questa volta si tratta di affrontare un mezzosangue come noi, che ci ha insegnato a combattere e che conosce i nostri punti deboli. In più lui ha per le mani l’arma più potente dell’universo e come alleata un’Energia senza scrupoli, mentre noi siamo solamente in quattro e totalmente disarmati.” Il gemello più intelligente appoggiò la nuca sulla poderosa altura che si ergeva dietro di noi “Questa volta siamo spacciati, non abbiamo possibilità.” Li guardai bene mentre la luce rossa del tramonto li illuminava: erano seduti, per non dire stravaccati, accanto alla mastodontica montagna che ospitava le grotta e questo contrasto li faceva apparire ancora più piccoli e abbattuti. Vedevo nei loro occhi tutta la stanchezza accumulata durante il nostro viaggio diversamente tranquillo. Dopo tutti quello che avevano fatto credevano ancora di non riuscire a sconfiggere un nemico apparentemente invincibile che fino a poco tempo prima era un punto di riferimento. A loro questo ultimo ostacolo sembrava insormontabile. Eppure io sapevo che non era così. Nella mia vita avevo affrontato moltissime difficoltà e a prima vista avevo pensato di non farcela, invece poi me l’ero cavata sempre, più di una volta con più di qualche graffio, ma perlomeno ero ancora viva. Da quelle situazioni avevo capito che nulla era impossibile, l’importante era crederci veramente. Diedi uno sguardo al sole che stava sparendo dietro la linea incandescente dell’orizzonte: dovevo convincerli velocemente. Quando i miei occhi incontrarono la nostra stella, così amata e familiare, mi sentii invasa da una nuova forza, che somigliava a quella che mi aveva dato la mappa ma amplificata di cento volte. Mi sentivo talmente bene che avrei potuto sconfiggere un esercito tutto da sola (ok, ora sto esagerando). Puntai i piedi nella terra arida e misi le mani sui fianchi, facendo intuire ai miei amici che da lì non mi sarei schiodata “Ragazzi, so che questa ultima sfida non sarà per niente facile, anzi, molto probabilmente sarà difficilissima. Ma non potete dire di non aver fatto cose impossibili: abbiamo rubato la nave del signor Anubis e siamo scappati da Camp senza farci beccare da nessuno, siamo scampati dall’ira di una sfinge assassina senza neppure un graffio, abbiamo seminato la polizia e le guardie di Tom su Albanem, siamo sopravvissuti all’esplosione di una bomba e all’attacco micidiale del temutissimo coccodrillo del Nilo! E poi dite che non avete fatto cose impossibili! Ma vi rendete conto che abbiamo già toccato l’impossibile e siamo andati anche oltre? Avete detto di essere disarmati, giusto? Ora vi dimostrerò il contrario: tu Eleanor puoi teletrasportati ovunque tu voglia cogliendo qualsiasi nemico alla sprovvista e sapresti mettere K.O. chiunque con una sola occhiata.” La mia migliore amica allargò la bocca in un sorriso e i suoi occhi si accesero di quella luce maliziosa che mi aveva fatto capire che lei sarebbe stata dalla mia parte. Siccome il mio assurdo discorso stava avendo esito positivo continuai “E voi due, Juan ed Alvaro, dentro di voi c’è una potenza distruttiva e dirompente, che farebbe tremare di paura qualunque avversario. Vi ho visto con i miei occhi sbriciolare una lastra di pietra pesante come questa montagna e spostare un pannello del pavimento di Ares con un dito solo senza il minimo sforzo!” I due gemelli sorrisero a loro volta, contagiati dalla stessa forza che scorreva in me. Presi le mani di Ele “Voi tre ragazzi siete i mezzosangue più potenti che io abbia mai conosciuto, ciascuno di voi ha dei poteri che personalmente invidio moltissimo. Potreste prendere un mondo da soli, ma solo se vi metteste assieme riuscireste a conquistare l’interno universo. E’la vostra unione che vi rende invincibili, non la vostra singola bravura. Mia madre mi diceva sempre che non sono i poteri che fanno l’eroe, ma io non le credevo. Oggi invece posso dire con franchezza che aveva ragione. Io ho bisogno di voi per sconfiggere Tom e riprendere lo scettro, non ce la farò mai da sola. Tuttavia spetta a voi decidere se accettare questa sfida oppure no. Nel caso voi decideste di rinunciate non potrete costringermi a venire con voi: l’idea di andare a recuperare lo scettro è stata mia e quindi voglio arrivare fino in fondo, non mi fermerò a pochi metri dal traguardo e non sono mai stata sicura di questo come adesso. Vi faccio la stessa domanda che vi ho fatto su Camp quel giorno: allora, cosa mi dite?” Juan prese parola. Nei suoi occhi potevo vedere la stessa luce sincera e coraggiosa di quanto avevamo chiuso fuori dalla nostra astronave Eleanor e suo fratello “Devo ammetterlo Alex, quando ho accettato la missione non avevo nessuna fiducia in te, pensavo che tu non fossi assolutamente una mezzosangue dato che non avevi neanche lo straccio di un potere. Ma poi tu ci hai tirato fuori da situazioni assurde solo utilizzando la tua mente e, ancora non so come, ci hai fatto andate d’accordo. Lì ho capito che nessun umano ci sarebbe riuscito e quindi ho dovuto accettare una verità che non mi piaceva: tu eri una mezzosangue e con i fiocchi direi. Considerando tutto quello che hai fatto tu per me e quello che ho fatto io per te mi sento in  dovere di dirti si di nuovo, ma veramente questa volta.” Ele sorrise e così Alvaro “Anche io.”. Ero veramente commossa dalle loro parole, mai in tutta la mia vita avrei immaginato di avere degli amici così speciali “Grazie ragazzi!” Fu l’unica cosa che riuscii a mormorare. Loro si alzarono in piedi e tutti e quattro ci schierammo davanti all’apertura: sapevamo che una volta entrati là dentro nulla sarebbe stato come prima, che in quel momento stavamo decidendo le sorti dell’universo e molto probabilmente avevamo fatto il passo più lungo della gamba, ma eravamo anche certi che se fossimo caduti lo avremo fatto insieme. Ele disse “E’iniziata insieme…” Terminai “…E finirà insieme.” Facemmo un passo in avanti e ci facemmo avvolgere dall’oscurità. Davanti a noi c’era una scala a chiocciola illuminata da delle torce sistemate sulle pareti. I gradini erano piccoli e usurati così pensai che per quella scala dovevano essere saliti moltissimi re per averla ridotta così, ma poi realizzai che doveva avere più o meno tre o quattro millenni e mi diedi della stupida. Comunque non diedi troppo peso alla mia stupidità e cominciai a salire strisciando una mano lungo il corridoio. Dalla quantità di ragnatele che lo intasavano quel posto non doveva essere molto frequentato, insomma, una misteriosa grotta nascosta nella savana africana non è il tipo di posto che piace ai turisti! Pian piano che salivamo sentivamo strani rumori sempre più forti che facevano sobbalzare Alvaro. Sembrava che alla fine della scalinata ci fosse un esercito ad aspettarci da tanto casino sentivamo! Questa non era affatto una buona cosa: noi eravamo solo in quattro ed eravamo dei ragazzini, non avremmo mai potuto competere contro tante persone adulte. Nonostante le mie gambe si facessero più molli ad ogni gradini ero più che decisa ad arrivare fino in fondo a quella assurda missione. Per la prima volta in vita mia la mia determinazione era superiore alla fifa, ero decisamente impressionata dai progressi che avevo fatto in pochi giorni! Forse mio padre avrebbe capito che non ero una fallita totale e mi avrebbe riconosciuta! Quella si che sarebbe stata la miglior ricompensa del mondo, anzi dell’universo! Starete sicuramente pensando che per aver formulato tutti questi controversi pensieri la scala dovesse essere molto lunga. Credete bene, perché lo era! Probabilmente Tom aveva deciso di sistemare lì il suo covo perché qualsiasi nemico sarebbe arrivato con un bel fiatone! Al gemette appoggiandosi ad una parete “Ragazzi, quanto manca?” Risposi “Poco, stai tranquillo.” Tuttavia speravo che ci fossero ancora mille rampe di scale: non ero assolutamente pronta spiritualmente ad affrontare qualcuno che aveva per le mani lo scettro di Ra. Dato che io sono molto fortunata, appena svoltai l’ultima curva fatta dalla scala a chiocciola mi ritrovai faccia a faccia con una tenda rossa. Era una tela molto pregiata, sembrava quasi seta, non era assolutamente degna del cesso di posto dove era stata collocata. Ele la toccò e commentò “Siamo sicuramente nel posto giusto, questa è degna di un re.” Annuii “Tom è già entrato nella parte. Come siete con il fiato?” Juan rispose facendo un gran respiro “Abbastanza bene.” Al si lagnò “Saranno stati almeno un milione di gradini!” “No, sono solo cinquecento.” Suo fratello di voltò verso di me alquanto irritato “E come diamine fai a saperlo?” Indicai un’incisione su una parete “C’è scritto qui: “Ora, oh re, dopo aver salito i cinquecento gradini della saggezza, sei pronto a mostrarti al tuo popolo e a ricevere la benedizione del dio-sole Ra” Ele annuì “E’scritto in lingua antica, molto probabilmente il fondatore del popolo che compiva i suoi rituali qui doveva essere un mezzosangue.” Sorrisi, nonostante stessi andando pressoché a morire “Dopo aver salito i gradini della saggezza siamo pronti ad essere benedetti da Ra?” Al alzò le sopraciglia “Beh, insomma…” Il gemello gli diede una gomitata nelle costole “Ci puoi scommettere Alex, andiamo.” Strinsi lo zaino che portavo in spalla, afferrai un lembo della tenda, tirai un grosso sospiro e la spalancai.    CAPITOLO 6I MIEI AMICI TEMONO CHE IO RIMANGA CARBONIZZATAQuello che c’era dall’altra parte dell’elegante tenda rossa mi lasciò senza fiato e la mia mandibola cadde tranquillamente fino ai miei piedi senza più la forza di combattere contro la forza di gravità. Ci trovavamo nella stessa grotta che avevo sognato, che nella realtà era decisamente più grande e disposta su due livelli collegati attraverso una scaletta di corda. Molte stalattiti e stalagmiti si incontravano a formare delle colonne grosse come noi quattro e il signor Anubis messi assieme, cosa che rendevano la cripta decisamente solida, sembrava un palazzo più che un anfratto naturale. Il tutto non era illuminato da torce come il corridoio della scala ma la luce entrava da una grossa apertura sulla sinistra, che dava sull’antica rupe, che a me sembrava sempre di più una pista di atterraggio, e faceva brillare la grande quantità d’oro che era ammassata all’interno. Non avevo mai visto così tanti oggetti di valore riuniti nella stessa stanza: c’erano calici placcati, corone e collane con incastonati rubini, smeraldi, zaffiri e topazi, tappeti pregiatissimi e tante, tantissime armi: archi, frecce, lance, spade, sciabole, asce, mazze chiodate a tanto altro ancora! Più o meno al centro della parte bassa della grotta era sistemato un trono foderato di tela rossa e contornato d’oro. Seduto o meglio stravaccato sopra c’era Tom, con le caviglie incrociate, la testa poggiata su un bracciolo mentre stava esaminando una coppa, vi lascio immaginare il materiale da cui era composta. Poco lontano da lui con un diadema in testa c’era una ragazza mora e abbastanza bassa che stringeva in una mano una lancia. La riconobbi immediatamente e rimasi abbastanza scioccata dalla sua identità “Quella stupida di Adele! Dovevo immaginarlo!” Ringhiò Eleanor. Juan sussurrò “Ho sempre pensato che Adele fosse perfida, ma non immaginavo fino a questo punto!” Io annuì gravemente e mi diedi della stupida mille volte: avrei dovuto riconoscere la voce nel sogno! Accanto a lei un uomo grande grosso stava depositando altri oggetti. Appena si voltò quasi mi colse un infarto: era Albert Rambo, l’insegnate di combattimento su Camp! Sgranai gli occhi “Rambo? Rambo sta con Tom?” I miei amici erano scioccati quanto me “Questo non me lo sarei mai aspettato.” In quel momento Adele esclamò “Tesoro, come sto con la corona di Iside?” “Fai davvero schifo!” Lei si voltò verso di noi inviperita: certamente non si immaginava la nostra visita! Esclamò “Eleanor, certo che tu sei veramente ovunque!” Tom poggiò la roba che teneva in mano e si raddrizzò sul trono “Bene, bene, bene. Ma guarda un po’ chi è venuto a trovarmi: Alex Johnson e la sua banda di santarellini. Vedo che i miei sforzi per annientarvi non sono serviti e con questo posso affermare che i miei collaboratori sono degli incompetenti. Ah, io l’ho sempre detto: se vuoi fare bene una cosa devi farla da solo.” Guardò tutti gli oggetti che aveva attorno “Infatti la mia caverna è decisamente ben fornita.” Juan domandò “Dove hai preso tutto questo?” “Quando sono entrato nella Grande Piramide non ho preso solo lo scettro ma ho fatto le cose in grande. C’è un sacco di roba interessante che quelle idiote delle Energie non usano da millenni!” Prese in mano un’asta nera accanto a lui che aveva attaccato un pezzetto di carta con scritto “Proprietà di Anubis, si prega gentilmente gli eventuali ladri di non toccarla.” “Lo sapevate che il nostro caro Anubis possedeva questa? Io scommetto che non se lo ricorda neppure lui!” Prese la mira e la tirò contro un’anfora di terracotta colorata di verde. Appena la punta della lancia la sfiorò questa si dissolse in una nuvoletta nera. Tom alzò le spalle “Carina, no? Ci sono molti altri oggetti simili a questa ma sono solo degli inutili gingilli.” Dato che più parlava più provavo disgusto per lui dissi “Oltre che un traditore adesso sei anche un ladro.” Lui sorrise, ma non era il suo solito sorriso, era qualcosa di più malvagio e crudele “Oh Alex, anche se per te e i tuoi amichetti può sembrare una novità io sono sempre stato un ladro, ma mai un traditore.” Eleanor ribatté decisamente arrabbiata “Come osi dire che tu non sei un traditore? Hai deciso di derubare i nostri genitori della cosa più importante dell’universo solo per esaudire i tuoi capricci! Noi ci fidavamo di te Tom, eri il nostro paladino, il nostro capo! Io non ti riconosco più.” “Tesoro mio, tu e i tuoi stupidi amici mezzosangue non mi avete mai conosciuto per davvero! Ho sempre recitato la parte dell’angelo per compiacere Anubis mentre in realtà stavo progettando la mia vendetta contro le Energie.” La sua voce si fece più tagliente e spietata, molto più simile a quella che avevo sentito nei miei sogni “Loro sono i veri traditori: prima ci hanno creati e poi ci hanno esiliati su quel maledetto pianeta per il resto dei nostri giorni! Voi non volete forse una vita migliore?” Si protese verso di noi con il corpo “Eleanor, non vuoi diventare la più famosa combattente dell’universo? Credi di poter esaudire il tuo desiderio stando confinata su Camp? Tu Juan, non ti piacerebbe vendicarti di tutti i torti che ti ha fatto tua madre? Ha abbandonato te, tuo fratello e tuo padre, privandoti di un’infanzia felice. Se fossi in te mi unirei a me per distruggerla.” Poi mi guardò negli occhi: i suoi erano neri e grandi come la prima volta che l’aveva visto, ma ora avevano una luce crudele, spietata, addirittura matta e fanatica come quella che c’è negli occhi di un assassino “E tu Alex? Credi che tuo padre ti riconoscerà mai? Tu speri di si, ma io posso tranquillamente dirti di no. Nel cuore delle Energie non hanno posto le persone imbranate o bonarie e nemmeno quelle che non hanno capito qual è il loro posto nel mondo. So perfettamente che tu non sai dire di no a nessuno Alex, quindi adesso non dire di no a me. Ragazzi, seguitemi e avrete quello che volete.” Adele si avvicinò al suo ragazzo “Ha ragione pivellini, io l’ho seguito e adesso ho tutto quello che desidero.” Penserete che seguire Tom fosse per me l’unica possibilità di realizzare i miei più tormentati desideri ma in quel momento avrei preferito ammazzarmi che allearmi con lui. Io ero una mezzosangue, sacrificare la vita di tutte le persone che vivevano nell’universo per soddisfare un mio capriccio era a dir poco scandaloso e vomitevole! La sete di potere aveva completamente corrotto l’anima di quel ragazzo, il Tom buono e gentile che i miei amici amavano tanto non esisteva più. Ele si asciugò una lacrima e mormorò “Io non ti riconosco più…” Alvaro era davvero spaventato “Sei cattivo, no anzi, sei pazzo!” Juan scosse la testa, disarmato “Tom, che cosa sei diventato?” Lui rispose insistentemente “Ragazzi, sono sempre io, il vostro “capo”!” Gridai “No, tu non sei più il Tom che conoscevamo, hai venduto la tua anima a qualcuno di malvagio pur di governare l’universo e hai condannato tutti i suoi abitanti a morte certa! Hai tentato di ucciderci e ora vuoi farci credere che ci aiuterai? Sei un bugiardo!” Lui si fece più minaccioso “Non ti permetto di mancarmi di rispetto così. Vi do la mia parola d’onore che se vi schiererete con me io non vi torcerò neanche un capello.” A questo punto ero talmente indignata da non potermi neppure esprimere “La tua parola d’onore? Tu non sai neppure cosa sia l’onore, TU SEI UN MOSTRO!” Afferrai un calice che giaceva ai miei piedi e lo gettai con forza verso di lui. Lui sbatté una mano sul quadrante dell’orologio che portava al polso e questo si trasformò in uno scudo circolare di ferro con disegnato un serpente con le fauci spalancate. Il bicchiere ci andò a sbattere contro senza scalfirlo neppure per sbaglio. Sul momento mi era sembrata una mossa abbastanza intelligente, dopo una rapida cosa che poteva sembrare un ragionamento decretai che ero stata decisamente stupida. Infatti Tom si mise a ridere “Vedo che il coraggio che vi ha fatti partire per questa assurda missione non è stato consumato del tutto, ma non illudetevi, non basterà a salvarvi. Sarete anche sopravvissuti alle guardie, ma state sicuri che io non sarò così clemente.” Ele alzò un sopraciglio “Ma scusa, non ci volevo come alleati un secondo fa?” “Ho interpretato il calice della tua stupida amica Alex come un no. Se non siete d’accordo con me vuol dire che siete miei nemici e come tali andate distrutti.” Juan ribatté “Solo i malati di mente non ammettono vie di mezzo.” Tom sorrise “E soltanto gli sprovveduti si presentano davanti ad un nemico disarmati. Tesoro, chiamala!” Adele annuì e soffiò in un fischietto che portava appeso al collo. Per quanto mi riguarda non sentii alcun suono, sta di fatto che in meno di due secondi la peggiore bestia che avessi ma visto, e diciamo che avevo una discreta esperienza, saltò sulla rupe ed entrò nella grotta: il corpo era quello di una tigre con il mantello arancione striato di nero e le zampe davanti munite di artigli che avrebbero fatto passare quelli della sfinge per piccoli, quelle dietro invece erano simili a quelle di un cavallo con grossi zoccoli ferrati, la coda terminava con un grosso pungiglione da scorpione mentre la testa era come quella di un leone dotata di una lunga criniera e di zanne lunghe più o meno quanto me da cui colava bava e pezzetti del suo ultimo pasto. Il risultato era vomitevole e spaventoso allo stesso tempo: vomitoso! Eleanor sbiancò e mi posò una mano su una spalla “Che cos’è quello?” La sua acerrima nemica accarezzò il mostro “Questa, cara Eleanor, è Sweety, il mio animaletto domestico. E’ l’incrocio tra una tigre e una chimera. Non è bellissima?” Tom annuì “Non solo bellissima, è anche molto letale. Il veleno della sua coda può uccidere in meno di un minuto e le sue zanne sbriciolano anche le ossa. Il suo cibo preferito sono le antilopi, le zebre, i leoni e i mezzosangue impertinenti.” Come a sottolineare le sue parole Sweety ruggì, facendomi tremare le ginocchia neppure fossero fatte di burro fuso! Siccome anche i miei amici erano rimasti piacevolmente colpiti dal nuovo animaletto da compagnia della coppia cominciammo ad arretrare con calma, giusto per toglierci dal raggio d’azione del suo fetido alito dato che la bestia avrebbe certamente mangiato chiunque avesse tentato di lavarle i denti. Non andammo molto lontano perché cozzammo contro qualcosa di duro: Rambo era dietro di noi e ci stava insidiando con due spade decisamente troppo affilate per i miei gusti “Dove pensate di andare ragazzini? Siete disarmati e senza corazza, ancora un passo e diventerete degli spiedini.” I miei amici mi guardarono, ma io non suggerii nessun piano: questa volta avevano vinto loro, ci avevano accerchiati e sconfitti. Non volevo rischiare che nessuno dei miei migliori amici perdesse la vita, così abbassai il capo senza più sapere che fare. Tom scoppiò a ridere “Come siete ingenui, pensavate veramente di avere una possibilità contro di me? C’è un perché se sono riuscito a beffare anche le Energie!” Il nostro ex insegnante estrasse dalle tasche delle manette afferrandomi per i polsi “Vieni qui, sciocca ragazzina!” Io lo strattonai e mi divincolai “Toglimi le tue luride manacce di dosso, brutto traditore che non sei altro! Finché avrò respiro combatterò contro di voi!” Adele diede una pacca a Sweety che con uno scatto si avvicinò a Juan e aprì la sua orribile bocca. Appena mi accorsi di quello che voleva fare esclamai “No, fermo!” Tom si mise una mano su un fianco “Ah, allora ci tieni ai tuoi amici.” Ammisi “Per me sono la cosa più importante dell’universo. Non fare del male a loro, vendicati su di me.” Juan ribatté “No Alex, non farlo!” “Oh, che cosa dolce, non avevo mai visto un mezzosangue dare la sua vita in cambio di quella dei suoi compagni. Juan aveva ragione su di te Alex, tu non sei una mezzosangue.” Il peso che sentivo sul cuore si faceva sempre più pesante ad ogni parola di quel maledetto “Io risparmierò i tuoi amici se tu ti comporterai bene. Ora, indossa le manette, per favore.” Ele scosse la testa “Alex non farlo! Non ascoltarlo!” Non potevo assolutamente lasciare che i miei amici fossero nelle mani di Tom, così abbassai il capo “D’accordo.” Allungai le braccia e Rambo mi sistemò le manette. Erano ghiacciate e decisamente troppo larghe per i  miei polsi ossuti, avrei tranquillamente potuto sfilarmele. Adele disse “Io te l’avevo detto di rubare le paia più piccole dopo quello che ci aveva riferito la sfinge, ma tu non mi hai voluto ascoltare!” Tom rispose “Si tesoro, avevi ragione tu.” “Grazie, ma adesso come farai? Senza le manette elimina-poteri Eleanor potrà teletrasportarsi ovunque e io non posso mettere Sweety di guardia tutto il giorno!” Lui ragionò un attimo e poi indicò qualcosa che stava nella parte superiore della grotta “Li legheremo alla statua di Anubis, quella è fatta in basalto di Andromeda che non può essere teletrasportato.” Poi sorrise rivolto a noi “Quella scappatina nella Grande Piramide è stata proprio utile!” La sua ragazza lanciò un grosso gomitolo di corda ad Albert “Legali stretti alla statua, non vorrei che scappassero e dovessero affrontare l’ira della mia dolce Sweety.” Fece un grattino sotto il mento di quell’orrenda bestia che, non sto scherzando, fece le fusa. Il nostro ex insegnante di combattimento ci spintonò con la spada fino alla scala a pioli e ci costrinse a salire nella parte rialzata della caverna. Eleanor mi sussurrò mentre Alvaro scalava la parete sotto lo sguardo feroce dell’animaletto della malvagia coppia “Che facciamo adesso?” Risposi “Non lo so, per la prima volta in vita mia sono senza idee.” “No Alex, non ti devi abbattete. Sono sicurissima che ti verrà in mente qualcosa. Tu però non devi mollare, devi continuare a ragionare, quest’ultimo ostacolo non è tanto più difficile degli altri, basta solo che tu metta in moto il cervello. Io conto su di te, io mi fido della mia migliore amica.” “Credo proprio che tu di sbagli, io non riporrei così tanta fiducia in me stessa, ti ricordo che sono un’imbranata.” “No Alex, tu credi di essere un’imbranata, ne sei così convinta che ti comporti come tale e di conseguenza anche gli altri, come ad esempio Tom e Adele, lo pensano. Però chi ti consce bene sa che dietro quest’apparente goffaggine e una bella dose di iella si nasconde una persona ingegnosa, capace di cose veramente gradi. Io l’ho capito, quello scetticone di Juan l’ha capito e persino quell’idiota di Alvaro, l’unica che non se ne è resa conto sei proprio tu.” “Dici davvero?” “Certo che dico davvero! Credi che mi metterei a dirti una bugia proprio adesso?” Scossi la testa “No, certo, scusami.” Rambo ci zittì “Tacete! Salite la scala, non ho tutto il giorno!” Spintonando un po’Alvaro riuscimmo ad arrivare in cima: la parte sopraelevata della grotta era ancora più piena di tesori di quella bassa, non c’era neppure lo spazio per camminare! In centro troneggiava una statua completamente nera di Anubis con la testa da sciacallo di dimensioni apocalittiche, lui arrivava tranquillamente fino al soffitto e sbatteva le orecchiette sulla pietra. L’insegnate disse “Bene ragazzini, seduti.” Juan gli rispose “Io non prenderò mai più ordini da te, sei un brutto traditore!” Lui per tutta risposta gli pestò il piede ferito “Ho sempre pensato che tu ti sopravvalutassi Juan e ora te lo posso dire apertamente”. Il mio amico lanciò un urlo disperato e stramazzò a terra. Alvaro si dimenò “Fratellino! Stai bene?” Rambo lo strattonò “Zitto! Non voglio sentire più una parola!” Guardai la scena e un certo calore cominciò a salirmi dallo stomaco fino alla testa: le parole di Eleanor avevano fatto effetto, il coraggio cominciava a tornarmi. Dissi “Lascia stare Alvaro, si è solo preoccupato per suo fratello.” Lui mi guardò in cagnesco “Chi sei tu per dirmi quello che posso o non posso fare?” Lo guardai con orgoglio e scandii bene le parole “Io sono Alex Johnson.” Dato che quell’idiota non era capace di formulare una risposta alla mia provocazione mi tirò una sberla che mi voltò la testa dall’altra parte facendomi cadere a terra “Chiudi la bocca ragazzina. Stai cominciando a diventare più impertinente dei tuoi amici.” Mi prese per i polsi, mi tirò le braccia così forte che credetti che mi si sarebbero scardinate le spalle, e mi legò in modo da abbracciare la statua appoggiandoci la schiena contro. Ripeté la stessa operazione anche con Ele e i due gemelli, poi si inchinò verso Tom che nel frattempo ci aveva raggiunti “Signore, ho terminato con i prigionieri.” L’altro rispose “Ottimo lavoro Rambo, puoi andare.” “Grazie signore.” Si congedò e scese la scaletta, decisamente troppo fragile per la sua corporatura massiccia, cosa che lo faceva assomigliare ad un orso del circo su un monociclo. Dato che sul mio viso era apparsa una specie di sorriso Tom assunse un’aria minacciosa “Bene, bene, bene, alla fine tutti i miei sforzi sono stati ricompensati: vi ho catturati tutti e quattro.” Ele domandò “Che cos’hai intenzione di fare di noi? Vuoi ucciderci?” Lui rise “Oh no, concedervi il sollievo della morte sarebbe troppo gentile da parte mia. Voi mi avete messo i bastoni tra le ruote e siete quasi riusciti a spifferare il mio piano a quelle stupide delle Energie, meritate una punizione esemplare.” Ci indicò l’apertura nella roccia “Quando il sole sorgerà nuovamente voi avrete un posto in prima fila per assistere alla fine del mondo che conoscete. Vedrete morire i vostri genitori mortali e anche quelli immortali, vedrete collassare la Terra, i pianeti, le stelle e vedrete nascere un nuovo universo del quale io sarò il solo ed unico padrone. Questa spada…” Toccò l’elsa a forma di serpente arrotolato che usciva dal fodero che aveva appeso alla cintura “…è stata costruita appositamente per riflettere la potenza dello scettro di Ra per distruggere tutte e quattro le dorsali universali e le Energie con un unico solo rapido colpo. L’umanità capirà che è arrivato il giorno del giudizio, andrà completamente nel panico ed è in quel momento che io mi presenterò: mostrerà loro lo scettro spiegando che è l’unico oggetto al mondo che può salvare le loro vite, ma in cambio dell’incolumità loro dovranno sottomettersi a me. Dato che gli umani non pensano ad altro che alla loro salvezza personale diranno di si ed io sarò il signore incontrastato dell’universo per sempre.” Si sfregò le mani “Preparatevi ragazzi, domani sarà l’alba di un nuovo giorno. L’era delle Energie finalmente volgerà al termine, non ci sarà mai più dolore e mai più sofferenza, nessuno dovrà mai più aspettare i loro comodi.” Quello che stava dicendo era assolutamente assurdo, per me Tom era diventato pazzo, così ribattei “Nessuno dovrà aspettare più i loro comodi perché tutti dovranno sottomettersi ai tuoi! Tu non vuoi governare la galassia meglio di loro, vuoi solo toglierle di mezzo! Tu non vuoi estirpare il dolore e la sofferenza dalla galassia, vuoi solamente fare in modo di non essere più tu a soffrire!” “Proprio così Alex, hai capito perfettamente quello che voglio dire.” Gridai indignata “Tu non sei umano, non hai una coscienza!” “Ne sei sicura? Non è forse quello che vuoi anche tu? Anche se tu non ci credi io e te non siamo poi così differenti. Siamo entrambi molto intelligenti, eccezionali schermitori e i nostri genitori ci hanno abbandonati.” Scossi la testa “Io non potrei mai essere felice se gli altri soffrono. Potremmo anche essere simili, ma in una cosa siamo totalmente differenti: tu trai il tuo potere solo da te stesso io invece lo traggo dai miei amici. Puoi essere forte quanto vuoi, ma prima o poi la tua sorgente si prosciugherà mentre la mia no. Forse oggi tu vincerai una battaglia ma saremo i miei amici ed io vincere la guerra.” Tom rise “Sai Alex, non ti facevo così poetica. Tu e i tuoi amici siete solo dei piccolo scarafaggi e io vi schiaccerò quanto più ne avrò voglia.” Detto ciò si voltò e cominciò a scendere la scala. Cercava di non darlo a vedere ma io potevo tranquillamente intuire dai suoi movimento secchi e violenti che le mie parole lo avevano turbato. Juan sospirò “Bel discorso Alex, ma credo che tu l’abbia fatto arrabbiare ancora di più.” Sorrisi “Non volevo convincerlo a liberarci, volevo solamente distrarlo un po’ per avere la possibilità di escogitare un piano.” Ele sorrise “Grande Alex! Ti è venuto in mente qualcosa?” Annuii “Vedete quella specie di tappeto viola?” “Si?” “Ok, c’è una targhetta o qualcosa del genere con scritto “Non toccare, armi pericolose”. Se riuscissimo a prenderle potremmo affrontare Tom, i suoi e quella maledetta bestia.” Juan ribattè “Ma se c’è scritto che sono pericolose ci sarà un motivo, no?” Eleanor tagliò corto “Vuoi essere mangiato da Sweety oppure no?” “Certo che no!” “Bene, allora non lamentarti!” Lui le fece il verso e lei gli tirò un calcio. Al interruppe sul nascere il loro litigio “Ragazzi, ma come facciamo a liberarci dalle corde?” Gli sorrisi “Quando stavamo salendo la scala ho nascosto il mio coltellino fortunato, che tenevo nei passanti della cintura, nella manica.” Juan mi interruppe “Ma come diamine ha fatto a non caderti?” Risposi cominciando a tirare la manica della mia felpa “Hai mai fatto il gioco della moneta?” Il “Eh?!” dei miei amici arrivò in contemporanea e mi fece intuire che non avevano alba di quello che avevo appena detto. Cominciai a spiegare “E’ un trucchetto di magia che facevo sempre per i bambini che venivano all’Admiral: metti una moneta nella mano e senza farti vedere la fai scendere nella manica della giacca, poi porti il braccio dietro l’orecchio del bimbo, fai uscire la monetina e fai finta di avergliela estratta dall’orecchia, proprio così.” Diedi un forte strattone e il mio coltello cadde nella palma della mia mano aperta. Ele sorrise “Non so se questo piace agli umani, ma ti posso assicurare che fa impazzire i mezzosangue!” Con confermare le sue parole Al sorrise saltellando sul posto “Dai Alex, fallo di nuovo.” Sorrisi mentre facevo scattare la lama “Te lo rifarò quando avremo sconfitto Tom e recuperato lo scettro.” Armeggiai un po’ con le corde, segandole un po’ a caso se devo essere sincera, fino a quando non fui in grado di muovere le mani. Soffocai un grido “Ce l’ho fatta, sono libera!” Juan si dimenò “Ma cosa stai aspettando? Un invito ufficiale? Tiraci fuori da qui!” Sbuffai, pensando che quel ragazzo doveva lavorare davvero tanto sulla sua pazienza, e cominciai a tagliare anche i legacci dei miei amici. Devo ammettere che fu piuttosto complicato dato che loro non stavano fermi un attimo e io avevo paura di tagliarli le mani. Dopo aver sudato sette camicie i miei amici erano liberi di muoversi nuovamente. Ele sorrise massaggiandosi i polsi “Ah, che bello essere liberi! Rambo mi aveva legato così stretta che non mi passava più il sangue nelle mani.” Si mosse verso il tappeto viola e ci guardò dentro “Però, hai buon gusto in fatto di armi, Alex!” Estrasse una lancia piuttosto lunga, tutta completamente nera e lucida che terminava con una punta sottile ma molto affilata. Circa a livello delle dita della mia migliore amica c’era un piccolo pulsante. Domandai “E quello che fa?” “Non ne sono sicura al cento per cento…” Lo spinse e una saetta bianca uscì dalla sua punta. Ele sgranò gli occhi e biascicò “Credo di essermi appena innamorata per la prima volta…” Juan sorrise a trentadue denti “Io so che arma è: si tratta della lancia elettrica di Anubis, quella che usò per combattere nella terza guerra mondiale. E’ un’arma a dir poco leggendaria, non credevo che esistesse veramente!” Eleanor alzò e sopraciglia “Siamo una coppia favolosa: due leggendarie che combattono assieme!” Sorrisi, felice che l’autostima della mia amica stesse tornando alle stelle, poi un’esclamazione di Alvaro mi fece voltare di nuovo verso il tappeto “Ragazzi, ho trovato l’ascia più bella dell’universo!” E aveva ragione: tra le due mani c’era un’ascia a doppio taglio con le due lame scintillanti e taglientissime e il manico completamente ricoperto d’argento con disegnate due crepe nere. Il gemello di Juan la passò di mano in mano due o tre volte “Cavoli, è perfetta. È leggerissima ma sono sicuro che può vibrare colpi micidiali con queste due lame!” Poi tuffò di nuovo un braccio dentro il tappeto arrotolato e ne estrasse qualcosa “Guarda Juan, questo pugnale sarebbe perfetto per te!” Il fratello appena lo vide storse il naso, ma io non riuscii a capacitarmi del perché: era una delle armi più belle che avessi mai visto: il manico e la lama avevano quasi la stessa misura, cosa molto poco consueta, e l’ultima era fatta di acciaio splendente e perfettamente levigato, sembrava quasi che nessuno l’avesse mai utilizzato. Sul manico di color marrone scuro erano incastonati delle piccole perle preziose che identificai come rubini. Gli chiesi “Come mai non ti piace?” “No, ti sbagli, mi piace.” Replicai “Hai fatto una faccia quando l’hai visto…” Lui sbuffò “Questa è un’arma bellissima e sicuramente anche molto buona, meno bella è la persona a cui appartiene.” “E’ di tua madre, non è vero?” Ormai avevo capito che aveva un rapporto decisamente conflittuale con il suo genitore immortale. Lui annuì “Proprio così. Non mi piace avere a che fare con Sehkmet, ne tantomeno con i suoi oggetti personali.” Annuii e presi il pugnale dalle mani di suo fratello “Capisco che tu e tua madre non andiate molto d’accordo, ma oggi io ho bisogno anche del tuo aiuto. Ci servono anche le tue abilità in questa battaglia, non ne possiamo fare a meno. Ti prego, lascia perdere il tuo odio per tua madre e combatti per ciò che è veramente importante: la salvezza dell’universo.” Gli porsi l’arma tenendola per la lama “Sei tu ad avere il coltello dalla parte del manico. Letteralmente.” Lui sorrise e strinse le dita attorno all’impugnatura “Se vi voltassi le spalle proprio ora sarei come Tom, e io non voglio essere brutto, antipatico e pazzo.” Al gli batté una mano su una spalla “Ben detto fratellino!” Io sorrisi e dissi “Ottimo, ora siamo pronti a dare a Tom ed Adele quello che si meritano.” In quel momento mi resi conto che le armi che i miei amici stringevano tra le mani erano le stesse che erano raffigurate sulle carte con cui avevo giocato al Poker delle Energie. Con un certo presentimento mi avvicinai a mia volta al tappeto e ci infilai la mano per afferrare l’elsa, stranamente arancione, che sbucava leggermente tra le pieghe della stoffa. Ele strofinò la sua lancia “Che arma hai intenzione di usare, Alex?” “Questa qui, l’ultima rimasta.” I miei amici si voltarono tutti assieme verso di me ma appena mi videro gli occhi schizzarono loro fuori dalle orbite e gridarono all’unisono “Alex, no!” Feci un triplo salto mortale all’indietro per lo spavento e quasi feci cadere la mia arma. Ele mi afferrò un braccio “Mollala subito, prima che tu finisca arrosto!” Juan gemette “Chissà come sarà ridotta la tua mano!” Questa volta veramente non riuscivo a capire di cosa stavano parlando “Ragazzi, ma che vi prende? Siete impazziti?” Juan era il più sbigottito di tutti “Tu sei impazzita, forse. Quella che hai preso in mano è Soleil, la leggendaria spada magica di Ra completamente fatta di fiamme! Solo lui la può toccare, chiunque altro ci provasse rimarrebbe ustionato!” Ele rincarò “E’ come gettare una mano su un falò!” Risposi sorridendo nervosamente “Ma ragazzi, io sto bene!” I tre si bloccarono appena sentirono le mie parole. Ele mi indicò “Tu stai stringendo la spada?” Annuii “Si, guardate.” Passai l’arma nell’altra mano e la mostrai “Vedete?”Juan me la afferrò e la scrutò molto attentamente “Non c’è il minimo segno di bruciatura, la mano è perfetta.” La mia amica scosse la testa “Ma non è possibile, sei sicuro che questa sia la spada di Ra?” Lui la indicò muovendo convulsamente le mani “Ma ti pare? Non vedi che è completamente fatta di fiamme? E il nome sull’elsa? Non credo che molte persone abbiamo chiamato la loro spada Soleil!” “Ma allora com’è possibile che Alex non si sia bruciata? E’ illogico!” Poi i suoi occhi verdi incontrarono quelli blu di Juan ed entrambi sembrarono essere colti da una folgorazione “A meno che…” “…Ra non c’entri qualcosa con Alex.” Il mio cuore cominciò a battere più forte dentro la mia gabbia toracica e le mie corde vocali si attorcigliarono alla laringe. Dissi una cosa che doveva assomigliare ad un “Non è possibile.” “Per quanto ne sappiamo potrebbe anche essere. In più questo spiegherebbe perché non ti sei carbonizzata la mano quando hai preso in mano la spada.” Ele era decisamente lanciata “E spiegherebbe anche il tuo talento innato per la spada, il fatto che riesci a guardare il Sole per diversi minuti senza bruciarti la retina e la potenza che senti quando tocchi la mappa.” Alvaro si inserì “Sapete, c’è un modo semplicissimo per sapere se le teorie di mio fratello e di Eleanor sono giuste: Alex, sei destra o mancina?” Risposi “Mancina, perché?” “I mezzosangue prendono l’arto più forte dal loro genitore immortale, così possono utilizzare senza problemi le sue stesse armi.” Juan ed Eleanor si fermarono “E se Alvaro avesse appena detto qualcosa di veramente intelligente?” Lui sbatté le ciglia e rispose “Oh, scusate.” Ok, il suo momento di intelligenza era terminato. Suo fratello continuò per lui “Quindi tu sei mancina, vero Alex?” Annuii. “Bene, anche Ra lo è. Ed è l’unica Energia esistente ad esserlo.” Ci fu un momento di silenzio. Devo ammettere che quella rivelazione mi aveva quasi uccisa: io ero imbranata, sfigata e non avevo nessun tipo di potere, non potevo discendere dall’Energia che aveva creato tutto, non poteva essere. Eppure quello che avevano detto i miei amici era vero anche se io mi rifiutavo di crederci. Mi sentivo decisamente male all’idea di avere un genitore così importante, chissà che razza di delusione doveva aver avuto quanto aveva realizzato chi ero, non mi avrebbe mai riconosciuta neppure se l’avessi supplicato in turco! Guardai la spada che stringevo in mano: la sua lama era fatta di piccole fiamme guizzanti che illuminavano la mia faccia sconvolta e sporca. L’elsa era dorata ed elegante con il nome Soleil inciso accanto al mio pollice. Era perfettamente bilanciata, mi sembrava quasi un’estensione del mio braccio e perciò non mi sentivo degna neppure di toccarla: quella era una spada per essere divini, non certo per degli sporchi mortali come me. Eppure Ra mi aveva dato la capacità di stringerla tra le mie mani, una capacità che gli altri mezzosangue non avevano, cosa che mi fece sentire diversa. Ma, pensandoci bene, quanto ero stata normale? Ero sempre stata  fuori dagli schemi, persino da bambina e avevo sempre pensato a questa mia non conformità con la massa come qualcosa di negativo. E se però mi fossi sempre sbagliata? Se il mio essere particolare non fosse un difetto, ma un pregio? Non sapevo esattamente cosa pensare della mia vita ma in quel momento il poter utilizzare quell’arma mi sembrava una cosa abbastanza utile. Spostai il mio sguardo sui miei amici che mi stavano fissando, molto probabilmente cercando di leggere la mia espressione senza riuscirci. Sospirai: avevo sempre desiderato poter fare la differenza e ora che potevo esaudire il mio più grande desiderio mi facevo sfuggire l’occasione? Non esisteva! Strinsi le dita attorno a Soleil e dissi “Cosa state facendo lì impalati? Andiamo a salvare l’universo!” Ele annuì vigorosamente “Alex ha ragione! Andiamo!” I gemelli esclamarono “Forza! Forza!” Ci avvicinammo al bordo della parte più alta della grotta: Tom era di nuovo seduto sul suo trono e stava discutendo con Adele riguardo uno dei molteplici tesori che avevano rubato, Sweety stava sonnecchiando placidamente ai loro piedi mentre Rambo stava sistemando un cuscino foderato di rosso su una specie di colonna dorata. Strizzai gli occhi per vedere meglio quello che c’era sopra e rimasi senza parole: lì giaceva lo scettro di Ra splendente e lucido come appena uscito dall’oreficeria. Dissi “Ok, adesso saltiamo giù sfruttando l’effetto sorpresa e affrontiamo Tom e i suoi scagnozzi.” La mia migliore amica indicò la fidanzata di Tom “Io affronterò Adele. Abbiamo diversi conti in sospeso e poi sapete tutti che la odio.” Alvaro espresse per la prima volta la sua opinione “Io me la vedrò con Sweety. Sono piuttosto bravo a combattere contro gli animali dato che mi alleno sempre contro di loro quando perdo contro gli umani.” Domandai a Juan “Tu vuoi vedertela con Tom?” Lui sospirò “Ovviamente mi piacerebbe, ma credo che sia una cosa che compete a te. Lui è il miglior schermitore che conosca e quindi ha bisogno di un degno avversario che non sono io, ma tu.” Gli chiesi guardandolo di traverso “Ne sei davvero sicuro?” Lui annuì “Più che sicuro.” “D’accordo, allora sarò io a combattere contro Tom. Non ti preoccupare, mi impegnerò al massimo.” “Ne sono certo. Da quando hai preso in mano quella spada hai qualcosa di differente, una luce diversa negli occhi: più coraggiosa, più decisa.” Era vero: da quando avevo stretto tra le mani quella lama infuocata una nuova sicurezza e una nuova determinazione si erano fatte strada in me e ora mi davano la forza di non tremare davanti a Tom. Alzai le spalle “Beh, non posso mica rimanere imbranata per sempre.” “E se ti dicessi che non lo sei mai stata?” I nostri occhi si incontrarono. Sorrisi, non senza l’imbarazzo della situazione, e gli risposi “Ti risponderei che sei proprio un gran bugiardo, ma che ti voglio bene lo stesso.” Lui focalizzò la sua attenzione su una minuscola macchia di terra sulla sua scarpa destra “Bene, buono a sapersi.” Dato che mi sentivo molto più a mio agio durante le battaglie che durante una conversazione che non riguardasse morti, feriti e spargimenti di sangue con Juan, decisi che era il momento andare: avevamo un universo da salvare! Feci un cenno ai miei amici e ci avvicinammo al bordo e guardammo giù: era un bel salto, saranno stati almeno tre metri. Domandai “Credete che ci spiaccicheremo se proviamo a saltare?” Ele scosse la testa “E chi ha parlato di saltare?” Prese la mano di Alvaro che prese quella di suo fratello che prese la mia e in un batter d’occhio ci eravamo teletrasportati giù. Nascosi la spada dietro la schiena dato che volevo ottenere un effetto sconcertante per quell’idiota di Tom. La mia amica, che era decisamente la più spigliata di tutti noi, si schiarì la voce e disse con aria di sfida “Sai Tom, le tue corde non valgono niente. Ci siamo già liberati!” Lui sobbalzò e quasi cadde dal trono: certamente non si aspettava di vederci liberi! Devo ammettere che la scena fu decisamente divertente soprattutto quando Rambo si voltò verso di noi incredulo, facendo cadere il forziere pieno di monete che reggeva tra le mani, spargendole tutte in giro per la grotta. Sfortunatamente la sorpresa del nostro nemico non durò molto, perché si alzò in piedi e sfoderò la sua spada: un metro di acciaio scintillante e letale, che terminava con un elsa a forma di serpente arrotolato nell’atto di mordere qualcosa. Sorrise malvagiamente, solo come sanno fare le persone cattive “Bene, vedo che non avete gradito la mia ospitalità. Dato che non mi apprezzate non mi resta che cacciarvi dalla mia dimora…” Accarezzò la sua arma “…facendovi sparire dal mondo.” Juan ribatté “Io non ne sono proprio così sicuro.” “Oh, tranquillo, quando ti trapasserò con la mia spada e berrò il tuo sangue non sarai più così impertinente. Molti miei alleati mostri dicono che il sangue dei mezzosangue sia una bevanda paradisiaca e io non vedo l’ora di provare.” Adele rincarò, estraendo la sua lancia allungabile da una tasca “Avete sbagliato a mettervi contro di noi ragazzini, ormai non avete più scampo!” Sorrisi alzando le sopraciglia con fare beffardo “Io non credo. Fino a che ci sarà luce noi avremo speranza e non ci arrenderemo.” Tom allora si avvicinò ad una parete e allungò un braccio verso quello che mi sembrava un interruttore “Ah si? Che ne dite allora di combattere al buio? Dite addio alla luce del Sole perché non la rivedrete più!” Afferrai una mano di Eleanor mentre lui abbassava una leva che fece cadere una saracinesca davanti all’apertura, facendo cadere la grotta nel buio completo. Lo sentii ridere “Allora Alex Johnson, ora che la luce è spenta si è spenta anche la vostra speranza?” Risposi “Mi spiace Tom, ma non hai spento tutte le luci.” Estrassi piano piano la spada da dietro la schiena. Il fuoco da cui era composta la sua lama ardeva scoppiettante e illuminava una piccola porzione del mio braccio sinistro. Anche senza vedere potevo immaginare l’espressione sconcertata dipinta sulla brutta faccia di Tom. Lo sentii mormorare “Ma non è possibile, come fai a tenere in mano quella spada? Dovresti essere carbonizzata ormai…” Stritolai la mano della mia amica che capii immediatamente quello che volevo che facesse, poi gli risposi “Oh Tom, ti risponderei se non fossi una donna d’azione.” Ele ci trasportò dove doveva esserci l’interruttore che comandava da persiana. Toccai con una mano la parete per vedere di essere nel posto giusto, sentii una piccola scatolina quadrata e decisi che era quello che stavo cercando. Completai la mia frase disorientando ancora di più il mio acerrimo nemico “A me piacciono i fatti, non le parole.” Vibrai un colpo micidiale all’interruttore e lo polverizzai. La saracinesca si alzò di scatto e il Sole poté illuminare di nuovo la grotta, carbonizzando gli occhi di tutti tranne i miei. Presi la rincorsa e con un balzo mi trovai davanti a Tom. Lui puntò la sua orrida arma sulla mia gola e ridacchiò “Ma guarda un po’, abbiamo finalmente scoperto chi è il genitore immortale della piccola, insignificante e imbranata Alex Johnson. Considerando le tue capacità mai avrei detto che tuo padre è una persona così importante, mi sembrava tanto anche pensare che tu fossi figlia di un comune mortale. E ora tu, figlia di Ra e maledetta dalla maledizione dell’ultimo faraone, vuoi davvero incrociare la tua lama con me, il futuro re dell’universo, venendo brutalmente sconfitta e in seguito uccisa?” Devo ammettere che le sue umiliazioni mi avevano annodato lo stomaco e cominciato a far tremare le ginocchia. Tutta la sicurezza che avevo trovato mi era stata tolta rigirando il coltello in una piaga che credevo rimarginata ma che ora capivo che era ancora aperta e anche il solo sfiorarla mi faceva male da morire, mi toglieva il respiro e anche la voglia di vivere. Ma dopo aver sentito le parole “figlia di Ra” qualcosa esplose nel mio corpo: mi sembrava che un falò stesse bruciando dentro di me, investendo con il suo calore tutti i miei organi. Le mie gambe smisero di tremare, la mia stretta si fece più forte e la mia vista migliorò così tanto che potei vedere le minuscole gocce di sudore imperlare la fronte del mio avversario. Specchiandomi nei suoi occhi marroni e cattivi potei vedere che le mie iridi stavano brillando! Sorrisi (ancora oggi non riesco a capacitarmi di come feci) e alzai la mia spada fino a che toccò la sua “Credo proprio che correrò il rischio.” E poi scoppiò letteralmente l’inferno.Eleanor si slanciò contro Adele tentando veramente di infilzarla, ma l’altra fu abbastanza veloce da interporre la sua lancia tra quella della mia amica e il suo corpo. Si vide un turbinio di scintille ed entrambe fecero un salto indietro dato che avevano parzialmente preso la scossa. La figlia di Seth rise “Eleanor, quella lancia non è un po’ troppo lunga per te? Ricorda che sei piccola!” Lei le rispose con una parolaccia che era decisamente divertente ma che non ho il permesso di trascrivere “E tu non sei un po’ troppo stupida per usare quell’arma?” L’altra menò un colpo brutale ma Ele lo parò con aria annoiata “Che barba!” Adele digrignò i denti “Ti insegnerò ad essere meno impertinente, ragazzina viziata!” Lei sbadigliò “Davvero? Se questo è tutto quello che sai fare ne dubito fortemente!” Spazzò la terra tentando di colpire i piedi della sua avversaria, ma lei fu più rapida e saltò al momento giusto. Rise “E’proprio vero che non vali niente se non imbrogli, mia cara.” Ele allora fece finta di lanciare la sua asta verso sinistra, ma quando Adele si spostò le pestò un piede,  con molta cattiveria se devo essere proprio sincera al cento per cento, e con la lancia le fece un bel taglio sul braccio destro. L’altra gridò di dolore mentre la mia amica rise “Ma se mi suggerisci le tecniche per batterti non vale!” Adele ringhiò e tornò alla carica. Juan se la stava cavando abbastanza bene insidiando con il suo pugnale Rambo, che senza un’armatura e uno scudo non osava attaccare. Il mio amico sapeva benissimo che la spada dell’insegnante era molto più lunga della sua e che se lo avesse lasciato sferrare anche solo un fendente sarebbe diventato uno spiedino, estremamente carino, ma pur sempre uno spiedino. Ad un certo punto però dovette riprendere fiato e fu in quel momento che Rambo mosse senza preavviso e con violenza la sua arma dicendo “Ora basta! Stai cominciando a farmi arrabbiare davvero Juan!” Lo colpì al polpaccio bendato facendolo cadere a terra gridando. Si prese la gamba e la strinse fortissimo, fino a farsela diventare bianca. Rambo rise vendendolo in quello stato pietoso “Peccato, speravo che il nostro combattimento sarebbe durato un po’ di più rispetto a quello dell’anno scorso.” Alzò la spada per sferrare il colpo finale che come minimo lo avrebbe tagliato in due quando il mio amico, con uno sforzo sovraumano, si piegò in avanti e gli morse una gamba. Il nostro ex allenatore lanciò un urlo pazzesco mentre il sangue cominciava a scorrere dal suo stinco. Vidi Juan sputarne un bel po’, reprimere in modo decisamente maldestro un conato di vomito e piantare il suo pugnale nel piede di Rambo. Mentre l’altro si dilettava in acuti degni di una cantante lirica lo vidi alzarsi in piedi barcollando e pallido come un cencio cercare una parete per appoggiarsi. Biascicò “Aiuto, credo che vomiterò anche lo stomaco.” Gridai “Juan, resisti, arrivo!” Tom però non aveva nessuna voglia di lasciarmi andare, infatti fece un affondo nella mia direzione che riuscii a parare tirando indietro la pancia “No, no, no, carina. Tu non vai da nessuna parte.” Un’altra stoccata che questa volta non ebbi nessun problema a fermare “Anche se il tuo innamorato stesse morendo non ti lascerei andare a soccorrerlo. Non sei mica una crocerossina.” Risposi “Hai ragione, non sono una crocerossina.” Feci un affondo “Sono una guerriera!” Lui lo parò per caso. Lo insidiai ancora e ancora, un po’ a destra e un po’ a sinistra. Le sue stoccate erano precise e aggressive, potevo vedere benissimo che il suo forte era attaccare il suo avversario fino a sfiancarlo. Per sconfiggerlo non avrei mai dovuto fare il suo gioco, dato che aveva una resistenza da elefante, ma dovevo metterlo in confusione con affondi fluidi, lenti e continui, poi avrei sferrato il colpo finale talmente rapidamente che non se ne sarebbe neppure accorto. Lui disse per distrarmi “Non sei affatto male come schermitrice, peccato non averti incontrata prima, avremmo potuto allenarci assieme.” Ribattei “Cioè avrei potuto infilzarti prima!” “Credi proprio di essere più brava di me, eh?” “Già, e sappi che io mi sbaglio molto di rado.” Feci finta di attaccarlo a sinistra, poi feci una giravolta e mi affondai il colpo a destra. Lui non riuscì a pararmi via con lo scudo e la mia lama fiammeggiante toccò la sua pelle. Lo sentì digrignare i denti per il dolore della bruciatura, così mi spaventai un po’: io non volevo fare veramente male a nessuno. Ebbi un attimo di esitazione ma bastò: lui, dato che aveva capito che con la spada ero più forte, allungò una gamba e mi tirò un calcio in pancia. Il colpo mi tolse il respiro e crollai a terra. Mi sembrava che il mio intestino fosse diventato poltiglia! Tom mi saltò praticamente addosso “Ecco Alex, vedi qual è l’utilità di avere uno scudo? Il tuo metodo di combattimento basato solo sull’attacco ti è costato la vita!” Vibrò un colpo micidiale con la sua spada ma io fortunatamente riuscii a rotolare a sinistra sbattendo un braccio sulla parete di roccia accanto a me. Feci per alzarmi, ma qualcosa mi tirò per la gamba destra e caddi di nuovo distesa a terra come un sacco di patate. Mormorai “Ma cosa diamine…” Guardai cosa avevo combinato: il mio polpaccio era incastrato in una specie di rete verde, una di quelle che si usano per andare a pesca. Mi chiesi come mai la sfiga doveva essere sempre presente nella mia vita e mi allungai quasi spaccandomi la spina dorsale a prendere la spada che avevo perso nella seconda caduta. Quella maledetta però era caduta troppo in là, anche se mi slanciavo le mie dita si fermavano a due centimetri da lei senza poterla toccare. Borbottai un paio di imprecazioni contro Tom e quella missione in generale e tentai di prendere la mia arma di nuovo, ma senza successo. Il mio avversario fece roteare con una certa maestria la sua e rise “Ma guarda un po’ che sfortuna, se la spada fosse caduta un centimetro più verso di te non saresti bloccata in questa situazione ridicola! Ah Alex, anche quando cerchi di essere professionale io non riesco a prenderti sul serio. Comunque, anche se sei divertente, sono costretto ad ucciderti. Avrei desiderato per te una morte un po’ più dignitosa, così avrei potuto raccontare ai miei nipoti come ho vinto uno splendido duello all’ultimo sangue ma non si può avere tutto dalla vita, giusto?” Biascicai mentre tentavo disperatamente di disincastrare il piede dalla rete peggiorando ancora di più la situazione “Credi che sia finita così, eh?” “Come potrebbe essere diversamente Alex? Hai deciso di metterti contro il futuro re dell’universo e questa è la tua ricompensa.” Alzò la spada e vibrò un colpo così potente che avrebbe tagliato in due anche l’acciaio. Capii che questa volta non c’era più speranza, chiusi gli occhi e alzai il braccio destro in un ultimo gesto strenuo di difesa. Anche se dentro di me c’era una grande consapevolezza di morire c’era ancora una minuscola scintilla di speranza che non sapevo proprio da dove venisse. Mi dissi “Bene, è proprio così che si muore.” Poi sentii un tonfo sordo.Tom mi aveva tagliata in due con la sua orribile e letale arma?Dato che non sentivo nessun tipo di dolore aprii gli occhi: possibile che Tom mi avesse mancata? No, impossibile, infatti lui non mi aveva mancata neanche di un centimetro, solo che ora tra il mio corpo e la sua lama, appoggiato sul mio braccio, c’era uno scudo. Sgranai gli occhi: era uno scudo abbastanza grande di forma tondeggiante. Il materiale di cui era fatto era stranamente arancione e giallo ma anche translucido. La cosa più assurda era che sembrava uscire direttamente dalla mia pelle. Tom era sconvolto quanto me, se non di più “Com’è possibile? Da dove l’hai tirato fuori quello? Un secondo fa non ce l’avevi!” Non sapevo rispondere a nessuna delle domande che mi aveva fatto, tuttavia approfittai del suo momento di smarrimento: mi diedi una minuscola spinta con i piedi, mi slanciai in avanti, con la mano libera afferrai la mia spada e tagliai la rete che mi teneva bloccata. Respinsi la sua arma con un gesto abbastanza disperato e mi rimisi in piedi. Ora potevo vedere che il mio scudo si originava dalla mia mano aperta. Non mi azzardai a tentare di mandarlo via dato che mi sarebbe sicuramente servito e non avevo la minima idea di come farlo apparire di nuovo. Mentre pensavo a quelle cose Tom si era riorganizzato e aveva fatto un nuovo affondo verso di me “Ora che i regali da parte del tuo paparino sono terminati è arrivato il momento di finirla una volta per tutte!” Parai la sua stoccata con grande facilità “Si, sono d’accordo, facciamola finita!” Così ricominciammo ad azzuffarci. Alvaro nel frattempo se la stava vedendo con Sweety: la bestia era decisamente rapida nei suoi movimenti cosa che rendeva i poderosi colpi di ascia del mio amico abbastanza inutili. In più doveva stare attentissimo a colpire il suo pungiglione ogni volta che si avvicinava, neanche fosse stato una palla da baseball. Ad un certo punto l’animaletto di Tom e Adele ruggì più forte delle altre volte spaventando a morte il povero Al che cadde a terra. In un attimo il mostro era sopra di lui. Juan lo vide e gridò “Al! No!” Pestò un piede a terra facendo muovere tutta la grotta. Dal punto che aveva colpito si originò una crepa che attraversò in orizzontale la stanza facendo cedere la roccia sotto una delle pesantissime zampone di Sweety. L’animale perse l’equilibrio per un attimo, ma bastò: Alvaro strinse tra le mani la sua ascia e vibrò un colpo micidiale tagliandole di netto il pungiglione sulla coda. Il mostro lanciò un grido che sembrò quasi umano e si accasciò a terra. Il gemello di Juan allora la colpì di nuovo ma questa volta sulla schiena. Sweety aprì la bocca e ruggì violentemente per l’ultima volta, poi si polverizzò: un secondo prima era una bestia gigante e un secondo dopo era un mucchietto di cenere. Adele urlò “Sweety! Amore della mamma!” Ele non credette ai suoi occhi quando vide il suo momento di distrazione e la colpì con la sua lancia. La sua avversaria venne attraversata dalla corrente elettrica che le fece sgranare gli occhi e le fece esplodere i capelli. Appena la mia migliore amica spense l’arma Adele cadde a terra svenuta sbattendo la faccia sulla pietra. Eleanor scoppiò a ridere e si appoggiò all’asta “Ben ti sta, brutta strega!” Rambo dall’ altra parte della grotta disse “Signorina Adele! Arrivo!” Juan, che aveva male alla gamba ed era tutto sudato e pallido ribatté “Eh no, tu non vai proprio da nessuna parte!”  Lanciò il suo pugnale che trapassò la mano del nostro ex insegnante e gliela inchiodò alla roccia friabile giusto dietro di lui. L’allenatore gridò talmente forte che pensai che gli fossero esplosi entrambi i polmoni e ci fece capire che da lì non si sarebbe più mosso. Tom mi avvertì “Anche se i miei alleati sono stati messi al tappeto non credere che riuscirai a fare lo stesso con me!” Risposi “Io non lo credo, lo so e basta!” Feci un affondo decisamente sbilanciato e riuscii a colpire prima il suo braccio sinistro, poi entrambe le gambe e infine la sua mano destra facendo saltare in aria la sua spada che dopo una giravolta atterrò nella mia mano. Tom stramazzò a terra con braccia e gambe fumanti. Gli puntai alla gola la mia spada fiammeggiante e la sua “Tu e i tuoi stupidi alleati siete stati sconfitti, avete perso. Ora lo scettro di Ra appartiene a me e ai miei amici.” Dopo aver detto quelle parole sentii che tutta l’adrenalina che avevo accumulato nell’incontro se ne andava per lasciare spazio ad una gioia incontenibile e anche ad una stanchezza infinita: ce l’avevamo fatta! Avevamo sconfitto Tom e i suoi, eravamo riusciti ad impedire la distruzione del mondo! Ero riuscita a portare a termine la mia assurda missione improvvisata! Avevo finalmente raggiunto la stella che avevo inseguito per tutto quel tempo, avevo salvato la Terra, le Energie e l’universo intero! Avevamo scavalcato tutte le difficoltà che ci avevano messo davanti e grazie alla nostra determinazione eravamo riusciti a scampare alla morte e a vincere! Io, che perdevo continuamente, avevo vinto la battaglia più difficile di tutte! Ora ero alla pari di grandi uomini e donne, ero diventata un’eroina! No, non era possibile, doveva essere un sogno, un bellissimo e grandioso sogno. Neanche i miei amici erano sicuri di essere svegli, infatti Juan domandò “Ce l’abbiamo fatta?” Ele fece un saltò e strillò “Si, si che ce l’abbiamo fatta! Abbiamo salvato l’universo!” Al continuava a stringere tra le mani la sua ascia e riusciva solo a sorridere. Io mossi qualche passo barcollante verso la mia migliore amica mentre la gioia mi bombardava il cervello “Abbiamo salvato lo scettro di Ra?” Lei mi scosse decisamente violentemente gridandomi nelle orecchie “Si! Alex, ce l’hai fatta, hai sconfitto Tom! Tom! Abbiamo salvato l’universo, hai salvato l’universo! Ma ti rendi conto?!” Balbettai “Io non ci credo…” Juan sorrise nonostante il dolore “E invece credici Alex.” Allungai una mano verso Ele “Sto per svenire…” Lei, Juan ed Alvaro mi agguantarono prima che stramazzassi a terra “Alex!” Risposi “Sto bene, credo. Ragazzi, ce l’abbiamo fatta, abbiamo portato a termine la missione! Siamo degli eroi!” Juan annuì “Si, lo siamo. Lo siamo eccome!” Lasciammo andare le armi, ci abbracciammo tutti e quattro e cominciammo a piangere. Tutti noi sapevamo che se eravamo arrivati fino a lì era solo grazie al compagno che ci stava accanto. Durante quei giorni avevamo capito che per quanto fossimo forti singolarmente, solamente mettendoci assieme saremmo potuti essere invincibili e avremmo potuto fare qualsiasi cosa, anche salvare l’universo dalla distruzione. Tra noi si era instaurato qualcosa che era molto più di un’amicizia, era un legame di fratellanza forte come il tronco di un albero millenario che neppure la motosega più potente del mondo avrebbe potuto tagliare. Per la prima volta in vita mia mi sentivo perfetta: quello che dentro di me non era vuoto era stato riempito dall’ amicizia di Eleanor, Juan ed Alvaro. In quel momento  sentimmo un boato che fece tremare tutta la caverna  e un’ombra decisamente grande coprì il Sole che ormai era praticamente scomparso dietro la linea dell’orizzonte. Ci voltammo immediatamente per vedere che cos’era dato che dalla nostra avventura avevamo imparato a non fidarci di niente e nessuno:  era una navicella presidenziale, grande e bianca, con due belle alette ricurve argentate, due propulsori situati sul posteriore e fiancata aveva disegnata una bilancia a due bracci, il simbolo delle Energie.  Alvaro domandò “Ma che razza di astronave è questa?” Ci voltammo tutti verso Eleanor che però scosse il capo “Non ne ho la minima idea, non l’ho mai vista prima.” Indicai il simbolo sul lato “Quella è la bilancia delle Energie, spero che quelle persone non ci ammazzeranno.” Juan borbottò “Tu intanto prega.” La nave scese piano piano fino a quando non arrivò più o meno al livello della rupe, poi il portellone si aprì, e da lì uscirono almeno una ventina di uomini che indossavano tutti pantaloni marroni, stivali neri e un orribile mantella bianca orlata con una striscia color porpora. Davanti a tutti c’erano un uomo decisamente imponente con capelli, barba ed occhi neri che teneva per mano una donna che indossava un vestito verde molto elegante, scarpe col tacco e aveva i capelli a caschetto di un colore infame: arancione carota. Appena vidi la maglietta giallo fluorescente con la scritta “Se i morti non parlassero io non saprei come passare il tempo” del signore non ebbi più dubbi e gridai “Signor Anubis!” Lui strizzò gli occhi per vedere meglio, poi sua moglie gli diede una bella pacca sulla testa ed entrambi corsero nella nostra direzione “Ragazzi!” La signora Hamilton afferrò Eleanor e la strinse fino a sbriciolarle le costole “Tesoro! Sei viva e stai bene! Tu non avevi idea di quanto fossimo preoccupati! La nave sparita, voi non eravate più nei vostri letti, avrebbero potuto uccidervi! Ma vi rendete conto di quello che avete fatto?! Oh, bambina mia, non ti lascerò andare mai più!” Mentre parlava piangeva, rideva e cercava di essere arrabbiata allo stesso tempo. Anche Anubis abbracciò sua figlia, poi si mise dritto e impettito di fronte a noi cercando di sembrare minaccioso, ma con quella maglietta assurda e con i nostri cervelli ancora inebriati dalla vittoria risultava soltanto ridicolo. La signora Ariana, tenendo sempre per mano Ele, passò in rassegna anche noi. Juan fu l’unico a non essere abbracciato perché mise le mani in avanti e disse “La prego, manteniamo le distanze.” Facendo scoppiare a ridere suo fratello che si beccò un bel pestone su un piede. Quando fu il mio turno Ariana Hamilton mi mise una mano nei capelli ridotti ad un cesto “Alex, piccola, stai bene?” Annuii “Si signora.” “Ma che accidenti vi è saltato in mente ragazzi?! Lo sapevate che potevate morire?” Il signor Anubis rincarò indicando Tom, Adele e Rambo che erano stati raggiunti dagli uomini con la toga “E volete spiegarmi che ci fanno anche loro qui?” Presi parola “E’stata tutta colpa mia signor Anubis.” I miei amici ribatterono “Non è vero, non è solo colpa di Alex. Partecipare a questa missione è stata un’idea di tutti e quattro. Il giorno in cui lei è stata convocata in biblioteca assieme ai saggi noi eravamo lì a restituire dei libri e accidentalmente abbiamo ascoltato tutta la conversazione. Abbiamo subito pensato che il ladro dello scettro non avrebbe mai aspettato il mese necessario a istruire le truppe per conquistare il mondo, così abbiamo deciso di partire e andare a cercarlo. Abbiamo rubato il primo pezzo della mappa, poi anche la sua navicella e siamo andati alla ricerca degli altri frammenti.” Anubis sembrava particolarmente interessato e così anche tre o quattro uomini con il mantello striato di porpora. Quello che sembrava il più anziano scostò la signora Hamilton per mettersi in prima fila “Andate avanti.” Il padre di Eleanor rincarò “Si, dovete ancora spiegarmi come mai Tom, Adele e Rambo sono qui.” Risposi “Beh, ecco, non so se mi crederà…” Lui mi interruppero “Tesoro, se sei arrivata fino a qui vuol dire che quello che hai fatto lo hai fatto per davvero, vai avanti e racconta.” Sbuffai sapendo che sicuramente mi avrebbero presa per pazza “Ok. Quando eravamo circa a metà strada ho fatto un sogno o una visione, nessuno è riuscito a spiegarmi la differenza, che raffigurava questa grotta, un uomo e una donna che parlavano della distruzione del mondo. Ne ho parlato ad Eleanor, Alvaro e Juan e assieme abbiamo capito che il ladro dello scettro era Tom.” Il tipo accanto ad Anubis esclamò “Tom? Tom Zoffi?” “Proprio lui.” “Ma non è possibile, lui è sempre stato un ragazzo modello…” La mia migliore amica ribattè “Lui ha sempre finto di essere un ragazzo modello, saggio Mosis: in realtà stava tramando la sua vendetta personale contro le Energie. Quando siamo arrivati qui abbiamo potuto vedere che anche Adele e Rambo si erano schierati dalla sua parte.” Anubis si voltò verso il nostro nemico che era stato immediatamente affiancato da due saggi che avevano cominciato a disinfettargli le bruciature che gli avevo fatto “Tom, tu hai rubato lo scettro?” Lui gli sorrise di nuovo con quel sorriso malvagio e tirato che gli faceva brillare gli occhi di una luce spietata e pazza “Certo che sono stato io. Voi eravate così impegnati ad assegnarmi compiti che non vi siete minimamente accorti di quali fossero i miei piani, se non fosse stato per questi quattro piccoli maledetti ficcanaso io adesso sarei il re dell’universo!” Per la prima volta nella mia vita vidi il padre di Eleanor diventare mortalmente serio. I suoi occhi scurissimi vennero momentaneamente trapassati da un lampo “Noi ti assegnavamo compiti perché credevamo di poter contare su di te, tu eri il mezzosangue più grande, più rispettoso e anche più responsabile.” “No, non è vero! Tu mi facevi fare quello che volevi, mi usavi come schiavetto personale!” Questa volta fu Anubis ad alzare la voce “Io ti assegnavo le mie commissioni perché credevo in te e ti amavo come ad un figlio. Ti ho visto crescere e diventare il miglior guerriero di tutto Camp, ho riposto in te tutto il mio compiacimento, tutta la mia fiducia e ora tu diventi questo? Questo è un insulto ai tuoi compagni, ai tuoi amici e a me, soprattutto a me.” “Bugiardo! Sei uno sporco bugiardo, come tutte le altre Energie! Tu non mi volevi bene, nessuno me ne volevo in quel maledetto pianeta! Voi Energie siete esseri spregevoli e come tali andate distrutte! Spero proprio di esserci il giorno della vostra morte, anzi, spero proprio di causarla io. Non mi pentirò mai di quello che ho fatto, hai capito Anubis? Hai capito Eleanor, hai capito Juan, hai capito Alvaro e hai capito stupida Alex?” Il padre di Eleanor tuonò “Non azzardarti a toccare questi quattro ragazzini! Loro sono dei veri eroi al contrario di te, putrido verme che si è lasciato polverizzare l’anima dalla sete di potere. Portatelo via!” Il saggio Mosis parlò dentro una ricetrasmittente “Guardie, a rapporto.” Immediatamente apparve un’altra navicella dalla quale scesero qualcosa come trenta guardie  che indossavano la tuta nera e blu della federazione, armate di pistole laser che afferrarono Tom, Adele e Rambo, li ammanettarono e cominciarono a spingerli verso una seconda astronave sopraggiunta. Prima di scomparire Tom gridò “Non pensate che questa sia la fine dei giochi, ho amici molto potenti, vedrete che ritornerò e voi avrete ciò che meritate!” Gli risposi “Ottimo. Io sono qui ad aspettarti per batterti ancora.” Poi la sua testa castana sparì all’interno della navicella e il portellone si richiuse, intrappolandoli dentro. Poi questa partì e in un secondo era già lontana, solo un puntolino nell’orizzonte. Vidi Mosis parlare ancora nel walkie-talkie e domandai ad Anubis “Dove verranno portati Tom e Adele?” Lui sorrise “Verranno sistemati nella prigione di Kristaal, il pianeta di detenzione. Una volta sistemate le cose qui il consiglio delle Energie e i saggi andranno a fare loro una bella visitina e li interrogheranno fino a che non conosceranno anche come sono disposti i fili delle loro mutande. Credo che non li rivedremo per un bel pezzo.” Eleanor rise “Non che questo ci dispiaccia!” Annuii vigorosamente”Ah, no, affatto!” Mi rimisi in spalla lo zaino che Rambo mi aveva fatto togliere prima di imprigionarci “Ah ragazzi, non vedo l’ora di tornare a casa!” Juan si appoggiò il fratello sospirando “Già! Ho avuto più emozioni durante questi giorni che durante tutta la mia intera vita!” Anubis scherzò, facendoci capire che era tornato l’uomo distratto e simpatico di sempre “Chissà se dopo quest’avventura ve ne starete tranquilli per un po’…” Alvaro rispose piuttosto convinto “Oh si, credo che ne avrò abbastanza di missioni, mostri e combattimenti all’ultimo sangue per almeno tre anni!” Mi trovai assolutamente d’accordo con il mio amico e ricordandomi che se avevamo intrapreso quel viaggio c’era un motivo, mi avvicinai alla colonna dorata con il cuscino rosso sul quale giaceva lo scettro di Ra. Lo presi delicatamente in mano e lo guardai: era identico a quello che avevo trovato nel mio zaino e che poi si era rivelato in cera, con quel manico lungo fatto completamente in oro massiccio, decorato con una spirale di pietre preziose di color verde acqua che terminava con la testa di un serpente messa di profilo sulla quale spiccava uno zaffiro che doveva fungere da occhio. Tutt’attorno al muso c’era una specie di semicerchio che sembrava un’aureola ovviamente dorata, decorata con spicchi composti a loro volta da zaffiri. Probabilmente doveva valere come una decina di case mie messe assieme. Non so se fosse per la stanchezza oppure per tutta quell’adrenalina che avevo in corpo che si stava lentamente consumando, ma mi misi a ridere come una scema “Ragazzi, però questo serpente è proprio brutto!” Anche i miei amici, che erano esauriti quanto me, scoppiarono a ridere come matti. Continuai “Si, è proprio orrendo, ha la faccia deforme! Ra poteva ingaggiare un artigiano migliore per farlo!” In quello però mi accorsi che nella grotta era calato un silenzio tombale, solamente la mia risata continuava ad echeggiare tra le pareti di roccia. Fissai Eleanor che era diventata decisamente troppo seria ed era proprio davanti a me “Ma che succede?” Lei indicò qualcosa alle mie spalle. Devo ammettere che mi prese una certa strizza, insomma dopo tutto quello che avevo passato mi immaginavo di avere una bestia feroce con tanto di tentacoli e lombriconi sulla testa dietro di me! Mi voltai piano sui tacchi e per poco un feci cadere l’oggetto più importante e pericoloso dell’universo per terra. Quello che avevo visto era peggio di qualunque cosa avessi mai immaginato! Davanti a me troneggiava in tutto il suo fisico statuario e circondato da una specie di aura un uomo altissimo, molto più in forma di Anubis, con i capelli biondi e gli occhi azzurri come il ghiaccio, con addosso un’ armatura completa in oro scintillante e un mantello blu come il cielo notturno. Sul pettorale aveva disegnata in argento una bilancia a due bracci, il simbolo delle Energie. Momorai una grossa imprecazione: avevo appena fatto la figura peggiore di tutte davanti alla persona più importante del mondo, anzi, dell’universo: Ra. I saggi e i miei amici caddero in ginocchio e abbassarono la testa, persino quegli orgogliosi di Eleanor e Juan. Io invece rimasi in piedi coma una cretina, con la bocca mezza aperta e gli occhi fuori dalle orbite, incapace di muovere qualsiasi muscolo del mio corpo. Nonostante quello che avevo detto sul suo scettro Ra non sembrava avere voglia di distruggermi, anzi, guardava tutti noi con quello che poteva definirsi un mezzo sorriso “Sono venuto qui perché credo che voi abbiate qualcosa che mi appartiene.” Anubis mi scosse per una spalla “Alex, lo scettro.” Caddi letteralmente dalle nuvole “Chi deve fare cosa?” “Alex, dai a Ra lo scettro che hai in mano!” Realizzai che il mio nome era Alex “Ah, si, giusto!” Mi inginocchiai a mia volta e protesi le mani avanti “Questo scettro appartiene a voi.” Lui allungò la mano, lo scettro si alzò dalle mie mani e volò tranquillamente nelle sue. Ra lo strinse fortissimo, tanto che credetti che lo avrebbe spezzato “Finalmente quest’oggetto pericolosissimo è tornato dal suo padrone. Da oggi in poi staremo molto più attenti nella selezione delle persone che potranno entrare nella sua camera segreta, vero Anubis?” Lui annuì “Oh, ci puoi scommettere amico mio!” Pensai che molto probabilmente Anubis era l’unica persona al mondo che aveva il coraggio di chiamare Ra “amico mio”. Il re delle Energie sistemò lo scettro ancorandolo al suo cinturone e si rivolse di nuovo a noi “Alzati Eleanor figlia di Anubis, so benissimo che ami inchinarti solo al cospetto di te stessa.” Lei scattò in piedi e sospirò “Oh, come mi conosce bene immortale Ra!” Questa sua frase fece diventare Anubis color melanzana e strappò un sorriso a Ra “Vedo che tua figlia ha preso molte tue caratteristiche, Anubis.” Lui annuì “Eh, già.” Poi l’altro continuò “Alzatevi Juan e Alvaro, figli di Sehkmet, non vergognatevi del vostro passato nel giorno del vostro trionfo.” Anche loro due si rimisero in piedi, sulle loro facce dipinti due sorrisi sinceri e pieni di gratitudine per qualche ricordo piacevole legato a Ra “Alzati Alexis Johnson, perché gli eroi non hanno mai avuto bisogno di sottomettersi a me.” Spalancai di nuovo gli occhi “Eroe?” “Certo, quello che avete fatto è semplicemente eroico, cosa che rende voi degli eroi a tutti gli effetti.” Juan domandò “Fatemi capire bene, lei sta dicendo che quello che abbiamo fatto è giusto?” Ra scosse il capo “Durante questi giorni avete compiuto delle azioni decisamente riprovevoli: siete scappati da Camp di nascosto, avete rubato un pezzetto della mappa e l’astronave di Anubis, lo avete imbrogliato e vi siete sostituiti ad una squadra altamente specializzata. Tuttavia, avete combinato tutto questo solo perché volevate ritrovare il mio scettro, mettendo a rischio la vostra vita per salvare il mondo e tutti coloro che ci abitano dalla distruzione e dalla morte certa, persino i vostri genitori immortali, nonostante non vi stiano simpatici o non conosciate la loro identità.” Guardò prima Juan e poi me “Questa è una cosa veramente nobile, che molti altri mezzosangue non avrebbero mai fatto. Come dice il saggio “il fine giustifica i mezzi” quindi io oggi vi ringrazio di cuore. Senza di voi nessuno di noi oggi sarebbe qui.” Risposi “Siamo noi a ringraziare lei, è stato veramente un onore poterla aiutare.” Ra strizzò un occhio ad Anubis “Ottimo lavoro amico mio, stai istruendo proprio bene i ragazzi su Camp. Se i nostri mezzosangue valgono anche solo la metà di questi ragazzini credo che potrei prendere in considerazione la loro assoluta liberazione e il loro utilizzo nelle missioni.” Il padre di Eleanor era veramente lusingato dalle parole del capo delle Energie, tanto che si sistemò la maglietta e buttò in fuori il petto “Posso garantirti che continueremo a lavorare così duramente.” “Molto bene, molto bene. Ora giovanotti veniamo alle notizie un po’meno belle: nonostante la nobiltà della vostra motivazione avete infranto il regolamento imposto dalle Energie e per questo dobbiamo assegnarvi una punizione.” Ele si lamentò “Ma abbiamo salvato l’universo! Non potete chiudere un occhio per stavolta?” “Mi spiace molto Eleanor, ma non posso fare eccezioni.” Dato che conoscevo la severità dei nostri genitori immortali mi affrettai a domandare “E che cosa dobbiamo fare per scontare la pena?” Lui si guardò in giro “Dovrete riporre tutti gli oggetti rubati che si trovano qua dentro nella nostra astronave in modo che poi vengano riportati alla Grande Piramide.” I miei amici gemettero e Juan borbottò “Tornare a casa impunito mi sembrava una cosa troppo bella per essere vera…” Gli posai una mano su una spalla “Dai, coraggio, avrebbe potuto capitarci di peggio.” “Anche questo è vero. Avrebbero potuto tagliarci la testa o roba simile.” Al si piegò e raccolse una gran quantità di gioielli di valore probabilmente inestimabile “Meglio cominciare subito o per domattina non avremo ancora terminato.” Lo imitai raccogliendo anche io una grossa pila di collane e di bracciali “Al ha ragione.” Commentai. Juan allungò velocemente una mano e afferrò qualcosa che stava cadendo dalle mie braccia “Ti stava cadendo questa.” La sollevò in aria. Sgranai gli occhi: era la collana più bella che avessi mai visto in tutta la mia vita, formata da una semplicissima filigrana d’argento che aveva attaccato un pendente color azzurro intensissimo a forma di goccia d’acqua. Quando la luce la colpì proiettò uno splendido arcobaleno sulla mano del mio amico. Ele esclamò “Mamma mia, è veramente spettacolare!” Annuì “Sono d’accordo con te Ele, è splendida. Ne ho sempre desiderata una così.” Ovviamente non dissi che non me ne sarei mai potuta permette una uguale, non volevo sembrare la solita sfigata il giorno che ero stata considerata un’eroina. Con la pila di gioielli tra le braccia mi incamminai verso la navicella seguita dai miei compagni, carichi anche loro come dei dromedari. Con tutta franchezza vi dico che se combattere contro Tom e i suoi scagnozzi per salvare la Terra e l’universo fu la cosa più elettrizzante della mia vita, sistemare tutti i tesori rubati dalla Grande Piramide nell’astronave dei saggi fu certamente la più noiosa! Andammo su e giù per la grotta almeno un milione di volte carichi di tappeti, gioielli e armi come cammelli. Probabilmente Tom aveva deciso di saccheggiare anche le cantine dell’abitazione dei nostri genitori perché in quella grotta c’era così tanta mercanzia che ad un certo punto credetti che ci saremmo affogati dentro! Questa faticosa e barbosa operazione durò come minimo sette ore dato che quando depositai l’ultima monetina all’interno delle casse della navicella il sole stava spuntando di nuovo da dietro la linea dell’orizzonte. Guardai dall’apertura il cielo nero che cominciava a tingersi di azzurro e di verde, mentre le stelle stavano cominciando a sbiadire sempre di più. Come molte altre mie idee all’interno di questa storia si rivelò tutto fuorché buona: misi un piede dentro una minuscola buca del pavimento e stramazzai a terra, anche perché ero talmente stanca da non poter più reggermi in piedi. Atterrai sbattendo entrambe le ginocchia e le palme delle mani e facendomi decisamente male. Sbuffai pensando che la sfortuna non poteva abbandonarmi neppure nei miei momenti di gloria e tentai di alzarmi, quando sentii qualcosa di pesante e caldo che si posava sulla mia spalla. Mi voltai piano fino a che non mi ritrovai faccia a faccia con Ra in persona, che continuava a tenere la sua mano sulla mia spalla e mi sorrideva in un modo che sembrava amichevole “Mi sembri stanca Alexis.” Fu davvero strano sentire il mio nome tutto per intero, solitamente le ultime due lettere non le usava mai nessuno! Comunque, senza pensare troppo alla rigidità e alla solennità di quell’uomo, mi morsi la lingua per non dirgli che se ero stanca era tutta colpa sua. La mia espressione, però, mi tradì; infatti Ra mi disse “Se hai qualcosa da dirmi ti conviene farlo, non fa bene tenersi dentro le cose, fidati di me.” Il mio cervello annebbiato vide in questa frase una possibilità di risolvere tutti i dubbi che mi assillavano da tanti, troppi anni “Va bene, se la mettiamo così allora ho un paio di cose da chiederle.” “Va bene, se posso rispondere alle tue domande lo farò volentieri.” Una strana foga mi sconquassò tutta, facendomi nascere un calore dirompente all’interno dello stomaco che salì immediatamente fino alla faccia. Quando trapassò le corde vocali dissi “Credo che questa appartenga a lei.” Estrassi dal mio zaino la sua spada, che avevo coperto con una tela ignifuga, che avevo “preso in prestito” dai tesori di Tom. Afferrai l’involucro e lo gettai via, mostrando l’arma in tutto il suo scoppiettante splendore “Soleil appartiene a lei, giusto?” Lui annuì senza stupirsi nel guardare la mia mano che stringeva l’elsa senza bruciarsi “Si, la leggendaria spada fatta di fiamme è mia.” “Lei ha detto che solamente lei o i suoi discendenti erano in grado di toccarla, vero?” “Corretto.” La agitai per aria in modo abbastanza scoordinato e comico “Io la sto toccando e non mi sto carbonizzando, quindi devo essere per forza imparentata con lei. Il fatto che io sia una mezzosangue e che non abbia mai visto mio padre neppure di striscio mi fa sorgere una domanda che può ritenersi più che legittima: lei è mio padre si o no?” Il borbottio che c’era nella grotta si acquietò tutto d’un tratto, facendo rimbombare le mie parole. Il sorriso che c’era sulla faccia di Ra scomparve, tuttavia non sembrava arrabbiato, più che altro pensoso o addirittura triste “Vuoi che ti racconti la verità?” Incrociai le braccia e assumendo l’espressione più dura che riuscissi a fare “Si. Da quando sono nata ho sentito solo bugie quindi oggi ho bisogno di sapere come sono andate realmente le cose.” “Hai ragione, sapere è un tuo diritto. Si, io sono tuo padre.” Non rimasi troppo colpita da quella rivelazione, in fondo me l’aspettavo, però le sue parole risvegliarono nella mia mente tante altre domande a cui non avevo mia avuto una risposta e che però volevo soddisfare “La mamma conosceva la tua vera identità quando ti ha conosciuto?” “Si, posso assicurarti che su questo non l’ho imbrogliata.” Lo attaccai immediatamente, dato che provavo per lui un certo risentimento “Ma l’hai imbrogliata su qualcos’altro!” Il re delle Energie abbassò il capo per la prima volta “Si, lo ammetto.” Sbottai “Beh, bravo marito che sei stato! Mia madre oggi è infelice a causa tua, spero che tu te ne renda conto!” Avevo preso a dargli del tu perché ero talmente arrabbiata da essermi scordata di avere davanti la persona più importante dell’universo. Io amavo moltissimo mia madre e odiavo con tutta me stessa chiunque osasse anche solo pensare di renderla triste e non mi importava un fico secco se il tipo in questione era il capo delle Energie in persona! Lui si voltò verso l’apertura e cominciò a camminare sulla rupe a passi lenti, come quelli di un umano triste e solo. Strabuzzai gli occhi: erano delle lacrime quelle che avevo visto nei suoi occhi? A pensarci bene avevo un po’ esagerato con lui, in fondo non poteva essere colpa sua al cento per cento, magari lo era all’ottanta. Mi girai verso Anubis che mi fece il cenno piuttosto marcato di seguire mio padre. Pensai che nonostante il padre di Eleanor fosse abbastanza stupido conosceva bene Ra e che quindi avrei fatto bene a fidarmi di lui. Attraversai l’apertura con fare piuttosto titubante e mi affiancai a mio papà che stava girato di schiena e avevo lo sguardo fisso sull’orizzonte. Le stelle stavano sbiadendo e così la luna, mentre il cielo cominciava  rischiararsi. Negli strati superiori il blu intenso si stava fondendo con l’azzurro, le poche nuvole si stavano allontanando e stavano cominciando a diventare rosa, arancioni e bianche. Vicino alla terra il cielo era ormai giallo, in certi punti quasi rosso, e una grossa palla di fuoco incandescente stava cominciando a lasciarsi intravedere trafiggendo con la sua luce le tenebre che si stavano ritirando. Ra sospirò “Guardare un’alba è come guardare una battaglia. La luce comincia a farsi vedere, piccola e indifesa, facendo credere all’ombra di poterla vincere subito. Quando però le tenebre si sono illuse di poterla sconfiggere ecco che arriva la cavalleria: i raggi del sole colpiscono la notte come fossero delle spade costringendola ad una ridicola ritirata.” Dissi, non sicura che si fosse accorto di me “Non avevo mai pensato l’alba come una battaglia, ma adesso che ci penso è proprio così.” Ra fece un mezzo sorriso “Nella mia vita ho visto così tante battaglie che ne vedo ovunque, persino quando passeggio per strada. Spero proprio che questo non ti accada mai.” Dopo questa specie di dimostrazione d’affetto mi sentii ancora più in colpa per quello che gli avevo detto “Ehm, senti, mi spiace averti detto quelle cose. In fondo non è stata proprio colpa tua, se hai raccontato qualche bugia a mia madre lo avrai sicuramente fatto in buona fede.” Lui sospirò “No, è stata tutta colpa mia.” Per un momento pensai di dargli ragione e andarmene dai miei amici, però poi mi ricordai che anche lui doveva avere un cuore così domandai “Puoi raccontarmi che cos’è successo tra voi?” Lui annuì “Si, certo. Conobbi tua madre quindici anni fa. Lei era un’astronoma e lavorava nella facoltà di ricerca e sviluppo di astrofisica delle Energie a Londra. La conobbi solo grazie ad Anubis che venne a chiamarmi dicendomi che una studiosa della nostra università amica di sua moglie aveva scoperto un pianeta non abitato che orbitava attorno alla stella Nemesis. Dato che il padre della tua amica è molto poco affidabile decisi di andare a colloquio con la scienziata in questione per capire veramente quello che aveva scoperto: fu il peggior errore della mia vita dato che tua madre era intelligentissima, molto determinata e anche stupenda. So che può sembrare stupido e decisamente immaturo per qualcuno che ha circa dodici milioni di anni, ma mi innamorai perdutamente di lei. Sapevo che sul mio conto c’erano diverse maledizioni che mi impedivano di legarmi a qualcuno ma non ci feci troppo caso: tutto quello che volevo era sposare tua madre e vivere con lei fino a che il tempo me lo avrebbe permesso proprio come aveva fatto Anubis. Le diedi un paio di appuntamenti e lei accettò di buon grado. Insieme stavamo benissimo, parlavamo dello spazio infinito, della scienza e di quello che avevo visto durante tutta la mia vita. Tua madre voleva studiare e catalogare tutte le stelle che c’erano dell’universo, diventare capo della sezione di astrofisica della facoltà e poi da vecchia comprare un’astronave e girare l’universo per cercare mondi nuovi, strani e diversi dai nostri. Il giorno in cui le chiesi di diventare la mia fidanzata lei mi rispose di si entusiasta e mi disse scherzosamente che avrebbe fatto approfondite ricerche su di me per vedere se avevo avuto altre donne. In quello mi vennero in mente tutte le maledizioni che gravavano sulle mie spalle e che si riferivano ad una mia possibile discendenza così, con la complicità di Anubis, nascosi tutti i documenti in circolazione su di me. La mia superbia mi aveva completamente accecato, ero convinto di poter aggirare tutte quelle profezie perché in fondo ero pur sempre il capo di tutte le Energie, così abbassai la guardia. E fu in quel momento che tua madre mi disse di essere incinta di te. Puoi immaginare che mi cadde letteralmente l’universo addosso appena constatai che le maledizioni che ero stato così bravo ad aggirare per quasi quattromila anni si sarebbero avverate!  Cercai in ogni centimetro delle pergamene che contenevano le leggi dell’universo per cercare di spezzarle ma fallii. Andai persino a parlare con Lot, colui che regola il destino, che però mi disse che ormai il danno era fatto. Gli domandai se c’era un modo per limitare gli effetti della valanga che avevo provocato e lui mi disse di si: avrei dovuto uccidere il piccolo oppure abbandonarlo a sé stesso. Quando parlai di ciò con Daisy lei andò su tutte le furie. Mi diede dell’ipocrita e del falso dato che le avevo nascosto tutte quelle cose su di me e mi disse che non avrebbe mai lasciato che suo figlio pagasse per un errore che avevo fatto io. Prese le sue cose e si trasferì in una ragione della Cornovaglia praticamente disabitata e disse che sarebbe sparita da tutto e non avrebbe mai permesso a suo figlio di mettersi in contatto con il mio mondo. Disse anche che mi odiava con tutta sé stessa e che non avrei mai dovuto osare avvicinarmi a te, non ti meritavi un padre così. Una volta che Daisy uscì dalla mia vita misi a tacere tutto e Lot mi aiutò a cancellare dalla memoria di tutti il ricordo della mia relazione con tua madre e il suo successivo allontanamento. Poco prima di scappare tua mamma mi disse di aspettare una femmina, cosa che mi fece capire che la maledizione dell’ultimo faraone si era avverata: “I figli che nasceranno dopo il malvagio faraone saranno il contrario dei precedenti” infatti tutti i miei altri figli erano maschi.” Io non sapevo veramente che dire: tutto quello che sapevo su mio padre era stato completamente ribaltato nel giro di pochi minuti. Se prima provavo per lui solo un odio profondo, ora cominciava a farmi pena: in fondo lui desiderava solo una famiglia felice. L’idea di essere maledetta, però, non mi piaceva granché, ero praticamente certa che tutta la mia sfortuna era determinata da quello “Quindi sono così sfigata per colpa della maledizione?” Domandai sapendo benissimo che quella era una cosa che non sarei mai riuscita a perdonargli “Oh, a dire la verità non lo so. Le maledizioni parlavano solo delle cose che avresti fatto, non del tuo carattere personale.” Questo mi fece stare un pochino meglio “E queste profezie che dicono?” “Quando sarai abbastanza grande per capire te lo dirò, ora sei ancora troppo giovane.” Non volli farmi altre domande su questo argomento perché sapevo che altrimenti sarei rimasta pressoché terrorizzata e sospirai “Alla fine di tutto il tuo è stato un abbandono giustificato. Credo di non odiarti più così tanto.” Ra mi guardò e sorrise “Sai che più cresci più somigli a tua madre? Hai preso i suoi stessi capelli dorati, i suoi lineamenti da principessa e anche la sua incredibile intelligenza.” Mi sentii decisamente in imbarazzo a sentire delle cose che io non pensavo affatto dette da una persona così importante così tagliai corto “Tu non mi hai vista crescere.” “Ti sbagli. Io venivo a vederti ogni settimana all’Admiral sotto mentite spoglie. Ogni volta che venivo mi travestivo in modo diverso, ma ordinavo sempre lo stesso drink e ti davo sempre venti dollari di mancia.” Immediatamente mi ricordai e finalmente capii “E ogni volta mi facevi delle domande riguardo i miei amici, la mia famiglia e su cosa avrei voluto fare da grande.” “Proprio così. Devo ammettere che la prima volta avevo intenzione solo di vedere chi eri, ma poi qualcosa che dissi mi spinse a tornare e ad indagare di più su di te.” Dovetti trattenere una risata, cosa che mi riuscì in modo molto maldestro “Indagare su di me? E perché? Sentiamo.” “Avevi suppergiù tre anni e stavi giocando con un rametto. Io ti chiesi che stavi facendo e tu mi rispondesti che stavi sconfiggendo i cattivi con una spada magica fatta tutta di fuoco, proprio come in un sogno che avevi fatto. Sapendo che eri una mezzosangue sospettai che si trattasse di una visione, così ti domandai se avresti voluto diventare una schermitrice da grande. Tu mi hai risposto così “No signore. Io voglio salvare il mondo.” Allora ti ho guardate bene negli occhi e ho visto che non erano verdi e sottili come quelli di tua madre, ma grandi, sognanti, coraggiosi e azzurri come i miei, come quelli del capo delle Energie. E tutt’oggi, guardando nei tuoi occhi posso vedere che tu vai oltre le maledizioni e le profezie, che il tuo destino non è quello di una cameriera ma quello di una vera guerriera. Tu appartieni a questo mondo e nessuno ha il diritto di privartene.” Mi appoggiò una mano sulla testa e io rimasi ferma a guardarla come se non ne avessi mai visto una in vita mia. In quello il Sole sorse sopra l’orizzonte illuminando tutta la pianura e la montagna su cui ci trovavamo colorandoci d’oro. Mio padre declamò, neanche fosse su un pulpito “Quasi cinquemila anni fa benedivo i re che percorrevano questa rupe, oggi invece do la mia benedizione a te.” Mi sentii pervadere da un enorme calore che dalla testa scese fino ai piedi facendomi passare tutta la stanchezza che mi pesava sulla schiena. Lo sporco che avevo addosso e anche tutte le ferite scomparvero e i miei occhi e i capelli presero a brillare. Mi sentivo come se avessi dormito per una settimana intera! Dalla mia mano sinistra, senza preavviso, uscì una minuscola scintilla infuocata. Aprii la bocca stupita “E questo?” Ra rispose annuendo “Questo è il tuo primo passo in un mondo più grande. Scoprirai che in qualità di mia figlia sei in grado di fare un sacco di cose legate al fuoco e alla luce. Per sviluppare i tuoi poteri ci metterai anni, ma alla fine apprezzerai l’attesa.” Alzai le spalle “Beh, ho aspettato fino adesso...” “Bene, questo è lo spirito giusto. Ti prego di non divulgare la tua identità, per questioni di sicurezza è meglio che lo sappiamo solo i tuoi amici più stretti.” “Va bene, non lo dirò a nessuno.”  “Brava. Ora dobbiamo salutarci, ho molte cose da sbrigare riguardo il lavoretto che hanno fatto i tuoi amici Tom e Adele. Arrivederci Alex.” Finalmente aveva utilizzato Alex e non Alexis! Ra alzò le braccia e si vaporizzò, letteralmente, trasformandosi in delle minuscole scintille luminose che si persero con il vento nel’aria illuminata dai primi raggi del mattino. Alzai una mano in segno di saluto e diedi uno sguardo alla meravigliosa prateria che si estendeva sconfinata sotto i miei occhi “Arrivederci, papà.” Mi voltai e vidi la mia ombra gigantesca proiettata sulla parete rocciosa della grotta. Per un attimo mi sentii così grande, poi rientrai. I miei amici e Anubis mi stavano aspettando per entrare nell’astronave. Ele esclamò “Alex! Credevamo che ti fossi persa!” Risi “Non vi preoccupate, ora che vi ho trovati non credo che vi sbarazzerete così facilmente di me!” Al mi tirò una pacca su una spalla “Per fortuna!” Juan mi domandò “Com’è andato il colloquio con tuo padre? Lo odi più di prima?” Sorrisi “No, diciamo che si è fatto perdonare.” Guardai Anubis che mi strizzò un occhio “Ne sono felice.” Sorrisi, e pensai che quello era sicuramente il giorno più bello della mia vita. Dissi “Che ne dite di tornare a casa?” Il mio amico annuì “Mi sembra un’ottima idea.” Così salimmo sulla nave sotto la supervisione del padre di Eleanor con la consapevolezza di tornare su Camp con qualcosa in più.Il viaggio di ritorno fu decisamente più rilassante di quello di andata anche perché i miei amici si addormentarono come sassi invece di litigare. Io dopo la benedizione di mio padre mi sentivo decisamente troppo eccitata per riposarmi, così rimasi sveglia a guardare il tunnel iperspaziale che turbinava scintillante a azzurro all’esterno della navicella. Ad un certo punto Anubis uscì dalla plancia di comando e si sedette giusto di fronte a me “Non dormi, Alex?” scossi il capo “Come potrei signor Anubis? Sono successe così tante cose!” “In effetti la tua vita è stata sconvolta nel giro di qualche giorno.” “Eh già.” Poi una domanda mi attraversò la mente “Lei conosceva l’identità di mio padre?” Lui scosse il capo “No, Ra cancellò anche la mia di memoria. Sicuramente avrà pensato che la mia lingua era troppo lunga e che quindi avrei potuto spifferare tutto. Quando tu sei sparita mia moglie ed io siamo andati ad avvisare tua madre che ci ha raccontato tutta la verità.” Sospirai “Deve essere stato uno shock sapere che una sfigata come me è la figlia di Ra.” Lui sorrise “No, proprio no. Diciamo che è come se lo avessi sempre saputo.” “In che senso?” “Ho allenato mezzosangue per veramente tanti anni e quindi mi ero accorto, nonostante la mia intelligenza non troppo brillante, che in te c’era qualcosa di diverso. Il modo in cui parlavi, come sei facilmente diventata amica di Eleanor, la tua riluttanza al combattimento e soprattutto le tue domande infernali mi avevano fatto capire che non mi trovavo di fronte ad una persona semplice ma ad una tremendamente complessa.” Sorrisi “Però non si aspettava certo che avrei rubato la sua nave e sarei partita alla ricerca dello scettro di Ra.” “No, hai ragione, questo non me lo aspettavo proprio. E non mi sarei neanche mai aspettato il vedere mia figlia collaborare con te e con i due gemelli Riveira.” “Davvero?” “Eccome. Devi sapere che i mezzosangue sono degli agonisti, ognuno lavora per conto suo per diventare migliore degli altri. Tu hai fatto un miracolo: hai fatto lavorare assieme tre macchine differenti che tra loro non c’entrano niente e hai creato qualcosa di grande e, come avrai potuto vedere, molto potente. Sono proprio curioso di vedere se questa alleanza durerà e quindi vi terrò molto d’occhio giovanotti.” Poi si fece più serio “Tuttavia quello che avete fatto è stato molto pericoloso, proprio come ha detto Ra.” Abbassai il capo “Si, lo so.” “Sai di aver rischiato la vita, vero?” “Certo che si.” Lui mi fissò bene negli occhi “Adesso mi devi rispondere sinceramente, Alex. Se potessimo tornare indietro nel tempo rifaresti questa scelta?” Sapevo che avrei dovuto rispondere di no, dirgli che era stato da pazza irresponsabile e che me ne ero pentita, ma non potevo, sarebbe stata la bugia più grande che avessi mai detto in tutta la mia vita! Ammisi “Si, mille volte.” Anubis sospirò “Ci avrei scommesso anche le mutande. Per questo motivo ho deciso di prendere un provvedimento.” Sbuffai “Ancora un’altra punizione? Io direi che sistemare tutte le cose rubate da Tom sia stato sufficientemente orribile!” Il padre di Eleanor scoppiò a ridere “Il provvedimento di cui sto parlando è una splendida festa in vostro onore su Camp.”              Esclamai strabuzzando gli occhi “Cosa?!” “Alex, quello che avete fatto è una cosa incredibile che testimonia il vostro amore per l’universo e il vostro coraggio, non va punito ma esaltato e premiato. Voi siete degli eroi e come tali andate ricompensati. Ora, perché non vai a farti una doccia e ti metti dei vestiti puliti? Devi essere presentabile quanto atterreremo a casa.” Gli sorrisi “Certo che lei è peggio di Eleanor!” Lui alzò le spalle “Da qualcuno deve pur aver preso. Sai come dice il detto “tale padre, tale figlio”. Mi sembra che valga anche per te, no?” Mi specchiai nel finestrino dell’astronave e vidi i miei occhi azzurri come il ghiaccio. Risposi “Si, in effetti è vero.”      CAPITOLO 7TUTTO E’ BENE QUEL CHE FINISCE BENETutto andò come programmato: usai il bagno dell’astronave, che per la cronaca era più grande di quello di casa mia, e feci la doccia. Uscii dalla porta senza asciugare i capelli come al solito, ignara di quello che mi stava aspettando fuori. Una voce mi fece fare un triplo salto mortale “Scusa tanto, ma tu credi di essere pronta così?” Eleanor mi stava fissando con aria di sufficienza con una mano su un fianco. Risposi alzando le spalle “Si…” “Risposta sbagliata. Devi andare ad una festa, mica a combattere contro Tom! Ah, ti devo insegnare proprio tutto!” Mi catturò per un braccio e mi trascinò in bagno senza considerare minimamente le mie insistenti proteste. Non so cosa fece esattamente, so solo che mi tirò i capelli per una buona mezz’ora e mi provò almeno quindici vestiti differenti. Quando ebbe finito mi guardò soddisfatta e disse “Ok, ora sei pronta!” Mi guardai allo specchio e rimasi senza parole: quella che mi guardava ero io ma allo stesso tempo non ero io. I miei capelli erano lucenti e dritti, dritti! Mi aveva messo addosso un vestito azzurro molto semplice che non era neanche tanto scomodo con una cintura blu abbastanza carina. Mi domandò “Che te ne pare?” Io sorrisi, mi infilai le mie scarpe da ginnastica e la mia felpa blu “Adesso sono a posto!” Lei scosse la testa “Almeno adesso sei presentabile!” Io la squadrai “E tu cosa saresti, allora?” “Io sono favolosa!” In terminologia comune era vestita come se fosse dovuta andare alla notte degli Oscar: indossava un vestito tutto dorato che non potevo guardare se non con gli occhiali da sole, era truccatissima, in testa aveva una pettinatura complicatissima che ancora oggi non riesco a descrivere e portava un paio di scarpe con il tacco altissimo dello stesso colore dell’abito. Si guardò allo specchio e decretò “Avrei osato di più, ma è solo una festa tra amici…” Stavo per immaginare quello che avrebbe potuto mettersi in circostanze più importanti quando qualcuno bussò alla porta. Ele fece un cenno con la mano “Vai tu ad aprire?” Annuii “Si, non voglio che tu ti spacchi una caviglia camminando con quelle scarpe assurde!” “Non sono assurde, sono giuste.” Roteai gli occhi, aprii e mi ritrovai faccia a faccia con i due gemelli. Alvaro aveva un sorriso enorme stampato in faccia e stava guardando la mia amica come se si fosse trattato di una dea o roba simile “Ciao Ele, ciao Alex!” Sorrisi a mia volta e risposi “Ciao ragazzi.” Poi vidi la faccia di Juan: sembrava che un tir gli fosse passato sopra tre o quattro volte e aveva un morso su un labbro, segno che doveva essere stato particolarmente nervoso “E’ successo qualcosa di grave?” Lui scosse il capo rispondendomi con una voce che era circa un ottava sotto il normale “No. Siamo venuti a chiamarmi perché siamo arrivati a casa.” “Ah, ok. Grazie.” Lui fece un cenno con il capo e girò sui tacchi. Afferrai Alvaro per il colletto prima che lo seguisse “Che cos’ha Juan?” “Abbiamo appena parlato con nostra madre. Lei ci ha detto che siamo stati molto bravi a compiere la missione ma mio fratello non l’ha presa molto bene: le ha detto che non ci ama e che ci rivolge la parola solo ora che abbiamo fatto qualcosa di buono.” “Oh, mi spiace tanto.” “Ah, stai tranquilla, Juan e mia madre litigano così ogni volta che si parlano.” Pensai che il mio amico aveva una situazione familiare decisamente complicata e che avrei voluto tanto aiutarlo quando Eleanor uscì dalla stanza quasi travolgendoci “Ehi ragazzi, non è il momento di parlare di cose tristi!” Domandai, massaggiandomi il braccio che mi aveva fatto sbattere contro la porta “Come mai così elettrizzata?” “Fuori dalla navicella c’è una folla che sta acclamando i nostri nomi!” Juan, Al ed io ci guardammo e corremmo dietro alla nostra amica, insomma, non capita tutti giorni che qualcuno chiami a gran voce il tuo nome! Divorammo il corridoio, poi ci fermammo sul portellone a guardare quello che avevamo davanti: eravamo atterrati di fianco alla casa capo, praticamente al centro del villaggio che, dato che era sera, era illuminato dalle torce che erano sistemate sui pali di legno e da delle lanterne pendenti colorate. Sulla facciata della casa c’era uno striscione che diceva “Bentornati eroi!” e davanti a noi erano ammassati tutti i mezzosangue di Camp che ci guardavano sorridenti. C’erano anche amiche del fan club di Eleanor che tenevano in mano enormi striscioni rosa che elogiavano la mia migliore amica in tutte le salse. Nessuno di noi quattro, però, si muoveva, eravamo semplicemente immobili e sconvolti: non ci saremmo mai immaginati un’accoglienza del genere! Io continuavo a guardare tutta la gente davanti a me pensando che loro erano lì per i miei amici e per me, perché pensavano che la nostra missione fosse stata un grande successo. Dopo credo cinque minuti vidi una faccia molto familiare in prima fila: era mia madre che indossava un vestito viola molto elegante, molto probabilmente prestato dalla signora Hamilton, e mi sorrideva felice. Non ci pensai neanche un secondo e corsi verso di lei “Mamma!” La abbracciai. Lei mi strinse talmente forte che mi fece pensare ad un’emorragia interna “Alex! Oh, mi sei mancata tantissimo!” “Ma cosa ci fai qui, mamma? Pensavo che su Camp potessero entrare solo i mezzosangue.” “Quando tu e i tuoi amici siete scomparsi Anubis e Ariana sono venuti da me per comunicarmelo e poi mi hanno portata qui, facendo un piccolo strappo alla regola.” “Mi spiace tantissimo di essere sparita così mamma e so di averti fatto arrabbiare moltissimo ma avevo una buona ragione per andarmene.” Lei mi strinse ancora “Oh Alex, io non ero arrabbiata, temevo solo per la tua vita. Invece ero furiosa con me stessa perché pensavo che mandarti via di casa fosse stato l’errore più grande della mia vita.” Abbassai il capo “Scusa mamma. Tu mi avevi dato la tua fiducia e io l’ho tradita allontanandomi. Capirò se vorrai riportarmi a casa.” Mia madre scoppiò a ridere, diversamente da quello che mi aspettavo “Riportarti a casa? Tesoro, non lo farei mai. Per quanto io non volessi accettarlo, questo è il tuo mondo e io non ho diritto di privartene. Dentro di te scorre sangue potente perciò compiere missioni suicide e pericolosissime è nella tua natura. Per quanto io sia in pensiero per te non posso impedirti di vivere la tua vita. Tu sei destinata a fare grandi cose e non sarà la mia paura ne quella degli altri a fermarti, proprio come hai dimostrato oggi. Io sono la madre di un’eroina e sono fiera di dirlo a tutto il mondo.” Le sorrisi, decisamente sconvolta da quello che avevo sentito “Grazie mamma! Sei la migliore dell’universo!” Poi mi venne in mente una cosa “E’stato difficile tornare ad avere a che fare con un mondo che avevi deciso di dimenticare?” Lei mi fissò come se stesse cercando di capire come mai le stavo facendo quella domanda “Si, non è stato per niente facile. Come mai me lo chiedi?” “Dopo aver recuperato lo scettro ho parlato con Ra.” Lei si fece immediatamente truce e sbuffò “Ti avrà detto che è stata tutta colpa mia, vero? Ti ha detto che ti ho allontanata dal tuo mondo?” “No, affatto. Mi ha detto che tu sei una donna straordinaria e che se vi siete allontanati è stata tutta colpa sua. Mi ha raccontato anche che ci sono delle maledizioni sul mio conto ma che comunque riuscirò a diventare una grande mezzosangue.” Mamma sorrise leggermente “Beh, vedo che dall’ultima volta il suo ego spropositato si è un po’ ridotto.” Le presi una mano “Mamma, lui ti ama ancora. Tu sei stata l’unica donna della sua vita e sempre lo sarai.” “Mi ha già mentito una volta…” “No mamma, questa volta diceva la verità. Mentre mi parlava sorrideva, piangeva e si emozionava proprio come noi. Le Energie sono molto più umane di quanto credi e io ne ho avuto la prova.” Lei annuì gravemente “Tu gli vuoi bene, vero tesoro?” Annuii “Si. In fondo la colpa non è stata tutta sua e poi ci ha sempre protette.” Mia madre sospirò “Alex, tu hai una grande qualità: il perdono. Anche tuo padre era così, riusciva sempre a dare una seconda possibilità a tutti, al contrario di me che serbo sempre rancore.” Le sorrisi incoraggiante “Forse un giorno, però, riuscirai a fare la pace con Ra?” “Vedremo…” Non seppi se prenderlo come un si o come un no, ma non ebbi neppure il tempo di pensarci che mamma mi aveva già spinta in mezzo alla folla “Dai, ora basta pensare! Vai a divertirti!” “Ok, ma tu…” In un secondo mia madre si era già affiancata ad Ariana Hamilton e stava parlando amichevolmente con lei. Alzai le spalle, felice che mamma avesse ritrovato la sua grande amica, e mi feci strada tra una quarantina di mezzosangue scatenati che si stavano ballando per strada come se non ci fosse stato un domani. Il più lanciato di tutti era il signor Anubis che si stava esibendo in un passo di break-dance e a dire la verità non se la stava cavando affatto male. Superai un gruppetto di ragazze dell’Eleanor fan club che mi fecero i complimenti, mi presi una pacca sulla schiena micidiale da Mickey e poi sentii qualcosa di duro che mi atterrava sulla testa e che poi cadeva a terra. Mi chinai a raccoglierla per vedere che cos’era: si trattava di un piccolo pacchettino quadrato di colore azzurro legato con un fiocchetto bianco. Attaccato aveva un cartellino che diceva “Per Alex Johnson.” Siccome non sapevo di che si trattasse sgomitai un po’ tra la folla per raggiungere un piccolo spiazzo tra due pini dove non c’era nessuno. In quello fui quasi travolta da Eleanor rincorsa dai due gemelli “Ehi Alex! Ma dove ti eri cacciata?” “Si, infatti, questa è una festa, dovresti essere sulla pista da ballo a scatenarti!” Feci per rispondere quando vidi che sul fianco sinistro di Juan pendeva un fodero vuoto “Chi te lo ha dato quello?” “E’un regalo di mia madre. Ha deciso di regalarli il suo pugnale, ha detto che me lo meritavo.” Al sorrise sornione “E io invece ho ottenuto la mia bella ascia con la promessa di non uscire al primo turno al torneo di Camp.” Ele annuì “E io finalmente ho una lancia elettrica migliore di quella di Adele!” Poi si arrestò, vedendo la mia faccia triste “Che succede Alex, qualcosa non va?” Scossi il capo “No, va tutto bene, è solo che mio padre non mi ha lasciato la sua spada…” Il mio amico mi posò una mano sulla spalla “Non farne un dramma, ricordati che si tratta dell’Energia più importante di tutte. Sicuramente è legato alla sua arma, molto più dei nostri genitori.” Sospirai “Si, deve essere sicuramente così.” La mia migliore amica mi prese la mano che conteneva il piccolo pacchetto “Che cos’hai in mano?” “Non lo so. Stavo camminando tranquillamente quando mi è atterrato sulla testa.” Juan mi domandò “E’ caduto dal cielo così, senza preavviso?” “Si.” Poi lo guardai negli occhi per capire se avevamo avuto la stessa idea “Tu credi che sia un regalo di Ra?” Lui alzò le spalle “Io non conosco molte persone che hanno il controllo dei cieli di tutti i pianeti dell’universo.” Ele slacciò il fiocchetto bianco e aprì la scatolina “Beh, c’è solo un modo per scoprirlo.” Ci avvicinammo tutti e quattro: dentro il pacchetto c’era un bigliettino scritto in caratteri antichi che si spostarono velocemente davanti ai miei occhi, formando parole comprensibili “Cara Alex, vorrei farti ancora una volta i complimenti per la missione che hai portato a termine. Non molti mezzosangue non avrebbero avuto fegato abbastanza neppure per pensarla. Penserai di meritare un regalo, dopo aver visto quello che hanno ottenuto i tuoi amici. Hai assolutamente ragione, quindi ti consiglio di guardare sotto questo bigliettino. Spero ti piacerà.” Diedi il pezzetto di carta a Juan che stava dietro di me e sollevai quello che c’era dentro la scatola “Cavoli, è bellissimo!” Mio padre mi aveva regalato un braccialetto fatto da due fili dorati intrecciati tra loro che portavano un’ iscrizione troppo piccola per essere letta. Attaccato c’era un pendente a forma di goccia molto simile a quello che aveva spaccato mi madre nella mia visione su Iceberg che sembrava fatto di fuoco, tanto scintillava anche sotto la luce fioca dei lampioni di Camp. Non era una spada ma potevo accontentarmi. Lo indossai e scoprii che mi stava davvero bene, probabilmente sarebbe stato l’unico gioiello che avrei messo volentieri! Ele sorrise “Questo è il segno che anche tuo padre ti ama, Alex.” “Si, credo proprio di si.” In quello Juan esclamò “Ehi, c’è scritto qualcosa anche dietro il biglietto!” Lo voltò e lesse “Qualcuno mi ha detto che non sei una ragazza che ama i vestiti, le scarpe, andare a fare compere e nemmeno i gioielli, tuttavia credo che questo bracciale ti piacerà. Indossalo e tocca la goccia di sole che fa da pendente. Fanne buon uso, papà.” Scosse il capo “Fanne buon uso, che significa? Cosa potresti fare con un braccialetto se non mettertelo addosso?” Alzai le spalle “Credo che lo stiamo per scoprire.” Toccai la gocciolina con la mano destra. Inizialmente non successe niente, così pensai che mio padre avesse avuto voglia di prenderci in giro, poi però la filigrana dorata si aprì a metà e si arrotolò sulla mia mano formando quella che a me sembrava proprio un’elsa, mentre il pendente prese a brillare più di prima e ad allungarsi, trasformandosi sotto i miei occhi increduli in una lama fatta completamente di fiamme. Ora l’incisione vicino al mio pollice si poteva leggere benissimo: Soleil. Avevo in mano la spada di fuoco di mio padre e faticavo a crederci. Balbettai “Mio papà mi ha regalato la sua arma…” La mia migliore amica sorrise a trentadue denti “Beh, ti chiedevi se ti voleva bene, prima, direi che ora hai avuto la risposta!” “Ah, già!” Juan decretò, guardandomi mentre facevo tornare Soleil alla forma di un bracciale “Ora tutti noi abbiamo le armi dei nostri genitori e abbiamo salvato il mondo: siamo diventati dei mezzosangue a tutti gli effetti!” Gli battei una mano su una spalla “Proprio così.” Ci fu un momento di silenzio che poi fu rotto dalla squillante voce di Eleanor “Forza ragazzi, questa è una festa in nostro onore! Andiamo a divertirci!” Al domandò timido “Ti andrebbe di ballare con me?” Lei lo guardò con aria di sufficienza “Se tu andassi a prendermi un bicchiere di punch potrei anche pensarci…” “Allora ci vedo subito!” Il fratello di Juan corse come un pazzo in direzione della casa capo seguito dalla mia amica, visibilmente soddisfatta dall’esserci guadagnata un nuovo servo “Credo proprio di dover rivalutare Al, non è poi così male come credevo!” Mi venne da ridere pensando a quanto bene sarebbero stati assieme!  L’altro gemello rimase dov’era, appoggiato con la schiena ad un pino, con la testa rivolta verso l’alto per guardare il cielo. Mi avvicinai a lui “Che cosa guardi?” “Una di quelle luci lassù deve essere la Grande Piramide.” Non capii se quello che aveva detto era una domanda o un’affermazione “Ehm, si. Chissà come deve essere.” Lui alzò le spalle “Non lo so e francamente non voglio neppure saperlo.” Feci finta di non aver colto l’irritazione nella sua voce “Secondo me deve essere splendida. Io mi immagino un favoloso palazzo tutto dorato circondato da  fontane e viali alberati.” “Beh, credo che se fosse così mi piacerebbe darle un’occhiatina.” Lo guardai di traverso: da fuori sembrava così spaccone e acido, mentre in realtà era una persona gentile e premurosa “Potremo andare a chiedere al nostro caro amico Tom, lui c’è stato!” “Ah, già! Potremo proprio andare a fargli una visitina per dargli un po’ di fastidio!”  Poi portò la mano al taglio che si era fatto durante lo scontro contro il nostro ex insegnante di combattimento “Adesso che il nostro acerrimo nemico è in prigione tutto si sistemerà?” Risposi con franchezza alla sua domanda, che mi ero fatta anche io molte e molte altre volte “Io non credo. Ci sono ancora molti misteri da risolvere, ad esempio come ha fatto Tom ha rubare lo scettro di Ra oppure chi è l’Energia traditrice.” Lui sospirò “In effetti hai ragione. Quella che mi sembrava la fine in realtà è solo un piccolo inizio.” “Si, ma ora siamo in quattro.” Juan finalmente abbassò lo sguardo. Sorrisi “Solo perché quest’avventura è finita non significa che ci separeremo. Noi rimarremo amici qualunque cosa accada.” Dicendo questo mi sembrò di proferire una specie di giuramento o comunque qualcosa di decisamente solenne e mi parve che nel cielo passasse una stella cadente. Il mio amico si lasciò scappare un mezzo sorriso “Solo perché siamo amici non credere che domani nell’arena ti renderò la vita facile.” Ribattei “Ehi, guarda che ho sconfitto Tom, il miglior schermitore di Camp!” “Resti comunque una dilettante.” “Ah si?” “Proprio così e domani te lo dimostrerò.” Lo guardai negli occhi “Duello domani alle dieci nell’arena?” Lui alzò un sopraciglio  “Che fai adesso, mi leggi nel pensiero?” “Può darsi.” “Uno strano potere trasmessoti dal re delle Energie?” “No no, talento naturale!” “E va bene, vediamo se lo sai rifare. Che sto pensando in questo momento?” Guardai i ragazzi che in lontananza danzavano e si scatenavano a ritmo di musica. Tra loro scorsi Ele e Al che ballavano e si divertivano un mondo, la mia migliore amica sembrava proprio essersi dimenticata di considerare il gemello di Juan uno sfigato totale “Vorresti invitarmi a ballare, vero?” Juan stette zitto e immobile, con la schiena ancora appoggiata all’albero e la testa rivolta verso l’alto, poi di punto in bianco stese una mano verso di me. Io sorrisi e pensai che quello era il giorno più bello della mia vita. Poi la strinsi e assieme ci buttammo nella mischia.




Envoyé: 17:13 Fri, 10 December 2021 par: Commisso Martina